Il 23 giugno 2016 entra in vigore il decreto legislativo (d.lgs) 97/2016, uno dei decreti applicativi della riforma della Pubblica amministrazione; secondo il comunicato stampa del governo, questo decreto ha introdotto «una nuova forma di accesso civico ai dati e documenti pubblici equivalente a quella che nel sistema anglosassone è definita Freedom of Information Act (FOIA)».
Il decreto è prevalentemente dedicato alla lotta alla corruzione, ma include un lungo e complesso articolo che muta profondamente la disciplina sull’accesso ai documenti della PA: chiunque, infatti, potrà presentare istanza d’accesso, senza obbligo di motivare la richiesta (art. 6, c. 1). Fino ad oggi, la legge 241/1990 riservava la possibilità di accedere ai documenti della PA solo a chi avesse «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso» (art. 22, c. 1, lett. b). Questa restrizione prevista dalla legge 241/1990 era la differenza più vistosa tra la normativa italiana e quella in vigore in quasi tutti i Paesi della UE e in moltissimi altri (USA, Canada, Messico, Brasile, Sudafrica, India, ecc.). Uno dei cardini delle leggi sul diritto d’accesso ai documenti della PA vigenti all’estero – in genere noti come FOIA, ovverosia leggi sul diritto all’informazione (sottinteso, detenuta dalla PA) – è proprio che il richiedente non deve essere obbligato a motivare la richiesta. Il Consiglio d’Europa aveva ripetutamente raccomandato ai Paesi membri di dotarsi di leggi sull’accesso che non prevedessero l’obbligo di motivare la richiesta (Recommandation No. R(81) 19 e Recommandation (2002) 2). Bene ha fatto, dunque, il governo, ad allineare la normativa italiana agli standard internazionali.
La legge 241/1990 resterà però in vigore (non viene neppure emendata); in pratica, d’ora in poi avremo due canali paralleli per l’accesso ai documenti della PA, uno libero dall’obbligo di motivare la richiesta, definito «accesso civico», l’altro riservato a chi abbia necessità dei documenti per tutelare una situazione giuridicamente rilevante. Che questa convivenza tra due normative relative all’accesso possa generare confusione tra i cittadini e i funzionari chiamati ad applicarle, è di facile previsione.
Le differenze tra le due discipline non si limitano a quanto già detto. Sembra infatti mutare innanzi tutto l’oggetto stesso dell’accesso: la legge 241/1990 lo circoscrive ai documenti amministrativi e chiarisce che «Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo» (art. 22, c. 4). Il d. lgs. 97/2016 garantisce il diritto di accedere non solo ai documenti ma anche ai «dati» detenuti dalle pubbliche amministrazioni (art. 6, c. 1. 2); nel disciplinare le istanze di accesso, menziona inoltre le «informazioni» (le istanze devono identificare «i dati, le informazioni o i documenti richiesti», art. 6, c. 1. 3). In genere, le normative straniere parlano di accesso a «documenti» (su qualsiasi supporto) oppure di accesso a informazioni che siano contenute in documenti già esistenti, a volte chiarendo che la PA non è tenuta a creare nuovi documenti per rispondere alle richieste di informazioni. Non sarebbe stato inutile precisare questo principio anche nella normativa italiana.
Quanto ai casi di esclusione dall’accesso, in parte il d. lgs. 97/2016 richiama i casi di esclusione previsti dalla legge 241/1990, in parte introduce nuove definizioni, che però non si discostano di molto dal tracciato della legge 241/1990, né da quanto previsto dai FOIA di altri Paesi. Questi ultimi spesso contengono un possibile motivo di esclusione dall’accesso, che invece non compare nella legge italiana, ovverosia la necessità di permettere un libero scambio di opinioni all’interno delle PA, nella fase di preparazione degli atti. Le normative estere spesso affermano, inoltre, il principio dell’interesse pubblico prevalente, secondo cui le PA debbono valutare se l’interesse pubblico alla conoscenza non sia prevalente rispetto all’interesse che viene protetto escludendo i documenti dall’accesso. L’inclusione di tale principio nella normativa italiana avrebbe potuto offrire una necessaria guida ai funzionari che si troveranno ad applicare la norma.
Il d. lgs. 97/2016 non pone un limite temporale all’esclusione dall’accesso, né stabilisce un raccordo con le norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di consultabilità dei documenti. Specifica, però, molto opportunamente, che le esclusioni dall’accesso «si applicano unicamente per il periodo nel quale la protezione è giustificata in relazione alla natura del dato» (art. 6, c. 2. 5).
L’accesso ai sensi del d.lgs. 97/2016 sarà «gratuito, salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali» (art. 6, c. 1. 4). Più saggiamente, la normativa statunitense prevede tariffe differenziate a seconda che la richiesta risponda ad un interesse pubblico alla conoscenza o a finalità commerciali (far pagare le richieste di questa natura qualcosa di più dei meri costi di riproduzione, sarebbe stato più che opportuno anche da noi).
Nel caso di risposta negativa o di mancata risposta alla istanza d’accesso, il d.lgs. prevede la possibilità di «presentare richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza» (art. 6, c. 1. 7). Nel caso degli enti locali, si potrà anche presentare ricorso al difensore civico competente. Resta ferma la possibilità di ricorso al TAR. Vengono dunque assegnate ai responsabili della prevenzione della corruzione degli oneri e delle responsabilità del tutto nuove e molto ingenti, che non sarà facile per queste figure – nate con tutt’altra finalità – fronteggiare.
Occorre inoltre considerare che il d. lgs. 97/2016 si chiude con l’ormai rituale «clausola di invarianza finanziaria»: dall’attuazione del decreto «non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» (art. 44). Eppure, per l’attuazione della legge sarebbe necessario un importante investimento nel settore della formazione: non si tratta solo di impartire nozioni in merito a una nuova normativa, ma di favorire un cambiamento culturale nella PA. Occorre infatti far penetrare nel senso comune degli impiegati la nozione che le informazioni detenute dalla PA appartengono ai cittadini, che hanno tutto il diritto di accedervi, salvo ben delimitate eccezioni. Inoltre, con quali risorse umane e finanziarie si potrà procedere a ricercare «i dati, le informazioni o i documenti richiesti»? E con quali risorse si potrà migliorare la gestione documentale e rendere più efficienti gli archivi correnti? Con quali risorse si potranno potenziare gli uffici dei responsabili della prevenzione della corruzione, per permettergli di esaminare con la dovuta competenza, cura e tempestività i ricorsi che si accumuleranno sulle loro scrivanie? Naturalmente, non abbiamo una risposta a queste domande, ma sappiamo che su tutti questi fronti gli archivisti potranno offrire, grazie alle loro specifiche competenze professionali, un contributo determinante, se gliene verrà offerta la possibilità.
Per saperne di più
Giulia Barrera, La nuova legge sul diritto di accesso ai documenti amministrativi, in «Rassegna degli Archivi di Stato», Roma, maggio-dicembre 1991, pp. 342-372 (pdf 2,13 MB)
Consiglio d’Europa: Recommendation No. R (81) 19 – Recommendation Rec (2002) 2