La famiglia Bartoli ha di recente consegnato all’Archivio di Stato di Trieste alcuni documenti che integrano l’archivio di Gianni Bartoli (sindaco democristiano di Trieste dal 1949 al 1957), tra cui si segnalano quattro lettere autografe di Umberto Saba: lettere d’occasione tra due personaggi distanti per occupazioni e inclinazioni ma, a quanto appare, non remoti per indole e sensibilità.
Per Saba la politica ha avuto un’importanza marginale e non se ne occupò mai attivamente. Non apprezza l’ascesa democristiana: commenta l’esito del referendum popolare del 1946 – in cui la DC ottiene un vasto consenso – come “peggio della monarchia apolitica”, è scontento per l’esito delle elezioni della Costituente. In Opicina 1947 (destinata alla pubblicazione postuma) fa dire al “ragazzo comunista”: “Dopo il nero fascista il nero prete; questa è l’Italia” e ancora, nel 1948, la vittoria democristiana alle elezioni politiche lo contraria. Le simpatie socialiste degli anni Venti non sono smentite nel Secondo dopoguerra, quando in un articolo su «Il nuovo Corriere della Sera» (16 novembre 1946) si dichiara non ostile agli slavi. Le differenze ideologiche tuttavia non impediscono il manifestarsi di una simpatia rispettosa e persino di un’affinità, evidenti nelle lettere di Saba e verosimilmente ricambiate in quelle, purtroppo non pervenute, di Bartoli.
Lo scambio epistolare va dall’aprile 1956 al gennaio 1957 e trae origine da una visita del sindaco Bartoli a Lina Saba, da tempo sofferente e vittima di un’arteriosclerosi che ne aveva compromesso la lucidità: “la ringrazio per il sorriso che ha saputo – come per miracolo – richiamare sul viso di mia moglie. La povera donna […] si è, vedendola, come irraggiata. Erano mesi e mesi che non sorrideva e – se è destino che muoia prima di me – vorrei ricordarla sempre come la vidi in quel momento …”. La lettera si chiude con accenti di amarezza, non rari in Saba ma espressi con particolare intensità: “Io non sono più nulla (solo un essere che soffre al di là dell’umano) …” (Trieste, 5 aprile 1956).
La lettera successiva è scritta da Trieste l’8 novembre 1956. Sono gli ultimi giorni di vita della moglie, ricoverata da settembre all’Ospedale maggiore cittadino. Saba parla ancora della “bontà e carità” di Bartoli verso di lei, riferitegli dalla figlia Linuccia: “Quando mia figlia mi raccontò la sua bontà e carità per la mia povera Lina, mi disperava il pensiero di non poterle comunicare la buona notizia (non è quasi mai in sé, oppure dorme). Potessi almeno (pensavo e dicevo a Noretta)” [l’amica Nora Baldi] – “farla contenta per quella “coroncina” – dovuta alla sua bontà – che la città di Trieste le poneva sul capo”. La “coroncina” – un contributo del Comune di Trieste alle spese di spedalizzazione – viene ricevuta da una malata “miracolosamente, non solo del tutto sveglia ma anche perfettamente lucida”, che ne rimane “così commossa […] così lieta, come non la vedevo più dal giorno in cui lei la vide a casa mia …”.
Dal 1954 Saba, provato dalla situazione familiare, ogni anno si ricovera per alcuni mesi nella clinica San Giusto di Gorizia, dove si trova quando viene informato della morte di Lina, avvenuta il 25 novembre 1956. Le due lettere successive sono scritte dopo il lutto, di cui parla nella risposta a una cartolina d’auguri (28 dicembre 1956), cui il sindaco ha aggiunto a mano alcune parole. Il contributo alle spese mediche è di nuovo ricordato per il piacere che ha procurato alla malata: forse l’ultimo che ha provato nella sua esistenza terrena. Saba accenna all’imbarazzo per non aver potuto mantenere la promessa di una copia del Canzoniere al prefetto di Trieste Giovanni Palamara, ricorda di aver recitato il Padre nostro (“le più degne parole che possano affiorare su labbra umane”) sulla sepoltura della moglie. In chiusura, torna il lamento – ricorrente e tormentoso – della propria angoscia: “Sono molti anni ormai che non mi occupo più (nemmeno col pensiero) della “politica”; che, del resto, mi fu sempre funesta. Ma lei Bartoli è stato sempre così buono, così gentile con me, che non posso dimenticare la bontà del suo cuore. Lei vive nella vita, io ne sono ormai spiritualmente, fuori. Essa (la vita) non significa altro per me che un’indescrivibile, terribile angoscia”. Il ritiro dal mondo è irreversibile, dopo il funerale Saba torna alla clinica goriziana per non uscirne più.
L’ultimo scritto di Saba a Bartoli è del 30 gennaio 1957. Saba ricorda ancora la gioia di Lina per la generosità del sindaco, leitmotiv di queste lettere: “mi disperai pensando di non poterla comunicare alla Lina, che non era più, quasi mai, in sé: certo com’ero che, a parte ogni questione pratica, di soldi, ne sarebbe rimasta commossa, e altro. Dio permise che, il giorno dopo, la trovassi, sia pure per pochi momenti, lucida. Tranne un saluto che mi dette – e fu l’ultimo – due giorni prima della sua morte, la benedizione che, dopo un momento di dubbio (temeva cioè che avessi inventata la notizia, per farle piacere) benedisse – testimonio la Noretta – lei e me”. Il rapporto tra i due travalica ormai l’occasione da cui è nato, se lo stesso Bartoli – che di lì a qualche mese si dimetterà dalla carica di sindaco – ha espresso al poeta i “pesi del suo ufficio”: “L’angoscia della quale mi parla nella sua lettera, l’ho portata, purtroppo, per tutta la vita. Negli ultimi anni si è acuita; e passo giornate così, a volte, difficili, che non so come arrivare alla sera” e ancora “Addio, caro Bartoli. Non si affatichi a rispondermi; sopporti meglio che può i pesi del suo ufficio. Che vuole che le dica? Gli onori e il potere si pagano sempre cari; è forse per questo che – conoscendo i miei limiti e la mia debolezza – li ho sempre, per quanto possibile, evitati (parlo, va da sé … di onori poetici)”. Segno della simpatia verso Bartoli è l’invito a fargli visita nella clinica di Gorizia, dove ormai risiede e dove morirà:” Se vorrà e potrà, senza suo grave scomodo, venire a trovarmi, mi farà un regalo”: un’apertura significativa in un uomo incline, sin da ultimo, ai rapporti epistolari – sempre fittamente coltivati – ma restio a contatti personali diretti.
Dopo la morte del poeta, l’estremo omaggio – ufficiale – del sindaco Bartoli: con un telegramma a Linuccia ricorda “il cantore di Trieste, primo poeta d’Italia”, informandola che “il Comune disporrà degne onoranze”.
Per saperne di più
Per le vicende personali di Saba, il riferimento è a Stelio Mattioni, Storia di Umberto Saba, Trieste, Camunia 1989.