Rotolo s. m. Unità archivistica formata da un foglio cartaceo o pergamenaceo, o da più fogli cuciti l’uno all’altro, conservati arrotolati. Si trovano frequentemente conservati in rotolo pergamene e mappe.
Che fosse un unico documento cartaceo, tipicamente con la funzione di inventario di documenti, avvolto a rullo, o, invece, una sorta di patchwork fatto di fogli cuciti tra di loro e arrotolati fino a formare un serpentone di svariati metri, il rotolo archivistico porta con sé, nella semantica del segno linguistico e nella pratica dell’oggetto, l’impronta della rotondità e la fisiologia della forma ergonomica, adatta alla concentrazione ma anche allo sviluppo. Il rotolo è uno snodo che asseconda il moto, come accade anche nella corradicale parola latina rotūla, diminutivo di rota ‘ruota’, per via della forma rotondeggiante che la rotula (in italiano la parola arriva immodificata per prelievo libresco) ha, innestandosi nell’articolazione tibio-femorale per consentire agli umani la deambulazione. Anche il nostro rotolo ruota, permettendo lo scorrimento come la rotula, e, come quest’ultima, in quanto entità verbale, si radica in italiano a partire dalla forma diminutivale di rota (latino tardo rŏtŭlus ‘che ha la forma di una piccola ruota’). Nell’Italia meridionale, e in particolare in Campania, il rotolo lascia un segno nell’onomastica, trasformandosi per dittongamento metafonetico in Ruotolo, cognome molto diffuso soprattutto a Napoli.
«Materiale scrittorio molto diverso dal precedente [tavolette cerate o d’argilla, ndr], perché arrotolabile ma anche molto fragile è la carta vegetale fabbricata con il fusto di una pianta palustre, cyperus papyrus, originario delle rive del Nilo. Il procedimento è narrato da Plinio il Vecchio. I fogli di papiro erano incollati di seguito fino a formare una lunga striscia, la cui estensione variava a seconda della dimensione del testo, per un massimo di cinquanta metri. La scrittura era disposta in colonne parallele e la lettura avveniva svolgendo il rotolo, in senso orizzontale, grazie a un bastoncino di legno o di osso, detto umbilicus, fissato al principio o alla fine. Diversamente dai rotoli ad uso librario, quelli ad uso documentario erano caratterizzati dalla scrittura disposta in senso verticale e lo svolgimento avveniva dall’alto verso il basso. Proprio per il suo svolgersi il rotolo era definito volumen e la sua conservazione avveniva in capsae o thecae cilindriche, oppure appoggiate su scaffali aperti. La forma di rotolo, propria dei manoscritti in papiro, fu di uso comune fino al IV secolo d. C.: rarissima nel medioevo per uso librario, fu utilizzata in contesti ecclesiastici fino al XV secolo per documenti pubblici e privati, cronache monastiche, canti liturgici con notazione musicale in pergamena e carta» (Maria Barbara Bertini, I Custodi della memoria. L’edilizia archivistica italiana statale del XX secolo, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2014, pp. 42-43).
Con il significato di «insieme di fogli di papiro, di pergamena o di carta incollati in modo da formare una lunga striscia, poi avvolta intorno a un’asticciola, usato nell’antichità (e fino al Medioevo) come materiale scrittorio (anche: lo scritto o il documento contenuto)» (Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia) troviamo esempi anche letterari, come questo, tratto dalla commedia in versi I suppositi (1531) di Ludovico Ariosto: «tu poi te ne va’ ne la mia camera / e cerca molto ben per quello armario / de le scritture, finché truovi un ruotolo/ di strumenti, che parlan de la vendita / che fece Ugo Malpensa a mio bisavolo / de le terre da Ro (credo rogatone / fusse un ser Lippo da Piazza), et arrecalo / qui a me» (atto III, scena IV). Una conferma, questa, che il rotolo si presentava come un registro contenente la raccolta di documenti di proprietà, vendite, acquisti, permute, contratti, immunità, privilegi (detenuti o concessi) di chiese, monasteri, città, enti, corporazioni, privati più o meno potenti: l’archiviazione perseguiva un’idea pragmatica di conservazione, finalizzata com’era, in origine, alla produzione di documenti da presentare in caso di liti e contestazioni.
Mentre rotolo finisce nell’età moderna la sua carriera “linguistico-archivistica”, nella lingua comune, conserva il suo significato più ampio e variamente modulabile di «avviluppamento più o meno regolare e di forma prossimatamente circolare di un oggetto, di un corpo, di una vivanda, di una corda», e quello concreto, che ne deriva, di «oggetto, pacco, involucro o vivanda ripiegata in forma più o meno cilindrica» (Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia).
E così, Pier Paolo Pasolini, rotolando nella carnalità, utilizza l’immagine di un salume avvolto per suggerire l’aspetto morbido e paffuto di una donna che due dei suoi ragazzi di vita incontrano durante una delle loro avventure: «Il Lenzetta e il Riccetto s’accostarono alla donna ch’era piccola e grossa come un rotolo di coppa, stettero un po’ a contrattare, e, passando tra i fili di ferro di un reticolato, si spinsero in dentro, tra mucchi fradici di canne» (Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, 1955).
Nella vita, si sa, non sempre le cose vanno come vorremmo, anzi, diciamo che possono degenerare, andare in malora o in rovina, a rotoli, insomma, come in questo caso: «La sua famiglia era stata in passato assai ricca e distinta, poi gli affari erano andati a rotoli, il padre aveva perso ogni autorità, la madre da sola aveva fronteggiato la penosa situazione» (Mario Tobino, Il clandestino, 1962).