Con l’entrata in vigore della Legge annuale per il mercato e la concorrenza il 29 agosto è stato introdotto il regime di libera riproduzione con mezzo proprio nelle biblioteche e negli archivi pubblici italiani, non solo per fini di studio, ma anche per la “libera manifestazione del pensiero o espressione creativa” e ogni attività di “promozione della conoscenza del patrimonio culturale”.
Con l’entrata in vigore della Legge annuale per il mercato e la concorrenza (n. 124/2017) il 29 agosto è stato introdotto il regime di libera riproduzione con mezzo proprio nelle biblioteche e negli archivi pubblici italiani (art. 1, c. 171). In precedenza negli archivi di Stato, su cui si intende qui focalizzare il discorso, l’uso della propria fotocamera (o smartphone) era normalmente interdetto in presenza di un concessionario esterno di fotoriproduzione, mentre nei casi, più frequenti, in cui la fotografia con mezzo proprio era permessa, rimaneva sempre subordinata a una specifica richiesta di autorizzazione preventiva e al pagamento di una tariffa di tre euro per ogni unità archivistica da riprodurre.
La nuova formulazione dell’art. 108 del Codice dei beni culturali ha determinato la rimozione di detti divieti, tariffe e autorizzazioni, consentendo per la prima volta agli utenti di tutte le biblioteche e gli archivi e pubblici italiani di riprodurre liberamente con dispositivi digitali a distanza sia gli stampati che i documenti d’archivio non sottoposti a restrizioni di consultabilità per ragioni di riservatezza (ai sensi degli artt. 122-127 del codice dei beni culturali), nel rispetto in ogni caso delle norme poste a tutela del diritto d’autore e della privacy. È bene precisare che riproduzioni “libere” non significa semplicemente “gratuite”, ma anche esenti da qualsiasi richiesta scritta di autorizzazione: il materiale documentario e bibliografico di pubblico ordinariamente distribuito in consultazione si potrà allora fotografare gratuitamente e senza autorizzazione preventiva, in armonia sia con quanto avviene dal 2014 nei musei pubblici per effetto dell’”Art Bonus”, sia con le policy dei più importanti istituti culturali europei, come i National Archives di Londra o le Archives nationales di Parigi.
Sempre in base all’art. 108 comma 3 del codice dei beni culturali, è da considerarsi libero non solo lo scatto in sé, ma anche la divulgazione delle immagini di beni bibliografici e archivistici, con qualsiasi mezzo purché esse siano state legittimamente acquisite e la loro diffusione non obbedisca a finalità lucrative (ad esempio attraverso i canali del web o opuscoli a stampa non commerciali). L’utilizzo delle immagini non è più rigidamente circoscritto alle “ragioni di studio” o “personali”, come avveniva sinora per gli scatti autorizzati con mezzo proprio, ma si estende a ogni “libera manifestazione del pensiero o espressione creativa” e a ogni attività di “promozione della conoscenza del patrimonio culturale”, in analogia con quanto la legge già dispone per le altre categorie di beni culturali.
Allo scopo di uniformare l’applicazione della nuova modifica normativa in tutti gli archivi di Stato, la Direzione Generale Archivi è intervenuta lo scorso 3 settembre con una circolare (n. 33/2017), che definisce alcuni criteri operativi di carattere generale. La circolare da un lato sopprime la richiesta di autorizzazione che l’utente era di volta in volta chiamato a presentare prima di riprodurre con mezzo proprio ciascuna unità archivistica, dall’altro introduce una autodichiarazione, da compilare e sottoscrivere ex post entro fine giornata, al termine cioè delle riprese. In essa l’utente indicherà le segnature delle unità fotografate e la finalità della riproduzione, dichiarando di agire nel fermo rispetto dei regolamenti di tutela previsti dall’istituto e delle norme di legge in materia di beni culturali (art. 108, comma 3), diritto di autore e privacy, con particolare riferimento al Codice Deontologico per il trattamento e la diffusione dei dati sensibili. La stessa circolare, inoltre, recepisce in pieno due delle sei linee guida espresse dal Consiglio Superiore Mibact nella mozione del 16 maggio 2016 in merito all’estensione della libera riproduzione ai beni bibliografici e archivistici, in particolare la cessione gratuita delle digitalizzazioni già eseguite dall’istituto e la semplificazione della procedura di pubblicazione delle riproduzioni di documenti archivistici in pubblicazioni scientifiche di carattere commerciale: in questi casi la formale richiesta di autorizzazione in carta bollata è sostituita con l’invio all’archivio di una semplice comunicazione del proposito di pubblicare, ferma restando la necessità di corrispondere diritti di riproduzione per le monografie vendute a un prezzo superiore ai 77,47 euro e con tiratura superiore alle 2000 copie (ai sensi della circolare della Direzione Generale per gli Archivi n. 21/2005).
La liberalizzazione rappresenta una esigenze avvertita da tempo tra gli utenti di archivi e biblioteche e, a ben vedere, non fa altro che adeguare il codice dei beni culturali ai moderni dispositivi digitali, i quali ormai rientrano a pieno titolo nello strumentario dello storico. Già nel mese di giugno del 2014 eravamo giunti a un passo da questo importante traguardo, quando cioè il decreto legge “Art Bonus” aveva reso libera la riproduzione di tutti i beni culturali, salvo poi escludere i beni bibliografici e archivistici a seguito dell’approvazione, un mese più tardi, di uno specifico emendamento restrittivo. In risposta a questa esclusione si era costituito, per iniziativa di alcuni studiosi, il movimento di idee “Fotografie libere per i Beni Culturali”, che oltre a raccogliere circa cinquemila firme tra gli studiosi afferenti a ogni area umanistica, formulò una puntuale proposta di modifica del codice dei beni culturali che, accolta dal ministero, avrebbe successivamente ispirato il nuovo testo normativo.
È forse appena il caso di ricordare i vantaggi per l’utenza prodotti dalla liberalizzazione: chi dovrà muoversi da un capo all’altro d’Italia per raggiungere una biblioteca o un archivio, potrà ora ridurre al minimo tempi e costi di permanenza fuori sede, avendo la certezza di potersi sempre giovare di quelle fotografie che gli permetteranno di trascrivere un manoscritto in qualunque luogo e in qualunque momento. Un risparmio di tempo e denaro a beneficio non solo del ricercatore universitario, ma anche del semplice cittadino interessato a qualsiasi altro titolo alla ricerca storica, il quale, a causa di attività lavorative concomitanti, prima non poteva dedicare il tempo che desiderava all’attività di studio in archivio. Da questo punto di vista si può cogliere ancor meglio l’importanza della liberalizzazione, la quale riesce a dilatare a dismisura gli orizzonti della fruizione in una reale prospettiva di democrazia della conoscenza.
Sarebbe in effetti limitativo ridurre il discorso a una, pur rilevante, esigenza di carattere meramente economico. Si tratta anzitutto di un atto concreto volto a ribadire che il patrimonio documentario, prima ancora che agli archivi e delle biblioteche, appartiene in primo luogo alla cittadinanza, la quale si vede in questo modo riconosciuto il diritto a fruire di questo stesso patrimonio nel modo più pieno, anche attraverso il ricorso al mezzo digitale proprio. Certi timori atavici non sembrano avere, nei fatti, ragione d’essere: la riproduzione digitale infatti non svilisce l’originale, né attenta l’aura della sua unicità ai danni dell’istituto che lo conserva, ma al contrario, se utilizzata con intelligenza, può porsi come un validissimo ausilio per la ricerca e la valorizzazione del nostro straordinario patrimonio documentario.
Ricadute positive potranno peraltro essere registrate dagli stessi archivi, sia perché la liberalizzazione si inserisce in un quadro di generale semplificazione amministrativa, sia perché può fornire un valido supporto alla tutela delle unità archivistiche nella misura in cui riduce il contatto fisico reiterato con l’originale. Non da ultimo ne uscirà rafforzato il fondamentale ruolo “di servizio al pubblico” svolto da archivi e biblioteche:
secondo l’art. 9 della Costituzione la Repubblica è chiamata non semplicemente a garantire ma a promuovere lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnica in una prospettiva dunque attiva e dinamica che mal si conciliava con i divieti e le tariffe di riproduzione vigenti sino a poco tempo fa. Il favore, e anzi il vivo entusiasmo con cui è stata accolta la liberalizzazione dagli studiosi sin dal primo giorno in cui è entrata in vigore, lascia intendere che si tratta realmente di una occasione importante per rinsaldare il vincolo di fiducia tra utenza e amministrazione in un clima di mutua collaborazione, utile, si spera, anche per fare uscire archivi e biblioteche da quello stato di apparente marginalità cui da troppo tempo essi sembrano relegati nel più ampio orizzonte delle politiche sui beni culturali.
Relativamente al libero uso del mezzo proprio in sala studio, sinora scontavamo un relativo ritardo rispetto ai maggiori istituti europei, come la British Library o le Archives nationales di Parigi, dove la pratica della fotografia libera è da tempo realtà; oltretutto eravamo l’unico Paese a imporre tariffe sull’uso del mezzo personale, nonostante quest’ultimo – al pari della matita -, non comporti alcun onere di spesa per l’amministrazione in grado di giustificare una richiesta di rimborso spese all’utente. Ora invece, con l’estensione della libera riproduzione agli archivi e alle biblioteche, è stato elevato al rango di legge ciò che all’estero si qualifica solo come prassi virtuosa dei singoli istituti. Possiamo allora affermare, senza timore di esagerare, che dal 29 agosto il divario con l’estero è stato colmato, riuscendo anzi a fare di meglio, al punto che la liberalizzazione italiana può oggi a buon diritto offrirsi come un principio normativo non solo all’avanguardia, ma anche paradigmatico per il resto d’Europa.