Enrica Ormanni era dotata di grande spirito di intraprendenza e di grande preparazione, oltre ad avere una forte carica di umanità. È stata un modello e un esempio per molti della mia generazione. Sapeva coniugare sapientemente rigore morale, capacità critica e disponibilità affettiva verso tutti i suoi collaboratori e dipendenti. La sua capacità e la sua conoscenza degli archivi le consentivano un’ampia visione della problematica relativa alla comunicazione degli archivi al grande pubblico.

Nel periodo in cui ha diretto il Centro di fotoriproduzione, legatoria e restauro degli Archivi di Stato, dal 1977 al 1985, ha dato impulso alla ricerca e allo studio sui pericoli a cui sono sottoposti i documenti sotto l’aspetto sia fisico che chimico e biologico, ha incrementato l’attività di restauro dei documenti cartacei e pergamenacei con i laboratori di chimica e di restauro e ha dato una forte spinta all’attività di riproduzione; non ultimo, ha avviato la sperimentazione per il trattamento informatico dei fondi archivistici.
In quegli anni Enrica Ormanni avviava, con il Gruppo di studio per l’informatica, i progetti di trattamento informatico dei documenti, convinta che la creazione di banche dati e la formazione di sistemi di ricerca evoluti avrebbero consentito una maggiore conoscenza ed un più articolato approfondimento delle informazioni contenute nei fondi archivistici. Sono di questo periodo le sperimentazioni realizzate su fondi particolari quali, per esempio, la trascrizione del Lanfranchi del Diplomatico veneziano o i fondi notarili conservati in diversi Archivi di Stato. Di poco posteriori si possono ricordare il progetto relativo all’Intendenza borbonica in alcuni Archivi del sud e quello sulle deliberazioni del Maggior Consiglio della Repubblica di Venezia, la individuazione e ricostruzione del patriziato veneziano attraverso alcune serie quali Libro d’oro dei matrimoni e Libro d’oro delle nascite dell’Avogaria di Commun, e alcune serie del Segretario alle voci sempre dell’Archivio di Stato di Venezia; il Catasto del Lombardo-veneto dell’archivio di Stato di Milano.
Questi progetti che hanno visto, in parte, il trattamento integrale dei testi, oltre alla partizione in paragrafi finalizzata alla creazione di banche dati interrogabili, hanno fatto emergere, tra l’altro, le problematiche relative alle implicazioni di livello semantico e linguistico. Presentati in varie occasioni istituzionali, hanno avuto il plauso degli storici e dei giuristi i quali hanno visto nelle nuove modalità di trattamento degli archivi con gli strumenti informatici e nella costituzione di banche dati l’apporto di una ricchezza informativa fin a quel momento inesplorata, impensabile con i tradizionali strumenti manuali.

Altre problematiche si affacciavano in concomitanza con il dibattito sviluppatosi in seno alla comunità archivistica sugli archivi che nascevano fin dall’inizio su supporto informatico. A fronte dell’incalzare delle nuove modalità di produzione della memoria storica, Enrica poneva il problema della tutela e della salvaguardia degli archivi che nascevano non più prodotti solamente su carta ma come insieme di documenti cartacei, di applicazioni informatiche e procedure informatizzate.
Quali archivi conservare e cosa conservare dei nuovi archivi per il futuro ai fini della ricerca storica? Che rapporto esiste tra la parte cartacea dell’archivio e le banche dati ad essa affiancate, cosa conservare delle procedure informatizzate e dei documenti su supporti magnetici, quali di questi documenti hanno rilevanza amministrativa e giuridica? E inoltre, di fronte al cambiamento in atto già negli anni settanta e negli anni a venire, gli archivisti sarebbero stati pronti a far fronte alle nuove problematiche, a rapportarsi alle nuove istanze provenienti dalla società e con quali risultati? Quali metodologie e quali strumenti, oltre a quelli tradizionali, predisporre per consentire la tutela, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio archivistico del Paese per le future generazioni. Queste le domande che emergevano in quello scorcio di tempo. Un dibattito, come si può notare, per certi versi, ancora attualissimo.
La risposta alle suddette domande veniva individuata nella necessità di misurarsi con le nuove metodologie di produzione degli archivi, nel confrontarsi con le nuove istanze, e possibilmente nel governare i processi di automazione in atto attraverso l’utilizzo degli stessi strumenti. L’utilizzazione dell’informatica applicata agli archivi avrebbe fatto emergere gli aspetti positivi e innovativi sia sul piano della descrizione archivistica che sul piano della gestione amministrativa e giuridica degli stessi.
In questo quadro, in cui gli archivisti in parte propendevano per la strada intrapresa del trattamento testuale dei fondi, con il correlato riordinamento e con la creazione degli strumenti archivistici, e in parte invece auspicavano l’utilizzo dell’informatica per progetti di tutela e gestione degli archivi, l’amministrazione archivistica decide di prendersi una pausa di riflessione prima di intraprendere la strada da percorrere per il futuro.
Nella seconda parte degli anni ‘80 fu deciso di porre fine alle sperimentazioni e ai trattamenti di singoli fondi e in full text per intraprendere la strada dell’automazione delle procedure di gestione degli archivi e di sviluppo degli aspetti della tutela mediante la creazione di banche dati centralizzate e periferiche che avrebbero acquisito gli elementi relativi allo stato giuridico, alla provenienza, alla proprietà, alla consistenza, alla ubicazione degli archivi sparsi sul territorio nazionale.
Nel 1985 Enrica Ormanni veniva chiamata all’Ufficio centrale per i beni archivistici dall’allora direttore generale, Renato Grispo, che le affidava la gestione dei progetti speciali di informatizzazione per il censimento degli archivi, finalizzata alla redazione di una «carta conoscitiva aggiornata della situazione di rischio del patrimonio», relativamente ai beni archivistici, in concomitanza con l’uscita delle nuove norme che prevedevano l’apertura delle frontiere e la libera circolazione in Europa dei beni culturali,.
Tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90 venivano presentati alla comunità archivistica i progetti predisposti e finanziati con leggi speciali per avviare l’informatizzazione degli archivi italiani e nel 1992 ha preso avvio il grande progetto di descrizione archivistica “Anagrafe informatizzata degli archivi italiani”, gestito dalla società informatica Arca, che ha portato l’informatizzazione negli istituti archivistici e che ha consentito di fare emergere la problematica relativa alla descrizione archivistica livellare già prima che fossero codificati ufficialmente gli standard internazionali (ISAD (G) e ISAAR).
Venivano predisposti i tracciati della scheda Ente e della scheda Archivio per la creazione del software di acquisizione dei dati; si procedeva all’analisi della struttura dei fondi degli Archivi di Stato per la creazione di una organizzazione omogenea della banca dati; venivano messi a punto programmi finalizzati all’interrogazione e alla gestione della banca dati e alla creazione delle denominazioni uniformate a livello nazionale.
Il progetto, inizialmente concepito come un unicum, veniva successivamente suddiviso, per meglio rispondere alle disposizioni normative, in più progetti specifici adattati ai diversi Archivi di Stato e alle Soprintendenze archivistiche. Un lavoro per certi versi defatigante, che Enrica ha seguito con entusiasmo e abnegazione, affiancata da un team di pochissime persone; l’impostazione del progetto è stata oggetto di un’ampia discussione e se ne è scritto molto, con punti di vista differenti.
Nel frattempo sono intervenuti importanti cambiamenti sia sul piano della descrizione archivistica, con l’affermarsi degli standard internazionali, che sul piano dell’evoluzione, a dir poco strepitosa, degli aspetti informatici e digitali; dopo un lungo dibattito sulla necessità di reingegnerizzare il progetto originario, veniva avviato il successivo progetto SIUSA che ripartiva appunto da Anagrafe con nuove modalità di gestione e con l’utilizzazione di metodologie adattate ai cambiamenti. L’opera è stata proseguita per merito di un’altra grande archivista, Mariagrazia Pastura, e con la collaborazione della Scuola Normale di Pisa. Il progetto SIUSA è tuttora operante ed è diventato il sistema di riferimento per la descrizione degli archivi non statali.
Mi preme sottolineare, in questo contesto, la tenacia di Enrica nel perseguire i progetti di informatizzazione degli archivi, progetti innovativi che purtroppo hanno trovato un limite sia nel livello raggiunto dalle tecnologie del tempo, alquanto farraginose, sia nell’apparato burocratico dell’amministrazione.
Enrica si è posto, inoltre, il problema dell’importanza della figura dell’archivista e del ruolo che avrebbe dovuto avere in una società ormai avviata sulla via dell’informatizzazione, che avrebbe modificato il tradizionale formarsi degli archivi. In qualità di presidente dell’Associazione nazionale archivistica italiana, dal 1986 al 1996, si è preoccupata della valorizzazione della figura professionale dell’archivista in seno al Ministero e ha pubblicato la rivista «Archivi per la storia», in cui ha coinvolto gli archivisti a misurarsi con le diverse tematiche attinenti al loro lavoro, promuovendo seminari sulla descrizione archivistica, sugli strumenti di ricerca e di approfondimento sulle tipologie di archivi: archivi delle scuole, archivi giudiziari etc.
Negli ultimi anni Enrica ha sperimentato e trovato un altro campo in cui esercitare la sua vitalità e diffondere le sue idee di progettualità e di innovazione, quello della scrittura. Nei due volumi pubblicati (Voci in una stanza, Firenze, Pagnini, 2015 e soprattutto in Una vita da costruire, Castellana Grotte, Planet Book, 2017) si trova la freschezza, la genuinità e la passionalità nel descrivere eventi e sentimenti molto coinvolgenti, traendo esempi dalla vita reale e dalla storia.

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