L’annuale appuntamento di maggio dedicato alla Giornata nazionale degli archivi di architettura, per l’ottava sua edizione, vede l’Associazione nazionale Archivi Architettura contemporanea (AAA/Italia) impegnata nell’organizzazione di una rete di manifestazioni sul tema degli Spazi aperti declinato negli ambiti dell’architettura dei giardini e dell’architettura degli esterni.
Il sistema di manifestazioni su scala nazionale prevede, nelle varie sedi, convegni, conferenze, giornate di studi, mostre e visite guidate ad architetture contemporanee e ad archivi su questo tema che in Italia, ad onta della rilevanza quasi identitaria di una specifica “civiltà” artistica nel settore durante tutta l’Età moderna, nel periodo novecentesco dell’Età contemporanea ha registrato un innegabile fenomeno di flessione nella collettiva consapevolezza culturale.
Nonostante la vasta produzione ottocentesca sia di giardini che di parchi (pubblici e privati) e di spazi aperti (basti pensare alla “crociata” di chiara impronta positivista dei piani regolatori e di ampliamento nei primi cinquant’anni dell’unità nazionale), l’Italia del XX secolo è stata afflitta da un’inquietante alienazione o eliminazione di testimonianze di giardini storici, mentre di contro si assisteva ad un’imponente proliferazione di giardini privati legati alla riforma della cultura dell’abitare e ad una più diffusa qualità della vita (cui non necessariamente ha corrisposto una qualità culturale di prodotti nel settore).
Invero la stagione novecentesca delle esposizioni, a partire da quella di Milano del 1906 fino al complesso per la Mostra delle Terre d’Oltremare di Napoli del 1940 (con momenti significativi, per quanto non sempre condivisibili in quanto ad ordinamenti, come le esposizioni del 1911 a Roma e a Torino) e ancora oltre con l’esposizione di Torino del 1961, ha avuto innegabilmente un ruolo di officina progettuale per l’architettura del verde e degli spazi aperti; analoga importanza hanno, in questa direzione, i parchi delle rimembranze e i cimenti progettuali nel più ampio quadro, durante il secondo decennio del regime fascista, della strategia di “riordino” delle città o delle rifondazioni in ambito metropolitano o nell’oltremare (basti pensare all’architettura degli esterni e dei giardini per l’Albania e per il Corno d’Africa, per la Libia e per Rodi e il Dodecanneso) e, nel dopoguerra, l’impegno di riqualificazione urbana e territoriale coralmente assunto da istituzioni pubbliche e da nicchie di committenza privata, anche di matrice aziendale (valga per tutti il “caso Olivetti”).
Nonostante il formidabile rilancio operato dalla Mostra del Giardino Storico di Firenze del 1931, in occasione del quale i due concorsi per un Giardino pubblico e per un Giardino privato hanno sortito l’effetto di rimettere in discussione un particolare settore della cultura del progetto allora profondamente decaduto nella didattica universitaria (come del resto sarà fin quasi allo scadere del miracolo economico), l’Italia per gran parte del secondo Novecento segnerà il passo in questo settore rispetto alla maggiore, o più diffusa, attenzione mostrata in alcuni altri ambiti internazionali, a meno di casi eccellenti. Si distinguono infatti fra gli italiani, solo occasionalmente in relazione gli uni con gli altri e sia pure con le dovute differenze quanto a continuità di produzione, Elena Balsari Berrone, Augusto Cagnardi, Francesco Clerici, Luigi Cosenza, Giulio Crespi, Raffaele De Vico, Francesco Fariello, Stefania Filo, Ferrante Gorian, Marcello Nizzoli, Gilberto Oneto, Ettore Paternò del Toscano, Paolo Pejrone, Ippolito Pizzetti, Pietro Porcinai, Giuseppe Samonà, Carlo Scarpa, Maria Shepard Parpagliolo, Marco Pozzoli, Alessandro Tagliolini, Francesco Venezia, Vittoriano Viganò.
Fin dalla fine degli anni Sessanta del XX secolo, con la messa in discussione dell’eredità, o più opportunamente dell’onda lunga, dell’esperienza funzionalista, non poche variabili della generale revisione critica della cultura del progetto contemporaneo finiscono inesorabilmente, in Italia come nel resto dell’Occidente, per convergere sull’esigenza di recuperare il senso del “luogo” come punto di partenza per una rifondazione dell’architettura. La diffusa volontà di riguadagnare alla dimensione del progetto architettonico gli “spazi aperti”, definizione estesa anche alle adiacenze di pertinenza del costruibile, ha portato inevitabilmente alla rinascita dell’interesse nei confronti delle sistemazioni delle cosiddette “aree a verde”. Ma la mancanza di consapevolezza, per inadeguatezza di formazione culturale, delle collettività e l’impermeabilità della grande committenza, sia pubblica che privata, ad aspetti che non siano solo quelli meramente quantitativi (quand’anche in relazione agli spazi aperti) fa sì che, nonostante la nutrita compagine di iniziative (dalla fondazione dell’Associazione Italiana Architetti Paesaggisti all’istituzione delle scuole di specializzazione in architettura dei giardini e progettazione del paesaggio di Genova e di Palermo), di pubblicazioni e di convegni e mostre, l’Italia oggi debba lamentare una cronica deficienza di “spazi aperti” qualificati e di attenzione alle “architetture dei giardini” e alle “architetture degli esterni”; questo, soprattutto in relazione alle realizzazioni d’Età contemporanea.
Obiettivo, dunque, del sistema di manifestazioni per la Giornata nazionale degli archivi di architettura di quest’anno, organizzata da AAA/Italia, è quello di suscitare una più ampia sensibilizzazione nei confronti sia di un patrimonio che è stato peculiare del profilo culturale italiano (artistico, architettonico ma anche tecnico e scientifico, nelle varie componenti dall’avanzamento dell’impiantistica alle sperimentazioni e acclimazioni botaniche), sia di quei giacimenti di conoscenza, anche nello specifico, che sono gli archivi. Questi ultimi, pubblici o privati che siano, proprio nei settori della cultura del progetto (intesa come coordinamento di varie componenti, artistiche e scientifiche, finalizzato alla migliore definizione dell’ambiente vissuto) di giardini, parchi e spazi aperti, sono fra i principali detentori delle documentazioni non solamente di quanto realizzato (quindi permettendo il disvelamento o la parziale comprensione dei meccanismi formativi e dell’iter esecutivo) ma anche delle tante proposte progettuali prive di seguito che, tuttavia, costituiscono non di rado veri e propri “anelli mancanti” nella comprensione degli sviluppi di questa specifica disciplina e della sua vocazione alla sperimentazione architettonica. Eppure proprio quest’ambito si rivela particolarmente vulnerabile in termini di conservazione dell’esistente (per invasivi interventi di manomissione e di trasfigurazione oppure per mancanza di manutenzione e per disinvolte rimozioni o totali distruzioni) e, al tempo stesso, di presenza documentaria.
Si è verificata, infatti, negli ultimi decenni una preoccupante perdita di documentazioni d’archivio; basti pensare alla scomparsa degli elaborati, soprattutto tecnici, di intere realizzazioni, oltre alla dispersione “fisiologica” per quanto riguarda gli archivi dei progettisti che, soprattutto nel secondo Novecento, hanno sostituito “ingombranti” collezioni cartacee con la relativa documentazione fotografica, soggetta più facilmente a globali dispersioni. Ma va anche sottolineato che questo settore della cultura del progetto il più delle volte non ha potuto beneficiare, per la sua salvaguardia, nemmeno di una esaustiva prassi del deposito degli elaborati grafici per le autorizzazioni di rito presso gli archivi pubblici (per i quali sovente sono stati prodotti elaborati di massima o semplicemente preliminari).
Questo patrimonio, sia effettivo che documentario, dalla indubbia valenza qualificante l’ambiente vissuto e dalla rilevante vocazione sperimentale, è oggi particolarmente a rischio, vuoi per sopravvenuta insensibilità culturale (davvero inquietante per l’Italia, culla dell’Arte dei giardini già agli albori del periodo umanistico) vuoi per la facile discrezionalità nella gestione delle opere realizzate e, talvolta, delle testimonianze documentarie.
In un’Italia che negli ultimi tre decenni, tanto nel pubblico quanto nel privato, poco investe per architetture di qualità (frustrando e debilitando la stessa cultura del progetto) e che per logiche strumentali non è disposta a scommettere in realizzazioni a lungo termine, come in genere sono gli spazi aperti quando concepiti come architetture degli esterni connotate dalla componente dell’Arte dei giardini, proporre un capillare sistema di eventi votati ad un’ampia riflessione interdisciplinare su questo tema, anche per un rilancio rifondativo, è una scelta che non può mancare nell’ambito di quel ventaglio di azioni finalizzate alla conservazione, alla valorizzazione e alla formazione, con le quali si identifica il profilo ideologico di un’associazione di archivi di architettura.