«In un buco nel terreno viveva uno hobbit» il 21 settembre 1937 veniva pubblicato Lo Hobbit e iniziava l’avventura del mondo immaginario della Terra di Mezzo creato dalla fantasia di J.R.R. Tolkien. Un mondo sconfinato, fatto di popoli, lingue, alfabeti, miti e… archivi.
«Nessuno mi crede quando dico che il mio lungo libro [Il Signore degli Anelli] è un tentativo di creare un mondo in cui una forma di linguaggio accettabile dal mio personale senso estetico possa sembrare reale. Ma è vero». Se questo mondo fittizio è stato creato da Tolkien per essere il palcoscenico dove inserire le lingue che aveva inventato, come creò sua la coerenza interna? Come si rende credibile un’invenzione tanto vasta, una vera e propria cosmogonia? Tolkien foggia la sua Terra di Mezzo sulla base della sua immensa conoscenza della letteratura anglosassone e germanica. Le storie che narrano delle vicende di Elfi, Nani, Hobbit, re e stregoni vengono tessute come cronache di un passato mitico ma verosimile e le singole trame dei romanzi si inseriscono in questa storia più ampia.
Nello sviluppo del corpus delle opere tolkieniane vi è un progressivo accumulo di informazioni storiche che allargano sempre più il panorama cronologico dell’intera saga. Dopo Lo Hobbit Il Signore degli Anelli, Il Silmarillion, Racconti perduti e Racconti ritrovati si inseriscono da un lato come le tessere di un mosaico sempre più ampio che forma il contesto generale narrativo e, dall’altro, ciascuno di essi arricchisce anche l’insieme delle appendici, genealogie, mappe e approfondimenti che formano il contesto del mondo di Arda, l’universo di Tolkien.
Se, nell’economia della finzione letteraria, un ruolo preponderante nella trasmissione di questo contesto storico è dato da Tolkien alla poesia, ai canti e alle “fonti orali” che costellano tutti i suoi testi, ognuno dei popoli della Terra di Mezzo viene dotato anche di archivi, annali e records che spesso descrivono il susseguirsi di regnanti, battaglie, matrimoni e eventi naturali come vere fonti storiche.
In particolare gli archivi nel mondo tolkieniano si possono ricondurre a due dimensioni differenti: archivi di contesto e archivi del racconto.
Gli archivi di contesto sono maggiormente presenti nelle opere a carattere enciclopedico e negli apparati di informazioni che accompagnano i romanzi: essi forniscono una maggiore profondità alla coerenza interna dell’universo nel quale si svolgono le vicende narrate. Tolkien crea un mondo dove società, identificate nei vari popoli della Terra di Mezzo, sorgono, si sviluppano, si scontrano con il male, declinano e crollano, e la loro memorie rimane fissata nei canti, nelle cronache e negli archivi. I regni degli Elfi e dei Nani, degli Uomini e degli Orchi vengono fatti sviluppare per centinaia di anni e le loro storie vengono narrate come fossero i resoconti di antiche cronache medievali.
I riferimenti agli archivi avvengono tramite la citazione dei records di ciascun popolo della Terra di Mezzo e sono tanto numerosi quanto fugaci, spesso si legge solo records of ancient days, o ancora di records of Elves. Questi archivi si presentano come i luoghi dove si sono depositate le memorie collettive dei popoli della Terra di Mezzo e, curiosamente, vengono citati con maggiore frequenza nelle narrazioni che riportano la loro dispersione durante guerre o nelle distruzioni delle città. Ad esempio si legge nelle appendici linguistiche dei Racconti Incompiuti: «Dai Naugrim [i Nani] le Cirith [un alfabeto runico] furono portate ad est di là dai monti e giunsero a conoscenza di molti popoli; ma scarso uso trovarono presso i Sindar [una stirpe di Elfi] per la tenuta dei documenti (records), sino ai tempi della guerra, e molto di quanto era demandato alla memoria perì tra le rovine del Doriath».
Due casi spiccano fra gli altri: la documentazione della Contea e gli Archivi del Re di Gondor. Il primo è uno degli scritti introduttivi alla trilogia de Il Signore degli Anelli, dove viene raccontato l’interesse degli Hobbit verso la propria storia e che «verso la fine del primo secolo della Quarta Era, vi erano già nella Contea numerose biblioteche ricche di libri storici e preziosi documenti»; il secondo compare nella raccolta Racconti incompiuti e vi si riportano notizie sull’accesso agli archivi del Reame degli uomini di Gondor presso la città Minas Tirith (che Tolkien immaginava simile a Ravenna) e sulle modalità di conservazione e trasmissione: «… sui documenti conservati negli archivi speciali dei sovrintendenti, e che erano accessibili, oltre che al sovrintendente in carica, soltanto al suo erede». In questo caso si può intuire come Tolkien abbia immaginato non solo la storia di un popolo ma precise modalità attraverso le quali esso garantiva la conservazione della propria memoria: un governo che produce parallelamente un archivio generale e un archivio speciale, con modalità di accesso riservate.
Il secondo tipo di archivi che si incontra nell’universo letterario tolkieniano possono essere definire archivi del racconto poiché essi compaiono all’interno di esso o sono elementi significativi della narrazione stessa; due esempi tra i più significativi sono la camera degli scritti di Moira e la vera e propria ricerca archivistica compiuta dallo stregone Gandalf per riconoscere l’Unico Anello. Non è un caso che entrambe le situazioni siano all’interno della Compagnia dell’Anello, la prima parte della trilogia e quella in cui la narrazione risulta più dilatata e ricca di dettagli.
Una prima tipologia di archivi del racconto si trova, appunto, nel capitolo Il ponte di Khazad-Dum, quando gli eroi della Compagnia dell’anello si trovano ad attraversare le Miniere di Moria, l’antico reame dei Nani, finiscono per essere intrappolati nella Camera degli scritti, l’archivio della città,
Vi erano molte nicchie scavate nella roccia delle pareti, ed in esse grosse casse di legno orlate di ferro. Tutte erano rotte e saccheggiate; ma vicino al coperchio frantumato di uno dei forzieri giacevano i resti di un libro. Era stato strappato e tagliato da pugnali ed in parte bruciato, ed era macchiato di nero e di altri segni scuri che parevano sangue vecchio, a tal punto da renderne pressoché impossibile la lettura. Gandalf lo sollevò con cura; tuttavia i fogli crepitarono sbriciolandosi quando lo posò sulla lastra. Rimase a lungo a studiarci sopra, senza dir nulla.[…] La Camera degli scritti! (The Chamber of Records), disse Gimli, Suppongo sia la camera dove ci troviamo
In questo caso l’archivio è il palcoscenico stesso della narrazione e la consultazione dei documenti diventa una forma di racconto nel racconto che ripercorre gli ultimi eventi della vicenda della stirpe dei nani nella città.
Per considerare, invece, un archivio del racconto che svolge un ruolo cruciale nello sviluppo della trama stessa del Signore degli Anelli si può riprendere la ricerca archivistica, condotta da Gandalf, nell’Archivio dei Re di Gondor a Minas Tirith per scoprire la vera natura dell’anello trovato da Bilbo Baggins, e che viene narrata nel capitolo Il Concilio di Elrond:
Con quell’idea abbandonai le ricerche e mi recai prontamente a Gondor. In passato i membri del mio ordine vi avevano ricevuto buona accoglienza, ed in particolar modo Saruman, che era stato spesso e per lunghi periodi ospite dei Signori della Città. Più freddo del solito fu il benvenuto di Sire Denethor, il quale mi permise a malincuore di cercare tra le sue pergamene ammonticchiate ed i suoi libri. «Se veramente, come dici, ti limiti a cercare notizie dei tempi che furono (for records of ancient days) e dei primordi della Città, leggi pure!, mi disse. Per me, ciò che fu è meno oscuro di ciò che verrà, e questa è la mia preoccupazione. Ma a meno che tu non sia ancor più abile di Saruman, che ha studiato qui a lungo, non troverai nulla a me ignoto, poiché io sono maestro nella storia della Città”.
«Così parlò Denethor. Eppur nelle sue pergamene vi sono tante notizie che pochi ora saprebbero leggere, persino fra i più esperti (records that few now can read, even of the lore-masters), perché le scritte ed il linguaggio son diventati oscuri agli uomini di adesso. E vi è ancora a Minas Tirith, Boromir, letta da nessun altro, credo, oltre Saruman e me, una pergamena scritta di suo pugno da Isildur. Egli infatti, dopo la guerra a Mordor, non tornò immediatamente via, come è stato detto da alcuni».
«Da alcuni qui al Nord», interloquì Boromir. «Tutti a Gondor sanno che egli si recò prima a Minas Anor ove visse qualche tempo con il nipote Meneldil, istruendolo prima di affidargli il timone del Regno del Sud. A quell’epoca piantò l’ultimo giovane Albero Bianco in memoria di suo fratello». «E scrisse anche la pergamena», disse Gandalf, «di cui a quanto pare a Gondor non ci si ricorda. Essa infatti concerne l’Anello, ed ecco quel che Isildur scrisse:
Il Grande Anello apparterrà d’ora in poi al Regno del Nord; ma a Gondor rimarranno i documenti in proposito (but records of it shall be left in Gondor), nel caso che un giorno il ricordo di una questione si importante fosse offuscato, poiché anche qui vivono gli eredi di Elendil. […]
«Lette queste parole, le mie ricerche erano finite».
In questo caso è interessante notare come oltre alla ricerca in sé tra i documenti nell’archivio di Gondor, che rappresenta uno snodo cruciale della trama complessiva del romanzo, la documentazione stessa faccia riferimento a pratiche di gestione documentale, riferendosi a scritti che per la loro importanza devono rimanere nel luogo di residenza della famiglia reale, dove si trovava l’archivio del regno, riprendendo le informazioni già abbozzate nei Racconti incompiuti.
Altri esempi e altri archivi e documenti popolano l’universo della Terra di mezzo e ogni volume dei racconti di Tolkien è corredato da un impressionante mole di appendici linguistiche e apparati genealogici, mappe e trascrizioni di documenti, come se la narrazione stessa fosse il frutto di una ricerca in archivio.
Questa sensazione si fa concreta al punto che nel momento di pubblicare le opere del padre, Christopher Tolkien, che ha curato buona parte delle edizioni postume tolkieniane, scriverà che «mio padre quale “autore” o “inventore” di faccende del genere non sempre può essere distinto dal “registratore” di antiche tradizioni, trasmesse in forme diverse da popoli differenti nel corso di lunghe ere».
In questo caso la traduzione italiana non rende giustizia al termine inglese recorderer… un record keeper… forse un archivista.