È possibile generare forme di partecipazione collettiva alla salvaguardia dei beni culturali archivistici? La partecipazione è - insieme alla sostenibilità, alla protezione e all’innovazione - una delle parole chiave che sostengono gli interventi comunitari di ambito culturale (come più volte ricordato dalla nostra collega Erminia Sciacchitano nei suoi interventi): attivare politiche attive per la partecipazione culturale diventa sempre più un obiettivo dovuto per chi opera nel nostro settore, facendo evolvere le persone dal ruolo di consumatori di cultura a quello di costruttori di un progetto culturale condiviso.
Tuttavia, raramente oggi i cittadini intervengono nel processo di salvaguardia del patrimonio culturale archivistico che, peraltro, è frequentemente dimenticato anche dalle amministrazioni pubbliche. L’esistenza di un quadro normativo nazionale che prescrive alle amministrazioni di governare i documenti degli archivi correnti, di deposito e storici con strumenti e personale adeguatamente formati non è – evidentemente – sufficiente a modificare lo stato delle cose: nei fatti, anche gli obiettivi degli amministratori pubblici raramente intersecano la strada della gestione e della conservazione degli archivi.
Mentre continuiamo a tenere alta l’attenzione sulla tutela archivistica, è utile cercare di individuare le ragioni di un’occasione mancata e sollecitare il coinvolgimento della collettività nella cura di testimonianze fondamentali per la tutela dei diritti dei cittadini.
Sul versante delle amministrazioni locali la mancanza di fondi appare sempre più un elemento secondario: sarebbe sufficiente impegnare con costanza una piccola somma del bilancio annuale dedicata al funzionamento per effettuare operazioni di manutenzione archivistica poco costose e di molto vantaggio; per di più, l’analisi dei canali di finanziamento prescelti dagli enti locali mostra la tendenza ad attingere soprattutto a fondi regionali, trascurando le opportunità che provengono dai contributi statali dedicati agli interventi volontari o attraverso i bandi speciali del Ministero della Cultura. Probabilmente le amministrazioni pagano l’assenza di figure che abbiano una specifica preparazione professionale e siano capaci di individuare soluzioni adeguate e di cogliere l’opportunità di un percorso di collaborazione con le Soprintendenze archivistiche e bibliografiche, cui il dpcm 169/2019 attribuisce non solo l’esercizio della tutela, ma anche la consulenza tecnico-scientifica e la formazione del personale degli enti pubblici.
È anche d’obbligo chiederci se la deresponsabilizzazione che percepiamo dipenda almeno in parte dagli organi di tutela: quanto incide la carenza di personale nelle Soprintendenze, quanto il conseguente modo in cui queste si relazionano con il territorio, quanto la capacità di entrare in comunicazione con la comunità di riferimento e di restare in ascolto dei suoi bisogni? In una fase critica come quella attuale, fermi sulla soglia di programmi di digitalizzazione che rischiano di ratificare lo stato di disorganizzazione patologico dei sistemi documentali pubblici trasformandolo in collezioni digitali ingestibili, il ruolo della tutela deve – ancora di più – farsi incisivo e trovare metodi, forme, modalità di azione nuovi ed efficaci.
In questo contesto, accanto a progetti scientifici e ad azioni prettamente istituzionali, può essere utile sollecitare l’interazione tra soggetti pubblici e privati che coinvolga, oltre alle amministrazioni locali e agli uffici statali, anche i cittadini, e attivi la relazione esistente tra i principi sanciti nell’art. 9 e nell’art. 118 della nostra Costituzione.
La memoria come bene comune è il titolo di una iniziativa organizzata lo scorso 13 maggio dalla Soprintendenza archivistica della Sardegna – con la collaborazione degli Archivi di Stato sardi e il supporto tecnico dell’Archivio di Stato di Milano – per presentare l’ultimo volume di Gregorio Arena, Custodi della bellezza (ed. Touring Club, 2020) e promuovere la nascita di un progetto di cittadinanza attiva in collaborazione con i Comuni della Sardegna, le associazioni e i singoli cittadini. Oggetto, la cura degli archivi pubblici (in primo luogo quelli comunali) come bene comune, di cui tutti hanno il diritto e il dovere di occuparsi. Obiettivo, alzare il livello di sensibilità comune sulla salvaguardia del patrimonio archivistico e stimolare l’investimento di risorse pubbliche (non solo economiche) sugli archivi. La registrazione del seminario, con gli interventi di Mario Demuro (docente di diritto costituzionale), Elisabetta Gola (docente di filosofia dei linguaggi), Francesco Piludu (Consulta giovanile Anci Sardegna) e Gregorio Arena (già docente di diritto costituzionale e presidente di Labsus– Laboratorio per la sussidiarietà) sono consultabili sul canale YouTube della Soprintendenza archivistica.
Nel suo percorso di avvicinamento a un nuovo approccio condiviso alla salvaguardia degli archivi, la Soprintendenza ha chiesto il sostegno di Gregorio Arena e del Labsus: l’intento è valutare se sia possibile considerare gli archivi comunali anche sotto il profilo di bene comune e includere i cittadini nella loro cura.
La categoria dei beni comuni come terzo genere rispetto alla tradizionale distinzione tra beni pubblici e beni privati è stata affrontata negli ultimi dieci anni da alcuni amministrativisti. Se ne occupò anche una Commissione istituita dal Ministro della giustizia nel 2007 (presieduta da Stefano Rodotà) per riformare le norme del Codice Civile. Ciò che probabilmente caratterizza Gregorio Arena è la dimensione pratica che ha saputo dare al suo impegno, attraverso la fondazione di Labsus e la produzione di strumenti giuridici capaci di sostenere i cittadini e le amministrazioni nel percorso di attivazione di progetti di cura collettiva di beni comuni. Labsus ha elaborato nel corso di quasi un decennio modelli di Patti di cittadinanza e di Regolamenti che sono stati adottati, con le dovute personalizzazioni, in centinaia di iniziative.
Il prototipo di Regolamento per l’amministrazione condivisa proposto da Labsus definisce beni comuni «i beni, materiali e immateriali, che i cittadini e l’amministrazione riconoscono essere funzionali al benessere della comunità e dei suoi membri, all’esercizio dei diritti fondamentali della persona ed all’interesse delle generazioni future, attivandosi di conseguenza nei loro confronti ai sensi dell’articolo 118 comma 4 della Costituzione, per garantirne e migliorarne la fruizione individuale e collettiva, condividendo con l’amministrazione la responsabilità della loro cura, gestione condivisa o rigenerazione» (art. 2). Una definizione che può includere a buon diritto nella categoria i beni culturali archivistici.
Il progetto della Soprintendenza trova ulteriore ispirazione nei principi della Convenzione di Faro (2005), sottoscritta dall’Italia nel 2013 e ratificata nel 2020, che promuove politiche di governance integrata per la gestione e la conservazione del patrimonio culturale e sostiene «l’azione congiunta di autorità pubbliche, esperti, proprietari, investitori, imprese, organizzazioni non governative e società civile»; e poggia, nello specifico ambito archivistico, sulla Dichiarazione universale sugli Archivi adottata nel 2011 dall’UNESCO, su iniziativa del Consiglio Internazionale degli Archivi, con lo scopo di sensibilizzare le istituzioni, i decisori politici e la società civile sull’importanza di salvaguardare e valorizzare gli archivi: la Dichiarazione afferma la responsabilità collettiva nella gestione degli archivi da parte di cittadini, pubblici amministratori e decisori, proprietari o detentori di archivi pubblici o privati, archivisti e altri specialisti dell’informazione e sottolinea il ruolo degli archivi alla crescita di una cittadinanza responsabile.
Il seminario ha costituito dunque la prima tappa di un percorso che si propone di interessare l’intero territorio regionale e di attivare forme di collaborazione dei cittadini alla cura dei beni archivistici, in collaborazione con i professionisti del settore e con gli amministratori locali: l’ANCI Sardegna è stata invitata a sottoscrivere un protocollo d’intesa con la Soprintendenza archivistica e a sostenere questo progetto.
La fase successiva del percorso è la creazione di una rete regionale di istituti di conservazione pubblici e privati che abbiano interesse a mettere in comune le proprie attività. La prima occasione per iniziare a costituire questo circuito è stata offerta dal festival Archivissima, patrocinato dal Ministero della Cultura e dalla Direzione generale Archivi, e dall’idea di costituire una rete regionale tra le quindici diverse realtà sarde aderenti al Festival, che hanno accettato di partecipare collegandosi le une alle altre. Per sollecitare la partecipazione dei cittadini, la Soprintendenza partecipa al festival con La scatola della memoria, un esperimento di creazione di un “archivio di comunità” composto da fotografie, documenti, testi originali e messaggi vocali a cui tutti potranno contribuire; la proposta di ospitare una scatola della memoria è stata raccolta non solo dagli Archivi di Stato di Cagliari e Nuoro, ma anche da associazioni, scuole, librerie, istituti culturali e comuni del territorio. I contributi dei cittadini, depositati nei punti fisici di raccolta o inviati alla Soprintendenza per posta elettronica o attraverso i social, saranno presentati il 4 giugno durante la Notte degli archivi. Il materiale raccolto sarà successivamente analizzato per individuare ipotesi di ricerca future, modelli culturali di riferimento e progetti di valorizzazione tematica o per fasce di interesse da condividere con i soggetti partecipanti.
La terza fase del percorso mira all’attivazione di progetti di cura archivistica nel maggior numero possibile di comuni della Sardegna, con il supporto degli archivi di Stato, considerata la loro prossimità e la capacità di entrare in relazione con alcune realtà significative dell’amministrazione pubblica, e il sostegno dell’ANCI: solo in questo modo il lavoro di attivazione delle energie sul territorio, che può fare riferimento a numerose iniziative locali già in corso, potrà essere trasformato con la collaborazione di tutti in un modello amministrativo di gestione continuativa, non occasionale, con una forte progettualità.
È un esperimento che servirà a valutare se siano possibili, in questo momento, nuovi modelli di gestione capaci di creare valore culturale e di generare, attraverso la sussidiarietà, una relazione di condivisione tra cittadini e amministrazioni pubbliche.
Per saperne di più
L’incontro La memoria come bene comune, trasmesso in live streaming il 13 maggio 2021.