Filza s. f. Ciascuno dei fasci di fogli manoscritti conservati in biblioteche o archivi, che costituisce un’unità organica all’interno di una serie documentaria continua.
Il nome deriva dalla consuetudine antica di infilzare le carte in un lungo chiodo o in una cordicella legandole poi tra due cartoni.
Secondo il Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia, la parola deriva da filzella, a sua volta dal latino volgare filicella, doppio diminutivo di filum ‘filo’, che rimanda ai significati di ‘funicella, cordicella’. E proprio con l’accezione di ‘serie di oggetti infilzati e legati da filo, corda, spago’ il termine è usato da Giulio Cesare Croce (1550-1609): «Bertoldino prese tutti i detti polli e li legò per un piede ciascheduno di loro, e fattone una lunga filza ne pose un bianco in capo di tutti, poi li mise in mezzo l’ara, ad esso ritiratosi sotto il portico stava poi a veder quello che ne doveva succedere». L’idea di un insieme di oggetti riuniti è documentata in altri usi estensivi (corona di grani del rosario, collana di pietre preziose, matassa, festone di fronde), compreso quello di ‘ciocca di capelli’, giunto fino a noi grazie alla narrativa di Italo Calvino (1923-1985): «Rincalzò dietro le orecchie le filze di capelli che gli erano cadute sulle tempie» (Gli amori difficili, 1958).
Allargando ancora l’arco semantico fino a includere il significato oggi più comune di ‘serie numerosa e continua’, ecco un esempio tratto da Artemisia (1947), il romanzo di Anna Banti (1895-1985) dedicato alla pittrice Artemisia Gentileschi (1593-1653): «[…] atti compiuti con un gradevole batticuore, pronta la mano a dissimularli e l’orecchio a ricevere la filza di bestemmie incandescenti con cui il padre avrebbe un tempo colpito simile confidenze».
Ma, con riferimento a elementi figurati, oggi è più comune il sinonimo espressivo sfilza (con s- intensiva). Così Achille Campanile (1899-1977) nel romanzo Gli asparagi e l’immortalità dell’anima (1974): «Fuori, Cecilia s’appoggiò al muro per non cadere. Scossa da un tremito nervoso, non si reggeva in piedi. Quando fu in grado di parlare, esplose in una sfilza d’ingiurie soffocate al mio indirizzo, piangendo istericamente».
Fu Niccolò Machiavelli (1469-1527) – tornando alle corde e alle funicelle, e, soprattutto, all’àmbito dei documenti – il primo grande moderno a usare filza: «Fece intendere avere a Venezia fatto certe addizioni e dichiarazioni al lodo dato, le quali dispiacquero qui grandemente. La copia n’è in filza». Nella Storia della guerra d’indipendenza degli Stati Uniti d’America (1809), Carlo Botta (1766-1837) racconta dell’assalto alla casa del vice-ammiraglio inglese: «[…] rompevan le imposte, portavan via ed abbruciavano i libri e le filze delle carte pubbliche appartenenti alla Corte, e poi guastavano le masserizie della casa».
Poiché i documenti spesso hanno a che fare con ricerche e indagini di ogni genere, ecco che la filza può tingersi di giallo anche oggi: «“Sembra che da questo posto sia passata una banda di svaligiatori”, osservò Coltrane, notando il disordine che lo circondava. Filze di documenti erano sparse dappertutto, un armadietto era stato rovesciato, e Meyer continuava a pestare furiosamente sulla tastiera del computer» (Anne Stuart, Il sole a mezzanotte, 2002, trad. di Mirco Caniglia).