Il tema, cruciale ai nostri giorni, dei flussi migratori e della convivenza multietnica è, nel caso di Livorno, parte integrante del DNA storico e sociale della città che, data la sua posizione sul Mar Tirreno e la funzione di scalo portuale, ha sempre avuto, dal tempo della sua fondazione, la natura di territorio di confine, aperto e permeabile agli apporti esterni.

Lorenzo Lüthy (incisore), Il cimitero turco di Livorno, particolare della litografia “Panorama della città e contorni di Livorno”, 1850 circa.

L’Archivio di Stato di Livorno ha promosso, dagli anni Settanta del Novecento,  diverse iniziative culturali in cui tale peculiarità cosmopolita è stata evidenziata. Ci si riferisce in modo particolare a due convegni internazionali – Livorno e il Mediterraneo nell’età medicea (1977) e Gli inglesi a Livorno e all’Isola d’Elba (1979) – voluti dal direttore dell’Istituto Paolo Castignoli, i quali contribuirono a ridestare l’interesse e il gusto per la ricerca condotta sui documenti originali, in sintonia con orientamenti storiografici attenti non soltanto ai macroeventi della politica, ma sensibili a una visione storica allargata alle vicende delle masse popolari e a una varietà di forme ed espressioni culturali. Essi hanno creato i presupposti per l’approfondimento – in un prosieguo di studi e di eventi promossi dall’Archivio di Stato – delle congiunture politiche e sociali che favorirono l’insediamento ufficiale delle ‘nazioni’ estere nella città portuale, tra Cinquecento e Seicento, allettate dalle facilitazioni commerciali e dalla sostanziale tolleranza religiosa, vista in rapporto agli standard dell’epoca.

Questi nuclei di migranti raccolsero l’invito in tal senso contenuto nei privilegi emanati da Ferdinando Medici nel 1591 e ampliati il 10 giugno 1593), con il provvedimento conosciuto come Costituzione Livornina. L’appello dei Medici era formalmente destinato ai ‘mercanti di qualsivoglia nazione e credo’ anche se, almeno in un primo momento, gli ebrei ne erano i primi destinatari. Infatti, già dalla metà del secolo, la politica dei Medici era volta ad attrarre i flussi degli ebrei in fuga dal Portogallo e dall’Inquisizione, offrendo protezione e la possibilità di commerciare presso lo scalo toscano. Con le lettere patenti della fine del Cinquecento si offrivano alla nascente Comunità ebraica uno status libero e concreti diritti civili e di culto, oltre alle franchigie commerciali, laddove in Europa la persecuzione e il ghetto erano generalmente la norma. La prevalenza spagnola e portoghese nella composizione del nucleo ebraico livornese – tutelata anche da apposite istituzioni che ne assicuravano la preminenza – si mantenne a lungo e se ne ritrovano le tracce nel flusso migratorio che in tempi più recenti ha interessato la Tunisia, come documentano le carte della famiglia livornese Moreno, recentemente acquisite.

La presenza a Livorno di una prospera Nazione ebraica assicurò allo scalo labronico l’inserimento in una vasta rete di contatti e scambi su scala internazionale. Gradualmente e con cautela anche altri gruppi stranieri – quali inglesi, olandesi, armeni, turchi e greci – beneficiarono dell’insolita atmosfera di liberalità, ma solo tardivamente fu accettata la professione pubblica del protestantesimo, mentre le autorità religiose vegliavano affinché l’esercizio del culto di greci e armeni, nelle rispettive chiese, non si discostasse dal rito cattolico, rispettando gli impegni in tal senso. Si deve comunque tener presente che il processo d’integrazione e strutturazione di comportamenti adeguati alla natura cosmopolita che Livorno andava acquisendo fu complesso e interessò non soltanto i gruppi mercantili ‘invitati’ ufficialmente a risiedere nella cerchia muraria, ma anche flussi migratori di ceti meno abbienti provenienti dall’intera penisola, impiegati come mano d’opera nei lavori strutturali e nelle attività portuali, contribuendo a rendere più variegato il tessuto cittadino.

Conseguenza dell’impulso dato dalle Livornine fu il procedere del potenziamento del porto e lo sviluppo della città franca. Livorno si configurò pertanto come città di frontiera, unica nel suo genere per la sua neutralità e per la rete di rapporti economici, culturali e religiosi che intrattenne con popoli mediterranei e non, nonché per il costante interagire di gruppi etnici diversi, chiamati a convivere nell’abitato urbano.
Per queste sue caratteristiche, Livorno è apparsa la sede elettivamente più idonea per i lavori del convegno internazionale, Le città vogliono vivere, lotte e speranze nel Mediterraneo, promosso nel maggio 2014 dalla Comunità di Sant’Egidio, con l’intervento di relatori in rappresentanza di nove città mediterranee, impegnati nell’analisi di tematiche attuali. In parallelo all’evento, l’Archivio di Stato di Livorno ha curato una mostra documentaria – Le città del Mediterraneo. La convivenza e la storia – intesa a fungere da sfondo storico allo svolgersi dei lavori congressuali, nella convinzione che le esperienze del passato possano concorrere, anche indirettamente, all’approfondimento e alla corretta comprensione delle dinamiche in atto. Si è dunque dedicato uno spazio espositivo a ciascuna delle città intervenute ed eventualmente alla Nazione corrispondente. I gruppi residenti hanno lasciato tracce documentarie anche più cospicue, ottenendo, nel tempo facoltà di erigere cimiteri e luoghi di culto, quali ebrei e greci, ma in tutti i casi sussiste l’evidenza di scambi intercorsi con gli altri centri urbani, dal carattere sovente cooperativo, un richiamo non superfluo ai nostri giorni.

La maggior parte di questi contatti avveniva via mare: il Mediterraneo è sempre stato, infatti, protagonista dei rapporti intercorsi tra i paesi che vi si affacciavano, dividendo e, al contempo, unendo i popoli che sceglievano di dialogare tra loro. Oltre le vicende della grande politica, si è cercato di evidenziare, con pennellate esemplificative, i gesti e i momenti della convivenza. In primo luogo – esponendo ‘patenti di sanità’ e ‘lettere magistrali’ – si è evidenziata la strategia sanitaria, vero e proprio fil rouge, applicata in tutti gli scali, per prevenire e arginare i rischi associati al contagio, inducendo le popolazioni a collaborare, segnalando le navi provenienti da zone infette. Per la violazione delle norme si rischiava anche la pena capitale come nel caso del capitano inglese che omise di denunciare alcuni casi di peste contratta ad Alessandria e condannato in contumacia. Si è dato quindi rilievo ad altre operazioni di solidarietà: dalle mediazioni effettuate allo scopo di liberare ostaggi e detenuti – come risulta da un documento del 1792 per lo scambio di dodici schiavi tunisini con due prigionieri toscani – alle richieste d’asilo dei perseguitati politici nell’accogliente Livorno e nel magnanimo Stato toscano. Anche la magnificata libertà religiosa è evidenziata nel percorso: dalla sinagoga ebraica, ampliata nel tempo sul modello di quella di Amsterdam, raggiungendo tratti di grandiosità, alle deboli tracce documentarie di una prima chiesa greco-cattolica, precocemente eretta nel primo Seicento e una seconda, di rito ortodosso, della metà del Settecento.

Interessante notare come i prigionieri turchi, ospitati nel bagno dei forzati, avessero a disposizione al suo interno, alcuni locali a uso di moschea. Anche i cimiteri testimoniano il grado di integrazione raggiunto dai corrispettivi gruppi etnici. Persino i turchi – unico caso in tutto l’occidente – ebbero il permesso di erigere un proprio cimitero. Inoltre disegni e incisioni, statistiche (‘ristretti’) delle navi e dei forestieri affluiti allo scalo labronico e bandiere, vivaci simboli delle nazionalità, concorrono a formare un quadro variegato e cosmopolita. La sequenza delle immagini, sia pure in sintesi, contribuisce a creare, nello spirito del convegno, una visione prospettica del passato in cui emergono le possibilità, mai esaurite, di crescita ed evoluzione di questo originale spazio umano.

Nel 2015 si è quindi realizzata una seconda edizione dello stesso evento, ampliando il raggio delle città e Nazioni rappresentate, ossia aggiungendo alla scelta originaria le comunità di provenienza nordica degli inglesi e olandesi, da cui il nuovo titolo: Le città del Mediterraneo e oltre… La nuova esposizione è stata inserita nella manifestazione estiva Effetto Venezia, dal nome di un antico quartiere cittadino che ricorda, appunto, per i suoi canali, la Serenissima. L’esercizio di culti acattolici di matrice protestante fu, almeno formalmente, ostacolato fino al Settecento, quando inglesi e olandesi ottennero sempre maggiori libertà fino alla costruzione di chiese autonome, mentre in precedenza dovevano mimetizzarsi tramite conversioni forse di convenienza; nel primo Seicento l’inglese Robert Dudley, dalla personalità versatile, si convertì al cattolicesimo e fu al servizio del granduca in qualità di esperto cartografo.
a Nazione olandese-alemanna costituisce già in se stessa un esempio di tolleranza religiosa, ospitando al suo interno gruppi cattolici-romani e protestanti; i primi potevano officiare presso un altare esclusivo all’interno della Chiesa della Madonna, mentre la chiesa protestante fu ultimata nel 1864. Analoga situazione per i cimiteri attorno ai quali, inizialmente, non era permesso erigere un muro di cinta. Nonostante queste difficoltà, inglesi e olandesi si contendevano la piazza livornese fino allo scontro militare in rada, nel 1653, oggetto di numerose raffigurazioni pittoriche.

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