Nel 1968, con Azzurro Adriano Celentano cantava di un treno dei desideri. Forse Paolo Conte, cui dobbiamo il testo di quella canzone, aveva in mente un treno particolare. Quel treno, tecnicamente, si chiamava Etr 300, elettrotreno veloce, ed era stato prodotto a Sesto San Giovanni (Milano), nelle officine della società Breda su commessa delle Ferrovie dello Stato.
Nel 1968 Adriano Celentano nella canzone Azzurro cantava di un treno dei desideri che, nei suoi pensieri, gli avrebbe permesso di ricongiungersi alla sua amata, recatasi al mare lasciandolo solo in città a lavorare.
Forse Paolo Conte, a cui dobbiamo il testo di questa melodia così evocativa e che tanto successo ebbe all’epoca e negli anni a seguire, aveva in mente un treno particolare quando si accinse a buttar giù i versi della sua composizione, forse quel treno aveva le forme arrotondate e avveniristiche di un treno italiano che da un quindicennio viaggiava sulla rete ferroviaria nazionale e che aveva riscosso un quasi unanime plauso dal momento in cui aveva iniziato a circolare.
Quel treno, tecnicamente, si chiamava Etr 300, elettrotreno veloce, ed era stato prodotto a Sesto San Giovanni (Milano) nelle officine della società Breda su commessa delle Ferrovie dello Stato. Era stato progettato a partire dal 1947, quando ancora non tutta la rete ferroviaria italiana, danneggiata gravemente durante la seconda guerra mondiale nelle sue tratte principali (il 30% delle linee distrutte), era stata riattata completamente. Si trattava, per l’epoca, di un progetto assolutamente futuristico, in un contesto sociale ed economico ancora assai depresso. L’idea era quella di costruire il treno più moderno che avesse mai corso sulle strade ferrate non solo europee, e perciò la sua ideazione fu affidata a uno degli architetti più grandi che abbia avuto il nostro paese nel corso del XX secolo, Giulio Minoletti.
Ci vollero circa cinque anni per portare a termine il primo convoglio dell’Etr 300, nel 1952 infatti fu effettuato il primo viaggio di prova con tanto di operatore della Rai a bordo per registrare a caldo le impressioni di viaggio e realizzare un filmato promozionale che è ancora un piacere mostrare alle classi di studenti delle medie e delle superiori che vengono in Fondazione Isec per svolgere seminari di didattica e avvicinamento alle fonti storiche.
Nella primavera del 1953 quello che iniziò a essere chiamato comunemente Settebello, un nome che gli era stato dato dalle maestranze della Breda che l’avevano costruito, forse perché composto da 7 carrozze (quattro riservate ai passeggeri, una destinata al servizio di ristorante e bar, una occupata dalla cucina, dal postale e dai locali accessori di servizio, una per il servizio di bagagliaio, che comprendeva anche altri locali come il compartimento telefonico e radiotelefonico, la cabina telefonica e la piccola bottega per la vendita di libri, giornali e riviste), o forse per un richiamo alla carta del 7 di denari, così importante nel gioco della scopa; nella primavera del 1953, si diceva, e più precisamente il 30 marzo, con partenza da Milano Centrale alle 9.50 e arrivo previsto a Napoli alle 18.45, quel treno così diverso da tutti i treni che circolavano in quegli anni fece il suo viaggio inaugurale, destando grande scalpore e ammirazione quasi incondizionata in chi ne scrisse poi su giornali e riviste italiani e stranieri.
Da allora fu possibile vedere sfrecciare lungo la penisola questo treno turistico di lusso lungo 165 metri, con 160 posti a sedere e in grado di viaggiare tranquillamente a una velocità di crociera di 160 km/h, con una cucina che poteva offrire pasti freschi a più di 50 passeggeri alla volta (con tre turni mensa). Esteriormente si presentava con caratteristiche del tutto nuove: le due testate (il convoglio era bidirezionale) erano costituite da “belvedere” con ampie vetrate (in cui potevano prendere posto a turno 11 passeggeri su sedie girevoli a 360°, così da poter godere il paesaggio in posizione privilegiata) e cabina di guida sopraelevata. Il tutto conferiva alla motrice l’aspetto di un’enorme fusoliera di uno splendido aeroplano.
Gli interni non erano da meno, progettati da Minoletti e Gio Ponti con la collaborazione di artisti famosi dell’epoca. Gli scompartimenti erano veri e propri salottini grandi circa il doppio rispetto ai normali scompartimenti di 1ª classe: contenevano 10 posti distribuiti su 2 divani e su 4 comode poltrone individuali non fisse ma spostabili a piacere. Per citare una brochure illustrativa della Breda: «Tutto nel compartimento è stato studiato per dare all’ambiente un carattere di elegante intimità; pareti rivestite in vinilpelle grigio chiaro, divani e poltroncine ricoperte in panno azzurro, cielo in crema chiaro, tendaggi in tessuto ramiè azzurro e grigio, pavimento ricoperto da uno spesso tappeto in lana color nocciola, illuminazione a fluorescenza con intensità più che tripla del normale entro canali in plexiglas lavorato, cassonetti per piccole valige o indumenti, nascosti dietro una artistica opera pittorica originale». Ovviamente, non mancava un efficiente sistema di condizionamento dell’aria e un servizio di diffusione avvertimenti, notizie, ecc. Gli scompartimenti e la carrozza ristorante-bar erano, come già accennato, decorati con acqueforti originali che costituivano una indubbia novità nel panorama ferroviario europeo. Il tono delle decorazioni variava “a seconda dei casi e mentre nel ristorante e bar si fece ricorso a colori vivaci, a soggetti simbolici o di fantasia, nei compartimenti si vollero invece ricordare le bellezze naturali e quelle artistiche che sono tanto frequenti nella nostra penisola”. Le opere erano state affidate ad artisti noti, come il già menzionato Gio Ponti, Ciuti, Ricas, Santambrogio e la pittrice Tomasini.
Un vero e proprio treno dei desideri per la stragrande maggioranza degli italiani, che certo non potevano permettersi la spesa di un viaggio del genere. Si pensi che nel 1953 il viaggio da Milano a Napoli, pasto escluso, costava 13.780 lire (nel 1955, quando già i salari erano stati rivalutati, un operaio al Nord guadagnava circa 43.000 lire al mese, al Sud gli stipendi erano di molto inferiori). Seppure destinato solo a quelli che oggi vengono definiti Vip (personalità del mondo politico, attori e cantanti famosi, sportivi di successo, ecc.), il Settebello divenne uno dei simboli della rinascita italiana dopo la guerra, un segno della modernizzazione del paese, spesso affiancato nelle immagini pubblicitarie dell’epoca ad altri prodotti che iniziavano a comparire nelle case degli italiani (come ad esempio i frigoriferi, di cui la Breda fu per alcuni anni produttrice su licenza dell’americana Crosley), quasi un anticipo del cosiddetto boom economico della fine del decennio Cinquanta.
Questo bellissimo treno, di cui furono costruiti tre convogli (mentre ne erano stati previsti 8 originariamente), restò in attività per un trentennio, nel 1984 infatti le Ferrovie dello Stato lo ritirarono dalla circolazione. Due esemplari furono successivamente smantellati, mentre l’unico superstite (l’Etr 302) dopo alcuni lavori di restyling, tornò in attività nel 1991, per essere poi definitivamente accantonato nel 2004. Dimenticato in un deposito delle FS, abbondantemente vandalizzato all’esterno e all’interno, depredato dei suoi preziosi arredi, fu anch’esso in procinto di essere demolito. Fortunatamente, dal 2016, un pregevole progetto di recupero del mezzo storico è stato avanzato dalla Fondazione FS: tale progetto prevede che il treno venga restaurato e arricchito di tutte quelle strumentazioni moderne connesse alla sicurezza e al confort degli odierni treni. Successivamente il “nuovo” Etr 300 potrà essere utilizzato per viaggi di rappresentanza, divenendo così un raffinato ambasciatore del Made in Italy, il prodotto dell’ingegno e della capacità di fare di una generazione di progettisti, tecnici e maestranze che contribuirono con intelligenza ed energia a risollevare le sorti economiche del nostro paese, uscito devastato dal secondo conflitto mondiale.
Oltre alla traccia per così dire materiale e tangibile costituita dall’esemplare del convoglio che tornerà, speriamo tra breve, a farsi ammirare lungo la rete ferroviaria nazionale, l’Etr 300 Settebello ha lasciato considerevoli tracce documentarie che, in buona parte, sono conservate presso la Fondazione Istituto per la storia dell’età contemporanea (Isec) di Sesto San Giovanni (Mi). La Fondazione Isec infatti, attiva sin dal 1973, ospita dal 1995 l’Archivio storico Breda, un giacimento documentario notevolissimo di oltre 2.000 faldoni, più di 6.000 unità documentarie, circa 60.000 fotografie, 10.000 disegni tecnici di prodotti e planimetrie di siti produttivi, 2.000 bozzetti pubblicitari, decine di cimeli fra strumenti di lavoro e manufatti realizzati all’interno della Breda, e poi cataloghi, brochure e dépliant pubblicitari, ecc. In pratica, 100 anni di storia produttiva di una delle più importanti aziende metalmeccaniche del nostro Paese, nata nel 1886 a Milano e che nel corso della sua esistenza ha fatto uscire dai propri opifici davvero di tutto: dai treni (vero core business iniziale della società) alle armi, dalle caldaie ai trattori e alle trebbiatrici, dalle navi agli aerei, dagli autocarri ai tram e ai filobus, dai telai per calze ai frigoriferi, fino ad arrivare ai componenti per l’industria del nucleare e a molto altro ancora.
Di tutto ciò è possibile trovare traccia in archivio, e tra le altre cose è possibile rinvenire interessante documentazione relativa al nostro Etr 300: ad esempio, il già ricordato splendido filmato relativo al primo viaggio di prova realizzato nel 1952, alcuni disegni tecnici, decine di fotografie delle diverse fasi costruttive del treno, sino alle immagini del suo varo, materiali pubblicitari e rassegne stampa inerenti i suoi esordi sul proscenio ferroviario mondiale, corrispondenza dell’ufficio commerciale Breda e dell’ufficio pubblicità, l’opuscolo descrittivo del Settebello in cui sono lumeggiate tutte le caratteristiche innovative del nuovo mezzo ferroviario e altro ancora.
Insomma, l’archivio ci regala, come diciamo sempre ai giovani studenti che vengono a trovarci in Isec, storie interessantissime di oggetti e persone, che attendono solo che qualcuno si degni di scoprirle e portarle alla luce. Da questo punto di vista gli archivi d’impresa sono veri e propri giacimenti culturali senza fondo, frutto del lavoro di migliaia di uomini e donne che hanno lasciato traccia del loro passaggio nei manufatti che hanno pensato e realizzato.
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