Lo stigma che da sempre circonda chi soffre di un disagio mentale ha fatto sì che, per lunghi periodi, le ricerche genealogiche si interrompessero davanti alle porte degli archivi degli ex ospedali psichiatrici; in anni più recenti, sempre più spesso i ricercatori cercano di ricostruire tasselli delle proprie storie familiari integrando anche con notizie sui parenti ricoverati in queste strutture.
Sicuramente è un bene che questo tabu sia caduto, perché negli archivi degli ospedali psichiatrici possiamo trovare una miniera di notizie sulla vita privata e familiare dei ricoverati.
Fondato da Francesco IV d’Este nel 1821 come “Casa de’ pazzi degli Stati estensi”, l’Ospedale Psichiatrico S. Lazzaro di Reggio Emilia fu uno dei più grandi ospedali psichiatrici italiani, che rimase in funzione finché la legge 180/1978 non ne sancì la chiusura ed accolse, negli oltre 150 anni di attività, quasi 100.000 ricoverati. Da questi dati si può intuire quali siano le dimensioni dell’archivio: conserva infatti circa mille buste di documentazione amministrativa e altrettante di sanitaria. Per la storia del San Lazzaro si rimanda al volume Il cerchio del contagio: il S. Lazzaro tra lebbra, povertà e follia, 1178-1980: S. Lazzaro: ex padiglione Lombroso (Bergomi M. (et al), eds.,11-30 aprile 1980, Reggio Emilia, 1980). Per informazioni sulla parte amministrativa si rimanda alla pagina degli inventari dell’Archivio del San lazzaro all’interno del sito dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Reggio Emilia; per la parte sanitaria si segnala che è in corso la schedatura delle cartelle cliniche tramite il software Arcanamente, nell’ambito del progetto ministeriale Carte da legare; per recuperare la documentazione, sono ancora in uso elenchi alfabetici compilati negli anni ’90-2000 e i registri di ingresso; nei registri troviamo sostanzialmente i dati riportati sulla prima pagina delle cartelle: data anagrafici, diagnosi ed esito.
Un primo abbozzo di documentazione sanitaria viene introdotto durante la direzione di Luigi Biagi (1855-1870), ma la cartella clinica vera e propria arriva nel 1871, con una struttura molto semplice. Un nuovo modello di cartella viene introdotto nel 1876 (Tamburini A., Le nostre tabelle nosografiche, in “Gazzetta del frenocomio di Reggio”, anno II, numero 3-4, pp. 28-32), per poi essere sostituito nel 1880 da quello che rimarrà pressoché costante per il secolo. (Tamburini A., Le nostre nuove tabelle nosografiche, in “Gazzetta del frenocomio di Reggio”, anno VI, numero 3, pp. 48-50).
La cartella clinica è la fonte principale di informazioni sul ricoverato e spesso contiene diversi riferimenti alla storia familiare, molto utili se vogliamo andare a ricostruire un albero genealogico: questo soprattutto perché dal positivismo alla metà del ‘900 la psichiatria italiana si è caratterizzata per l’orientamento organicista e per la ricerca di possibile cause ereditarie nell’origine dei disturbi psichiatrici. Ne troviamo un chiaro esempio nella cartella di Giuseppe F., ricoverato al San Lazzaro 12 giugno 1909, con diagnosi di demenza traumatica in degenerato epilettoide, uscito due anni dopo per trasferimento all’ospedale psichiatrico di Belluno: è conservato un albero genealogico, degno di un romanzo di Zola, che analizza le tare ereditarie del lato paterno (in blu) e materno (in rosso), segnalando casi di abuso di alcolici, attacchi epilettici, isteria ecc.
La cartella normalmente è composta da una prima pagina, che contiene nella parte alta i dati anagrafici del malato (con indicazioni sulla professione, le condizioni economiche, la condotta morale), in quella centrale la diagnosi e infine i dati sull’uscita (per guarigione, decesso, affidamento a parenti…); seguono l’anamnesi e il diario clinico, in cui vengono indicati lo stato del malato al momento del’ingresso e le cure prestate durante la sua permanenza; si annotano anche le visite dei parenti (o la loro assenza) e la reazione affettiva del malato (ad es. “Non mostra di avvertire la mancanza dei suoi genitori”. Cartella clinica di Ferruccio D.)
Viene normalmente allegata alla cartella la “modula”, ossia il documento compilato dal medico condotto, che testimonia la presenza di disturbi e traccia un veloce quadro clinico del caso; questo modulo, controfirmato dall’autorità civile, era necessario per poter richiedere il ricovero coatto nell’ospedale psichiatrico. Essendo compilato dal medico sulla base della conoscenza diretta del malato o sulle informazioni raccolte da chi gli era vicino, possiamo considerare normalmente attendibili le informazioni familiari che troviamo in essa. Tra le domande a cui il medico condotto doveva rispondere, segnaliamo ad esempio: “Indole morale prima della presente malattia, educazione e istruzione ricevuta, grado d’intelligenza, inclinazioni, consuetudini e occupazioni predilette. […] Se altri di famiglia in linea ascendente o discendente o laterale sieno stati alienati di mente, od abbiano sofferto malattie nervose in genere; e se tra genitori e progenitori sieno avvenuti matrimoni consanguinei, o con isterici, epilettici, coreici, ecc; se con grave differenza d’età dall’uno all’altro de’ coniugati. Per quali malattie morirono i genitori, i fratelli, le sorelle o se in famiglia vi sieno o sieno stati individui notati per originalità o stranezze, per nervosismo, per qualche inormalità nella costruzione fisica, per indole cattiva o perversa”.
Di norma confluivano nella cartella anche altri documenti: la corrispondenza con i parenti e con gli enti (e le minute delle risposte dei medici), le perizie medico-legali, vari scritti autografi o disegni. Questi materiali sono spesso una fonte ricca di dati familiari, come risulta da questa lettera, scritta dal padre di una ricoverata (Ersilia P.) al direttore: “Illustrissimo Signor Direttore, nell’accusarle ricevuta della gentilissima sua del ed a riscontro della stessa mi corre obbligo di darle i particolari richiesti su me. Comecché sia molto difficile il compito nel riconoscere esattamente il proprio carattere e gli annessivi difetti, pure per compiacerle non mancherò di farlo. Nacqui in Firenze nel 1834, e nell’età infantile ricordo, che la mia buona madre mi diceva sovente con rammarico, di avermi nutrito con latte non sano […]”
La lettera prosegue con una minuziosa descrizione della vita dell’uomo, alternando la descrizione delle malattie sofferte con notizie su viaggi, cambi di lavoro ed eventi familiari. A questa seguono altre due lettere, dove descrive lo stato di salute della figlia ricoverata (“Come meglio so e posso proseguo a narrarle i particolari che secondo il mio debole giudizio furono concause alla sventura di cui oggi si deplora l’avvenimento.”) e quello degli altri componenti della famiglia.