Lo scorso 8 marzo chiudevano i Musei, le Biblioteche e gli Archivi di tutta Italia. Sbarrate le porte, il mondo della cultura si è aperto a modalità alternative di fruizione, sfruttando le possibilità offerte dagli strumenti digitali e reagendo con prontezza e creatività alla chiusura forzata lavorando da remoto alle attività di ricerca, catalogazione e comunicazione di contenuti online.

Anche gli enti culturali del lavoro si sono reinventati, sperimentando tempi e metodologie di lavoro completamente inediti, che però hanno riconfermato l’importanza del radicamento degli archivi, dei musei, delle biblioteche, la cui interrelazione si è dimostrata una infrastruttura indispensabile, oggi più che mai.

L’elemento che ha accomunato le varie attività progettate e realizzate è stata la volontà di riportare le questioni del lavoro, intese nella loro accezione più larga, al centro del dibattito pubblico, culturale e scientifico.

Un’esigenza che si è fatta ancor più pressante di fronte all’emergenza pandemica e che è si è concretizzata attraverso la scrittura di un Manifesto di intenti già firmato da enti e rappresentanti importanti del mondo della cultura e del lavoro.

“Crediamo – affermano gli estensori del Manifesto – sia tempo di mettere a fuoco, in maniera aperta e pluralista, il ruolo che soggetti situati al crocevia fra il mondo degli studi e quello dell’attivismo nella società come gli archivi, le biblioteche specialistiche, i musei e tutti quegli enti che operano nel settore – con la duplice caratteristica di strutture di conservazione e di centri di produzione culturale – possono esercitare per dare il proprio contributo a questo rilancio, nella consapevolezza che la loro presenza, diffusa e radicata, costituisce un grande patrimonio documentario, tecnologico ed etnografico, nonché una risorsa per la conoscenza dei percorsi storici che danno forma al presente e per le politiche culturali del futuro”.

Numerose sono le linee di intervento attraverso le quali il ruolo pubblico, culturale e scientifico di queste strutture può prendere forma e su cui sarebbe nelle intenzioni dei firmatari necessario investire:

– Sviluppare e approfondire un approccio al Labour o Worker’s Heritage complementare ma distinto da quello dell’Industrial Heritage.

– Curare la conservazione documentaria, intesa in maniera ampia come carte, pubblicazioni, registrazioni audio, video e audio-video, fotografie, oggetti, utensili e materiali iconografici che testimoniano la cultura materiale e immateriale, tecnologica e politica, insieme alle collezioni specialistiche delle biblioteche, percorrendo la strada del pieno riconoscimento della documentazione, in tutte le sue forme, come “bene culturale”.

– Favorire la partecipazione, per le epoche recenti, al processo del “fare storia” dei protagonisti.

– Potenziare la declinazione Labour del campo di attività definito come Public History con mostre ed esposizioni temporanee o permanenti, curando la presenza sui social network, tentando di raggiungere il maggior numero di utenti attraverso la creazione di prodotti multimediali ampiamente fruibili e costruiti tenendo a mente le specificità del pubblico a cui sono destinati, facendo cultura storica non solo in pubblico, ma anche per e con il pubblico.

– Implementare e migliorare l’intervento nell’ambito dell’istruzione, sia per la didattica scolastica che per la formazione degli adulti, favorendo l’adozione di una metodologia critica e partecipativa, proponendo documenti, contenuti, laboratori, corsi e lezioni.

Un manifesto impegnativo e importante che riassume tanto di quello che singolarmente molti enti del lavoro già fanno, con l’aspirazione a fare di più non solo singolarmente ma in rete, divenendo a tutti gli effetti gli enti del lavoro un fattore di creazione di cultura per un pubblico fatto di cittadini, enti, associazioni.

Del resto, diceva Giuseppe Di Vittorio: “La cultura perché sia tale, bisogna che sia veramente nazionale; per essere nazionale bisogna che sia profondamente popolare, che attinga cioè dal popolo la linfa per la sua creazione, conferisca al popolo questa possibilità di continua elevazione e divenga così patrimonio di tutto il popolo […]. La classe operaia ed i lavoratori hanno acquisito […] la chiara, piena coscienza di essere non più oggetto della storia, ma di essere i protagonisti principali della storia, gli animatori della evoluzione storica verso il progresso. Perciò la classe operaia ed i lavoratori si sforzano di conquistare la cultura e di portare un contributo di vita nuova alla cultura, di concorrere a creare una cultura nuova, rinnovata, viva, feconda, popolare, nel senso che sia portata, che penetri nella coscienza delle grandi masse popolari e sia uno strumento vivo, valido, permanente di evoluzione”.

Anche oggi, forse soprattutto oggi.

Per leggere e firmare il Manifesto:

https://forms.gle/hGiN8uJSVZc5nSo7A

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