Si è tenuto a Udine “Storie nella storia “, il corso che ha guidato un folto numero di iscritti in un viaggio di scoperta della storia famigliare, tra archivi, banche dati e siti che si occupano di genealogia e di memoria del territorio.
Realizzato dall’Università delle Libereta’ di Udine – Centro di formazione per adulti tra i più accreditati in Italia nel settore dei progetti di long learning – il corso è stato preceduto da una fase di studio affidata a due ambiti disciplinari, quello storico-archivistico e quello psico-sociologico di comunità. Il Comune di Udine, partner istituzionale del corso, da molto tempo si occupa del rapporto tra conoscenza attiva e benessere. Un rapporto complesso, già sviluppato nei settori del welfare, dell’associazionismo dello sport e del tempo libero per la terza età che – a giudizio dell’ assessore alla Cultura Federico Pirone – poteva avviare una nuova esperienza per stimolare altre energie creative, a vantaggio di una città che sta riflettendo molto sulla propria identità storica. «La memoria – ha spiegato Pirone – è una pratica centrale in una comunità e lo è, a maggior ragione, per una realtà urbana che ha portato il peso e la responsabilità di intensi cambiamenti nel secolo scorso». Udine ha un passato millenario. È stata insediamento strategico dell’antico stato patriarcale e una delle capitali del dominio veneto. Ma è solo la crescita veloce, avvenuta tra Ottocento e Novecento, che l’ha trasformata nel principale centro urbano del Friuli. Pertanto, nella percezione di molte generazioni, la città è diventata il catalizzatore di scelte e destini, immagine di sfondo di ricordi e racconti familiari, luogo dove si sono perse e trovate risorse, opportunità, gioie e dolori. La memoria pubblica raramente riesce a restituire questo intreccio, interfacciando microstorie e macrostoria, neppure quando descrive gli eventi cruciali del Novecento, periodo in cui Udine è diventata la “capitale della guerra “nel primo conflitto mondiale, medaglia d’oro della Resistenza negli anni della lotta di liberazione dal nazi-fascismo, o terra di approdo per i profughi istriani e per la nuova immigrazione del Dopoguerra. Dunque si trattava di dare valore alle narrazioni spontanee che allargano la base dell’identità storica e consolidano la relazione tra la città e chi la abita.
Progettisti e docenti del corso hanno quindi costruito il contesto adatto a facilitare questo contatto anche con la collaborazione dell’Archivio di Stato che ha messo a disposizione competenze e fonti per le esercitazioni. Non va trascurato a questo proposito l’apporto del portale Antenati. Questa banca di dati e immagini, qualificata ed esaustiva per una vasta area del territorio italiano, ha reso infatti più facile l’ideazione di “Storie nella storia”, sia in fase di progetto che in molti passaggi didattici. Non è questa la sede dove trattare gli aspetti strettamente metodologici che hanno guidato le varie fasi del percorso e messo in relazione le due discipline. Basti la sintesi dei criteri scelti per risolvere il delicato passaggio dal piano di memoria autobiografica a quello della storia: dare spazio ai ricordi personali per poi ricondurli in uno scenario più ampio, riconoscere la relazione affettiva e intima di un rapporto parentale per passare alla famiglia come soggetto portatore di caratteri dell’ambiente, partecipe dei suoi processi storici. Un altro requisito da non trascurare riguarda la conduzione formativa per consolidare il presupposto di comunità di ricerca. Il corso si è svolto in forma di laboratorio aperto all’ interazione. Gli elaborati sono stati sempre condivisi tra i partecipanti anche quando sorgevano difficoltà, ipotesi di insuccesso in presenza di vuoti informativi e di dubbi sulle risorse personali di partenza. Non tutti gli iscritti infatti erano sicuri di saper raccontare o di potersi appoggiare ad un anziano capace di fungere da memoria storica della famiglia. Inoltre, molti ritenevano di non disporre di nuclei di documenti validi e di non poterli reperire. Ma, soprattutto, la maggior parte pensava di avere tra le mani una storia esile, non degna di essere raccontata perché senza eroi e senza fatti esemplari. Un preconcetto che proprio l’interazione di gruppo ha saputo ridimensionare quando un timido frammento di racconto ha potuto confrontarsi, trovare stimoli, corrispondenze, analogie, suggerimenti nello spezzone di storia narrata da un compagno o di una compagna di corso.
Questo processo di innesti e incroci, molto utile per proiettare su un piano più generale il particolare soggettivo, mi è sembrato molto efficace nella trattazione dell’albero genealogico, uno dei “classici” della ricerca storico-famigliare. Scelto da larga parte degli iscritti come autorappresentazione, “fine” e unico obiettivo del proprio lavoro (quel grappolo di nomi appesi ad un bel intreccio di rami ha sempre appagato i genealogisti) si è rivelato invece il “mezzo” per entrare nelle strutture familiari, vederne le trasformazioni nel tempo, compararle e proiettarle su un sistema comunitario. Attraverso l’uso appropriato delle fonti anagrafiche, di stato civile, o della leva, operando in modo sistematico nella raccolta di dati e loro attribuzione ai nuclei familiari, l’albero genealogico, infatti, è diventato pagina aperta su consuetudini, tendenze e comportamenti. Ci si riferisce in particolare alla trasmissione tra le generazioni di nomi, soprannomi, professioni; all’ età delle unioni matrimoniali, al numero di figli per ogni coppia, alle convivenze, al radicamento geografico. Si è rivelato anche un buon dispositivo per intuire fattori esterni che hanno agito sui cambiamenti: mortalità di bambini, adulti, anziani, separazioni dal ceppo originario, emigrazioni. Incentrato sulle generazioni nate tra la prima metà Ottocento e la metà del Novecento (livello accessibile per la maggior parte degli iscritti), questo compendio informativo si è prestato anche ad un utile confronto. La Prima guerra mondiale, ad esempio, per varie famiglie analizzate, aveva stravolto il nucleo originario. La crisi alimentare, le epidemie di difterite, tifo, malaria, spagnola avevano falcidiato bambini e anziani. I capifamiglia e i maschi adulti, morti al fronte, avevano ridisegnato interi gruppi parentali. Una popolazione di vedove segnava la fine di un’unione coniugale e l’inizio di convivenze obbligate nella casa di suoceri e figure patriarcali.
Mi piace a questo punto ricordare il commento di Luciano, uomo solare, capace di togliere cupezza al dramma dei vissuti. È lui che, osservando il diagramma di una genealogia proposta come caso di studio, ha portato all’attenzione dei corsisti la velocità del cambiamento e l’affacciarsi di nuovi modelli in seguito alle leggi degli anni Settanta del Novecento che hanno legalizzato il divorzio, i secondi matrimoni, e, più di recente, le convivenze senza nozze. Sono famiglie nuove – ha osservato – che sovvertono l’identità che le generazioni più anziane avevano assimilato dalla tradizione.
La necessità di esplorare tradizione, principi educativi, scelte di vita autonome o vincolate da regole, e le conseguenti relazioni con la comunità di appartenenza, ha aperto ai corsisti il passaggio dall’ albero genealogico alla narrazione ragionata. In questa fase, che richiedeva un’aggiunta di competenze per la cernita delle fonti e la rivisitazione dei ricordi, i docenti hanno suggerito la scelta di una figura esemplare o di un piccolo gruppo di antenati per entrare più profondamente nelle loro vicende. L’ operazione ha allargato anche il territorio di conoscenze delle discipline che potevano supportare la corretta comprensione di temi, tracce, testi e documenti, nella prospettiva del discorso storico attento al cambiamento. Si è parlato delle scienze giuridiche che chiariscono le norme che regolano doti, diritti ereditari e transazioni finanziarie; delle scienze economiche che leggono nella famiglia i caratteri di produzione, di lavoro e di consumo; delle scienze sociali che esaminano le strutture di parentela, i rapporti tra genitori e figli, mariti e mogli, bambini e anziani; dell’antropologia che interpreta mentalità, comportamenti sessuali, costruzioni di identità di genere. Tutti temi chiaramente emersi durante l’analisi dell’albero genealogico o nella produzione di ricordi che, con gioia, venivano abbozzati nei primi esercizi di scrittura biografica. In questo segmento hanno trovato posto le lezioni sulla lettura e interpretazione delle fotografie. I ritratti di gruppo, le scene di matrimonio, un’istantanea d’altri tempi sono enigmatiche presenze che suscitano sempre tante domande e, se ben interrogate, raccontano fatti significativi.
Il workshop condotto da Vittorino Lepore, frequentatore del corso ma anche arbitro e indicizzatore di Antenati, ha completato la formazione con un excursus sull’utilizzo di banche dati e di software adatti a organizzare i materiali che generalmente vengono raccolti lungo il percorso. Il portale Antenati è stato preso in esame come esempio di struttura web dotata di navigazione semplice e intuitiva: una sala di studio virtuale che mette a disposizione limpide immagini per milioni di documenti come fossero originali da sfogliare, leggere, studiare. Ma Antenati non è solo questo. Durante il workshop si è potuto illustrare il progetto e le finalità che lo rendono più complesso e sofisticato di quanto appaia. Il portale esprime un’idea di valorizzazione di un bene culturale, dispiega nelle varie sezioni i fini della sua conservazione nella rete territoriale degli istituti. Ma c’è dell’altro. Antenati offre a un utente anche la possibilità di trasformare una curiosità in passione e abilità. Il portale infatti coinvolge i genealogisti e chiunque voglia cimentarsi con antiche scritture nella implementazione degli indici nominativi che alimentano la sezione ‘ Trova i nomi’. Chi partecipa come indicizzatore a far crescere questa parte del progetto impara a estrarre informazioni dai testi documentali e a trascriverle su una piattaforma specifica sotto la guida di un tutor e la supervisione di un arbitro che risolve eventuali problemi interpretativi di voci e grafie. Vittorino Lepore ha un lungo curriculum come indicizzatore e arbitro, conosce le fonti e le loro tipologie, conosce tanti utilizzi possibili offerti dal portale ma è anche un maestro nel campo dei software di archiviazione genealogica. I suoi grafici, resi con software idonei e riferiti a interi gruppi parentali di paesi friulani, hanno dimostrato altre potenzialità social di cui i corsisti potevano impossessarsi.
Il progetto “Storie nella storia” aveva ipotizzato come punto d’arrivo una lettura pubblica di alcune biografie cui far seguire una disseminazione di questa esperienza. Pirone aveva presentato il corso scrivendo: «Il salto di qualità, al quale siamo chiamati oggi, sta nel generare meccanismi di formazione e di partecipazione che coinvolgano in maniera piena le persone e le rendano coautrici della costruzione della memoria». Le storie cui si è data voce alla chiusura del corso hanno confortato le aspettative. Tutte le biografie familiari, sia quelle elaborate e concluse, sia quelle appena abbozzate e ancora oggi in lavorazione, hanno coinvolto una comunità che prima ignorava l’esistenza di fatti e persone. Sono storie di figli orfani della Prima guerra mondiale, di famiglie del Collio sloveno che hanno optato per la cittadinanza italiana e sono arrivate a Udine nel 1947, sono generazioni cresciute nel cono di luce e di ombre di una stretta educazione religiosa, sono famiglie alla periferia della grandeur dei palazzi urbani. Non contro-storie, ma solo altre storie. La città e i luoghi in cui sono state ambientate hanno assunto un valore di testimonianza sia per chi ha scritto che per chi ha ascoltato. Se vogliamo aggiungere una considerazione su come le microstorie convergano sull’ identità di una città, pensiamo solo che un luogo non è una definizione geografica, che anche un luogo gode buona salute proprio quando la sua identità storica si trasforma e cresce nel rapporto tra passato e presente, tra chi l’ha abitata e chi la abita ancora o per la prima volta.
Il corso, avviato nel mese di gennaio e concluso nel mese di maggio, è stato tenuto da Roberta Corbellini per la parte storico-archivistica e da Orietta Pagnutti per la parte psico-sociologica di comunità. Laura Cerno, dell’Archivio di Stato di Udine, ha condotto le visite guidate all’ istituto, la presentazione delle fonti per la storia familiare e ha assistito i corsisti nella fase di ricerca in archivio.