La complessità dell’informazione, l’intensità della testimonianza, e il consolidamento della memoria sono oggi, consapevolmente o meno, generati e garantiti dalla percezione e dalla natura comunicativa.

2001: A Space Odyssey - The Dawn of Man

The Dawn of Man

Cosi accade che in un angolo liquido del web, sui social media, l’attivista Mojahed Abu Joud (uno fra i molti) riferisce di numerosi bombardamenti sui quartieri assediati di Aleppo e accusa il regime e le milizie iraniane, non siriane, di aver violato il cessate il fuoco e aver contribuito all’instabilità della tregua. Mojahed Abuu Joud, con un post, riscrive in tempo reale la Storia. Nella stessa realtà e nello stesso tempo, le rivendicazioni jihadiste su youtube fanno eco alle istruzioni per attentati caricate su profili Facebook o in angoli dispersi del deepweb.

Tutto questo, inavvertitamente o meno diviene “disponibile”. La verticalità della testimonianza e la sua volatilità si rapportano in modo continuo e perpendicolare (non senza squilibrio) all’orizzontalità della diffusione. Se da un lato le grandi realtà del web virtuosamente si uniscono per combattere il terrorismo, dall’altro ci si interroga su come conservare la complessità delle testimonianze in rete.

L’archiviazione periodica di siti web e social, sia essa a “dominio completo” (extensive crawl), o selettivo tematico (focused crawl) è argomento centrale nel dibattito internazionale da alcuni anni. Nel mondo sono molte le organizzazioni e le iniziative. I National Archives and Records Administration (NARA) già nel 2013 produssero linee guida sulla conservazione WEB e più specificatamente Social Media:

Eppure, Jill Lepore ha affermato in un articolo dal titolo «Pùo internet essere archiviato?» comparso appena un anno fa: “The tools for doing anything meaningful with web archives are years behind the tools for creating those archives

In effetti, mentre le re-visit policy adottate si sforzano di disporre la periodicità (ingestibile) con la quale i web crawlers scandagliano le strutture di pagine dinamiche, scollegate, private, con accesso protetto da CAPTCHA discendendole e facendone copie in soli tre secondi l’immagine della casa di una bambina di 7 anni e della sua famiglia che viene bombardata è a disposizione delle impressioni del mondo.

Nei minuti seguenti la distruzione della casa, l’evacuazione e la fuga in diretta su Twitter viene seguita da 326mila followers. La bambina in questione, Bana Alabed, sana e salva ha poi scritto un tweet: “Leggo per dimenticare la guerra” che suscita commozione. Tutto questo genera partecipazione, dati, costi, e dunque problemi conservativi.

Rimanendo in superficie, nel febbraio 2014 nella sola piattaforma di Facebook erano state complessivamente caricate 400 miliardi di immagini corrispondenti ad oltre 40 petabyte, agli inizi del 2015 gli utenti attivi erano 1,2 miliardi. Twitter nel 2012 aveva più di 100 milioni di utenti, ed ogni giorno venivano postati 340 milioni di tweet, alla fine del 2014 gli utenti erano a 500 milioni. YouTube è il terzo sito Internet più visitato al mondo (dopo Google e Facebook) gestisce un traffico mensile di circa 27 petabyte di video; ogni mese oltre un miliardo di utenti visita la piattaforma e ogni minuto vengono caricate cento ore di video.

La distruzione di Aleppo e prima ancora di Palmira, l’esodo del popolo siriano, le reazioni sociali e le decisioni politiche,ogni contenuto veicolato dal web e dai social rappresenterà una fonte primaria, per la comprensione della civiltà dei primi decenni del secolo XXI da parte delle future generazioni di storici, sociologi, politologi, geografi ed umanisti “comunicatori”.

È un problema etico prima ancora che tecnico per dirlo con le parole di Linus Torvalds: “In quanto tecnico, so che la tecnologia non trasforma un bel niente. È la società a cambiare, la tecnologia, e non il contrario. La tecnologia pone solo i limiti di ciò che possiamo fare e di quanto ci costa farlo”.

Riflettere sulla complessità e sulla portata sociale dell’elemento comunicativo – l’estensione del concetto stesso di “documento” è il prodotto più evidente del processo di democratizzazione dei mezzi di comunicazione – non è soltanto una responsabilità ma un modo concreto di cercare una soluzione.

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