«E così eccomi in guerra aperta col signor direttore. Si capisce: io sono uno straordinario, pel momento: io sono entrato nel sancta sanctorum senza i titoli che ci vogliono. Titoli? E il mio ingegno, il mio passato? Questi signori non vedono che bibliografia, schedatura, inventarii. E guai a chi è qualcuno o qualcosa!»
In una novella del poliedrico Salvatore Di Giacomo (Napoli, 1860 – 1934), giornalista, poeta, bibliotecario, autore della celeberrima canzone A Marechiare, troviamo un’ironica schedatura, a sottolineare i limiti e la freddezza di alcune pratiche rispetto all’indescrivibile immensità dell’essere umano.
La parola schedatura deriva dal latino schĕda(m), a sua volta dal greco tardo skhédē ‘foglio di papiro’ e ‘tabella, carta’. Sull’origine del vocabolo scheda non si hanno notizie certe, se non che è attestata in italiano a partire dalla fine del XVI secolo.
Dal maggio del 2019 l’Accademia della Crusca ha messo a disposizione on line, gratuitamente, il Grande Dizionario della Lingua Italiana UTET, GDLI, conosciuto come il “Battaglia”, dal nome del suo fondatore. Sotto il lemma schedatura (sostantivo femminile) troviamo: «Compilazione di schede per organizzare uno schedario. In particolare: registrazione e trascrizione su schede di appunti, note e informazioni di carattere linguistico, bibliografico, scientifico, biografico, di passi e di citazioni che interessano ai fini di una ricerca storica, filologica, erudita, ecc.».
Da questo quadro generale, riferibile a molteplici campi d’attività, emerge la dimensione razionalistica in cui si colloca l’attività della schedatura: schedare vuol dire ordinare il (o, almeno, un) mondo, identificandone gli elementi costitutivi ritenuti pertinenti per un’inventariazione dei suoi contenuti. Ambisce all’oggettività, la schedatura, ma è per forza di cose figlia di una visione del mondo. L’insofferenza di Salvatore Di Giacomo, vantando il primato dell’ingegno umano, irriducibile alle griglie classificatorie, illumina in modo spiccio ma poetico un altro panorama mentale ed emotivo, facendo tralucere forse un’antropologia alternativa o un’epopea romantica.
Eppure, lavorare stanca, se non (ci) si organizza. E nel “mondo degli archivi” – che nella fase attuale della civiltà info-mediale della cattura dei dati tende a sovrapporsi al mondo reale dei corpi e delle identità – la schedatura è, da sempre, uno dei princìpi fondamentali e strutturanti della carta costituzionale di settore.
La schedatura archivistica è un atto ed è il risultato del medesimo atto. Un movimento e un fatto. Nella gestione e nel mantenimento di un archivio cartaceo o digitale, la scheda d’archivio permette di ritrovare facilmente i documenti conservati, di conoscere dove sono collocati e di gettare un primo sguardo d’insieme sul loro contenuto. Naturalmente è decisivo determinare (e in parte predeterminare) la logica cui deve obbedire la scheda.
Se la logica avrà una logica, la schedatura e, concretamente, lo schedario si presenteranno come l’insieme coeso e coerente delle schede, cioè delle unità fondamentali sulle quali si basa il corretto funzionamento dell’intero archivio.
La scrittrice Melania Gaia Mazzucco (Roma, 1966), nel romanzo Vita (2003) introduce uno scenario grandioso, che molti archivisti oggi conoscono come progetto concreto nel quale sono impegnati, fondato sul lavoro di schedatura: «L’unica traccia dell’esistenza favolosa e insieme banale di Lena sono i censimenti della città di New York. La Chiesa dei Santi dell’Ultimo Giorno – meglio conosciuti come Mormoni – ha iniziato una sorta di schedatura universale delle famiglie, forse affinché ognuno, sapendo dove è diretto, sappia da dove viene. O forse, più laicamente, perché resti almeno una scia del suo effimero passaggio. Sono stati microfilmati milioni di atti di nascita, matrimonio, residenza e morte. Gli italiani – per congenita diffidenza nei confronti della memoria, dell’eternità e dell’universale o per scaramanzia – hanno fornito elementi imprecisi e contraddittori».
Con una specifica accezione troviamo schedatura nel romanzo di Salvatore Mannuzzu (Pitigliano, GR, 1930 – Sassari, 2019) Procedura (1988). Siamo alle prese con un caso giudiziario e con le indagini di un magistrato che si sta occupando della morte di un collega. «La polizia così si era ricordata di lui, che già doveva avere dentro un suo scartafaccio o schedatura, o nella memoria di qualche graduato».
Questo tipo di schedatura è, per così dire, la più manifesta adibizione di un’operazione organizzatrice di dati ai fini del controllo sociale, sancita dal diritto e dal potere: si raccolgono e registrano su scheda informazioni e dati relativi a sospetti, pregiudicati o altre categorie di persone ritenute pericolose per la sicurezza nazionale.
A proposito, se avete la necessità o la curiosità di sapere se siete presenti (“schedati”) nella banca dati delle forze di Polizia, potete farne richiesta alla Direzione Centrale della Polizia Criminale del Ministero dell’Interno, in base all’articolo 10, terzo comma, della legge 1° aprile 1981, n° 121.
In fondo sono più preoccupanti – in via di principio e in considerazione della sostanza fragile della nostra libertà – l’autoschedatura (vogliamo chiamarla così?) cui, spesso poco consapevolmente, ci sottoponiamo nell’atto di fornire i nostri dati, più o meno sensibili, su piattaforme on line allo scopo di fruire di determinati servizi e la schedatura vera e propria che permette agli algoritmi elaborati dalle grandi compagnie internazionali di profilarci come potenziali consumatori, come portatori di bisogni specifici da soddisfare (pagando), perfino come elettori ma, più in generale, come fasci di relazioni sociali, politiche ed economiche orientabili, acquisibili e rivendibili nel mercato dell’infosfera, dove le (in)visibili pistole della mercatura (mercato + dittatura) dettano legge.
Il passo verso la fantascienza distopica è breve. Conviene leggere o rileggere, a questo proposito, il contributo di Dario Taraborrelli Ma gli androidi creano archivi digitali? Westworld, Blade Runner 2049 e gli archivi, pubblicato agli inizi del 2019 nel Mondo degli Archivi. Qui la riflessione dell’autore travalica il presente per soffermarsi su «come alcune caratteristiche tipiche del genere della fantascienza vengano proiettate sugli archivi come la paura del grande blackout che azzera la storia, il confitto tra umani e intelligenze artificiali, la decodifica tecnica della coscienza».
Pellicole in cui «le strutture archivistiche e i documenti in esse conservate diventano in entrambe le narrazioni [Westworld e Blade Runner 2049, ndr] il luogo dove condensare paure del presente e interrogativi sul futuro, proponendo una commistione originale tra cliché tipici dell’iconografia archivistica con visioni inedite delle nostre care scaffalature colme di faldoni».
Per saperne di più
Il Grande dizionario della lingua italiana Utet
Direzione Centrale della Polizia Criminale
Dario Taraborrelli, Ma gli androidi creano archivi digitali? Westworld, Blade Runner 2049 e gli archivi, in «Il mondo degli archivi», 11 febbraio 2019