Gli archivi di impresa non parlano solo di contabilità, rapporti di lavoro, filiere produttive, tecnoloigia, comunicazione di prodotto. A volte documentano vicende umane che coinvolgono dimensioni sociali, politiche, giudiziarie, che incrociano passaggi chiave della storia di un Paese o della vita di una comunità.

Un esempio particolarmente efficace è dato dal progetto “Le vite” (già presentato sulle pagine del Mondo degli Archivi), che sta conoscendo sviluppi importanti dal punto di vista del coinvolgimento e della partecipazione di utenti e istituti alla costruzione di una narrazione partecipata.

Punto di innesco della ricostruzione delle storie via via individuate sono le carte dell’EGELI – Ente gestione e liquidazioni immobiliari (Vai alla pagine del fondo), costituito nel 1938, all’indomani della emanazione delle Leggi raziali, per dare seguito alla spogliazione dei beni appartenenti alle famiglie ebraiche. Il fondo EGELI fa parte dell’Archivio storico della Compagnia di San Paolo, uno dei più importanti archivi bancari al mondo, le cui carte abbracciano un arco cronologico che parte dal 1563 per arrivare all’ultimo decennio del secolo scorso.

“A Torino io e Rosa frequentavamo la scuola magistrale, l’Istituto Domenico Berti. Nel 1938 mi sono diplomato; mia sorella invece, anche se era stata ammessa alla classe terza, non potè iniziare l’anno sui banchi. I «Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista» furono firmati il 5 settembre: già nell’agosto il nostro preside, il professor Peloso, aveva inviato al prefetto di Torino un elenco degli studenti esonerati dall’insegnamento della religione cattolica, sei in tutto, tra cui io e Rosa.
Non riuscii mai a insegnare: in base alle leggi del 1938 mi era precluso l’accesso alle scuole statali, per cui feci domanda a diverse scuole ebraiche. Scrissi anche a Venezia, ma neppure lì c’erano posti vacanti. Dovetti cambiare progetti per sopravvivere e aiutare la mia famiglia, adattarmi e cercare un altro tipo di lavoro; trovai impiego in una ditta.
Abitavo a Chivasso, con Rosa e mia madre, mio padre era già mancato da qualche anno, in piazza Vittorio Emanuele II, allo stesso indirizzo in cui fino a qualche anno prima la mamma aveva gestito un negozio di tessuti insieme allo zio Attilio. La casa e l’attività sarebbero poi state requisite: dopo le leggi che ci avevano allontanato dalla scuola, ne arrivarono altre che limitavano l’utilizzo delle nostre proprietà.

In paese avevo la mia famiglia, i miei amici e Lucia: a lei erano indirizzati i miei pensieri felici di ventenne.
Sempre a lei, di lì a qualche anno, avrei indirizzato altri pensieri, sotto forma di richieste tanto precise quanto urgenti, dettate dalla disperazione e dalla fame. Dal carcere a Torino, dove ero stato condotto dopo l’arresto con Rosa e mia madre, il 30 novembre 1943, scrivevo a Lucia:
“Mi rivolgo a te per il più grande piacere che mi si possa fare in questo momento. […] Ti assicuro che avrai la mia completa gratitudine per un’azione così buona e pietosa verso chi tanto soffre senza colpa. […] Ti vorrei pregare di portarci una volta alla settimana un pacco di viveri. […] Ecco come bisogna fare: appena arrivi ti rechi in corso Vittorio a ritirare i moduli, a casa ti prepari già un elenco completo di cosa porti, la compili e la porti al comando tedesco in via Roma 222 vicino al Cine Augustus per il timbro. Poi porti la valigia qui in corso Vittorio e attendi la ricevuta […]”.

Su cosa portare “scegli tu. L’essenziale è il pane”. “Comprami il libro di lingua tedesca viva del Siebert e mandamelo insieme al mangiare. […] Rispondimi impastando nel pane le lettere. Se puoi impasta pure L. 50 in biglietti da L. 5 ciascuno. […] Farai quanto ti chiedo? Arrivederci e saluti affettuosi”.

Ma già una settimana dopo “il treno correva veloce verso i confini”: l’ultima lettera che scrivo a Lucia non è più dal carcere, ma da un vagone, e l’affido “alla bontà di qualcuno che vorrà imbucare”.

“Il destino non è stato certo molto favorevole con me e dopo avermi sottoposto a prove di per se stesse molto dure ha voluto che per la nequizie degli uomini io venissi posto di fronte a quanto di più tremendo si possa immaginare. […] La vita non mi ha offerto finora molti piaceri e pur avendo incontrato molte difficoltà mi ero rassicurato che infine anche questa prova della vita avrebbe avuto un termine ed io avrei pure potuto godere della bellezza della vita. Viceversa mi trovo qui a scrivere il mio testamento spirituale. […] Cara Lucia goditi la vita finché puoi e più intensamente che puoi; cerca di non avere rammarichi!”.

Quell’atto di fiducia non fu malriposto: qualcuno imbucò la lettera e il messaggio arrivò a destinazione.

Il progetto Le Vite crea una narrazione a partire dalle fonti archivistiche, evidenziando come il racconto storico si componga attraverso la messa in relazione di informazioni provenienti da contesti diversi. L’obiettivo è costruire una narrazione delle vite di persone che incrociarono i loro destini per effetto di una legge disumana, guardando sia a chi subì le persecuzioni, sia a chi ne fu interprete attivo.

L’innesco del racconto è sempre dato da un documento dell’EGELI poi, a parlare sono documenti ufficiali, carteggi, immagini, testimonianze provenienti dai archivi pubblici e privati a vario titolo coinvolti nel progetto e afferenti al territorio torinese, piemontese ma anche nazionale e dall’estero (come le carte degli archivi militari americani o il fondo dei rifugiati in Svizzera). La narrazione di Abramo, ad esempio, si basa su documenti trovati al liceo Berti di Torino, tra i faldoni dell’Archivio del Comune di Chivasso e dell’Archivio ebraico Terracini di Torino, per poi volare oltreoceano, leggendo la corrispondenza con Lucia, conservata allo United States Holocaust Memorial Museum di Washington.

Il sito rappresenta un luogo in cui la ricerca e lo scambio sono facilitati dagli strumenti digitali messi a disposizione, sottolineando la natura collaborativa della ricerca e le potenzialità della fruizione e interazione on line, attraverso attività di public history e archivistica partecipata. Diversi soggetti collaborano all’implementazione il sito, ricercatori, familiari, docenti, studenti, la cui struttura e caratteristiche facilitano la divulgazione a tutti i livelli e verso tutti i pubblici, nel rigore della fonte.

Nuove “vite” implementeranno il portale nei prossimi mesi, frutto di ricerche in varie direzioni, tra cui quella della narrazione di comunità locali, quali la Comunità ebraica di Casa Monferrato, di Acqui e di Torino.

Per sapere di più

Il sito del progetto “Le vite”

Il progetto è aperto al contributo degli utenti: chi fosse in possesso di informazioni, documenti, fotografie utili a raccontare le vite di cittadini ebrei che subirono il sequestro e l’esproprio dei beni può scrivere a le-case-e-le-cose@fondazione1563.it

La Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo ha nelle sue linee programmatiche il mandato di diffondere la conoscenza del patrimonio culturale e delle ricerche nelle humanities, sviluppando strategie innovative per raggiungere un ampio pubblico. La tutela e la gestione dell’Archivio Storico della Compagnia di San Paolo e il sostegno alla formazione dei giovani ricercatori costituiscono i programmi principali.

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