“Al Politecnico, sulla Piazza Leonardo da Vinci che avevo lasciato poco prima arriviamo da via Pascoli: sembrava che tutti si fossero dati appuntamento per quell’ora. Partigiani, con fazzoletto tricolore, bracciale rosso, mitra e fucili, andavano e venivano. Tutti cantavano, e c’era nelle loro voci un’intonazione gioiosa, che riempiva l’aria di note e il nostro cuore di fremiti, di commozione.”*
*G. Pesce, Quando cessarono gli spari, Milano, Feltrinelli, 2019, p. 82-83
Così Giovanni Pesce ricorda l’arrivo, nella Piazza del Politecnico di Milano, delle formazioni partigiane che liberarono la città dal nazifascismo insieme con le forze cittadine insorte. Proprio a Milano per opera di Mussolini erano nati, il 23 marzo 1919, i fasci di combattimento che diventeranno due anni dopo un vero e proprio partito. All’interno dell’Ateneo l’ideologia fascista trovò ampio consenso presso gli studenti che, delusi dalla “vittoria mutilata” erano pronti a battersi nel nome degli ideali fascisti. Già il 15 aprile 1919 un gruppo di studenti del Politecnico guidati dal tenente Mario Chiesa aveva partecipato ad un’azione di reduci contro la sede dell’«Avanti».
L’episodio sarebbe stato in seguito celebrato come una “grandiosa manifestazione di fede fascista”. Qualche tempo dopo fu organizzata una vera e propria squadra del Politecnico, denominata Toti, e con la costituzione del Gruppo Universitario Fascista (GUF) milanese l’adesione al partito raggiunse l’intero corpo studentesco. Sul fronte dei docenti si registrarono 115 adesioni spontanee avvenute prima del 1931, seguirono nei due anni successivi le iscrizioni al PNF della maggior parte del corpo insegnante. Il Politecnico, celebrato negli anni d’oro del regime come “focolare di fede fascista”, grazie alla guida del rettore Gaudenzio Fantoli, uomo considerato adatto a guidare l’ateneo verso il processo di fascistizzazione, non fu però esente da casi di aperto dissenso: tra il 1922 e il 1940 furono destituiti per motivi politici ben 17 docenti.
Inoltre, una quindicina tra assistenti e docenti incaricati si era rifiutata di prestare giuramento al regime (il caso più noto è rappresentato dal professor Henry Molinari, che fu costretto a lasciare l’insegnamento nel 1932). L’applicazione delle leggi razziali del 1938, l’allontanamento dall’Ateneo di undici docenti di chiara fama, tenuti in grande considerazione dal mondo accademico, e, non ultimo, l’andamento catastrofico della guerra – soprattutto dopo l’8 settembre 1943 – furono elementi destinati a intaccare la fiducia e il consenso al regime. Tra i docenti che si impegnarono nella lotta per la Resistenza e l’insurrezione di Milano va ricordato Mario Alberto Rollier, professore di Chimica organica, già firmatario insieme a Gianfranco Mattei del manifesto per la rigenerazione della vita universitaria, documento che in data 26 luglio 1943 chiedeva l’abrogazione di “ogni discriminazione politica e razziale” auspicando per l’università un ritorno agli ideali di libertà e dignità risorgenti. Destinato a guidare l’Ateneo e a imprimere un nuovo corso fu allora chiamato Gino Cassinis, primo rettore eletto democraticamente e all’unanimità dal Collegio dei professori il 29 gennaio 1944. Cassinis si rifiutò di giurare fedeltà alla Repubblica di Salò e durante l’occupazione tedesca difese il Politecnico evitando posizioni di aperta protesta ma sostenendo con coraggio e discrezione ogni forma di cospirazione antifascista. Nei sotterranei dell’Università infatti, venne installato un centro radio clandestino con radiotrasmittente e centralino telefonico di collegamento tra le forze partigiane. Lo dirigevano il professor Gian Battista Boeri, responsabile del servizio informazioni partigiano, e Francesco Moschettini, laureato in ingegneria elettrotecnica nel 1939 che, dopo l’8 settembre aveva abbandonato la Marina per diventare vigile del fuoco. Il giovane Moschettini mise al servizio della Resistenza le conoscenze derivanti dalla sua tesi di laurea al Politecnico: aveva progettato, infatti, una centrale sotterranea di emergenza protetta dagli attacchi aerei con motore primo Diesel. Riuscì inoltre a garantire la sicurezza del servizio informazioni del CNL Alta Italia eludendo i sistemi di controspionaggio tedesco grazie alle antenne radio piazzate in cima alle alte ciminiere dove solo i pompieri osavano arrampicarsi. A seguito di una delazione fu arrestato il 21 settembre 1944 e morì nel campo di concentramento di Gusen il 24 gennaio 1945. A lui la città di Milano ha dedicato una pietra d’inciampo nel gennaio 2019. Anche il professor Rollier, che aveva lasciato il Politecnico nel novembre 1944 per entrare in clandestinità, svolse un importante ruolo di collegamento fra il Comando Piazza Corpo Volontari per la Libertà e il CNL di Milano: il 25 aprile, infatti fu lui a rendere esecutivo l’ordine di insorgere.
Altra figura di rilievo fra i docenti antifascisti fu Gianfranco Mattei, che giunto al Politecnico nel 1939, come assistente di Giulio Natta, fu incaricato dell’insegnamento di Chimica analitica. Appartenente ad una famiglia di tradizione antifascista, si unì nell’autunno del 1943 alle bande partigiane e fu chiamato dal partito comunista insieme con Giorgio Labò, studente di Architettura al Politecnico, a Roma dove assunse la responsabilità della santabarbara dei GAP, date le sue specifiche competenze nel campo degli esplosivi. Fu arrestato insieme a Labò il 1 febbraio 1944 e ferocemente torturato. Consapevole di non poter resistere oltre, sperando di poter salvare l’amico e compagno di lotta, si suicidò il 4 febbraio. Giorgio Labò venne fucilato pochi giorni dopo a Forte Bravetta. Sorte analoga fu riservata a Carlo Bianchi, laureato al Politecnico nel 1935 in ingegneria industriale. Entrato in contatto con il CNL di Milano nel gennaio del 1944, iniziò a stampare un foglio clandestino («Il Ribelle») presso la propria abitazione. Arrestato il 27 aprile 1944, in seguito alla delazione di un compagno, fu fucilato presso il campo di prigionia di Fossoli il 12 luglio 1944.
Alcuni studenti del Politecnico deportati in Germania per motivi politici: si ricordano Antonio De Finetti morto a Hersbruck nel dicembre 1944 e Mario Bobbio scomparso a Mauthausen l’11 maggio 1945. A loro fu concessa nel dopoguerra la laurea ad honorem.
Un caso del tutto singolare è costituito dai ventitrè studenti arruolati in Marina che si trovavano, nei giorni dopo l’armistizio, nell’isola iugoslava di Brioni di fronte a Pola. Avendo rifiutato di collaborare con la Marina tedesca furono arrestati e deportati in Germania presso il lager di Markt Pongau dove affrontarono lunghi mesi di prigionia fino alla Liberazione. Edoardo Bregani, uno dei protagonisti della dolorosa vicenda, membro del Collegio degli Ingegneri e Architetti di Milano, raccontò l’esperienza del lager nel suo diario La va a pochi. 1943-1945. Dall’Accademia navale al Lager di Markt Pongau. Dopo la Liberazione, il rettore Gino Cassinis fu confermato nella carica dal generale Erskine Hume, rappresentante delle forze alleate, il 19 luglio 1945.
La narrazione dei fatti avvenuti negli anni dal 1943 al 1945 è stata ricostruita grazie alla consultazione delle fonti conservate nell’archivio storico del Politecnico di Milano. In particolare per la ricostruzione dei profili di Giorgio Labò e Antonio de Finetti sono stati utilizzati i fascicoli riguardanti le lauree ad honorem concesse dall’Ateneo dopo il secondo conflitto mondiale (PoliMI, AS, Segreteria, Tit. XIII. Lauree ad honorem per la Resistenza). Per i profili di Henry Molinari, Mario Alberto Rollier, e Gianfranco Mattei sono stati consultati i fascicoli docenti (PoliMI, AS, Segreteria, Tit. VIII. Personale cessato). La figura di Francesco Moschettini è stata ricostruita in base al suo fascicolo personale di studente dal quale si sono ricavate le preziosissime notizie sulla sua tesi di laurea (PoliMI, AS; Segreteria, Tit. XIII. Laureati, Moschettini, 1939). La consultazione degli Annuari e Programmi, editi dal Politecnico di Milano dal 1941 al 1947 si è rivelata di fondamentale importanza per la narrazione generale.