Fin dall’esordio nel 2015 del primo Master in Public History la comunità archivistica italiana si è subito trovata a suo agio nel confrontarsi essa perchè ha riconosciuto metodologie, strumenti e finalità simili a quelle legate alla realizzazione di progetti archivistici finalizzati alla valorizzazione, narrazione e comunicazione degli archivi, della loro ricchezza documentaria e delle storie in essi contenute verso nuovi e diversi pubblici.

Fin dall’esordio nel 2015 del primo Master in Public History, presso il Dipartimento di Studi linguistici e culturali dell’Università di Modena e Reggio Emilia, che introduceva per la prima volta nell’Accademia italiana una nuova disciplina, la Public history appunto, diffusa con successo in numerosi paesi del mondo, soprattutto anglosassoni ma poco conosciuta o del tutto sconosciuta in Italia, la comunità archivistica italiana si è subito trovata a suo agio nel confrontarsi essa perchè ha riconosciuto metodologie, strumenti e finalità simili a quelle legate alla realizzazione di progetti archivistici finalizzati alla valorizzazione, narrazione e comunicazione degli archivi, della loro ricchezza documentaria e delle storie in essi contenute verso nuovi e diversi pubblici.

La Public History è nata in ambito accademico statunitense negli anni Settanta del Novecento. I suoi intenti erano di portare la Storia fuori dalle accademie rendendo davvero la storia un patrimonio comune dove più voci concertavano più narrative.

Solo da pochi anni si è diffusa la consapevolezza dell’importanza delle pratiche di Public History in Italia. Nell’aprile 2017 infatti nasce l’Associazione italiana di Public history (AIPH) per iniziativa della Giunta Centrale per gli Studi Storici e della International Federation for Public History, dopo la riunione costituente dell’Associazione tenuta a Roma il 21 giugno 2016 per iniziativa di un comitato promotore di cui fanno parte 18 fra società scientifiche, enti e associazioni culturali e professionali italiani. Anai è socio fondatore dell’AIPH contribuendo alla stesura del manifesto della Public History italiana redatto dall’Associazione Italiana di Public History (AIPH).
Fin dalla Prima Conferenza a Ravenna (5-9 giugno 2017) la comunità degli archivisti è stata presente con panel, relazioni e proposte. In quell’occasione per esempio era stato presentato da Anai Toscana un panel dal titolo “Archivi e Public History. Un incontro possibile?” che metteva in evidenza le opportunità e le criticità di un incontro non solo possibile ma necessario tra archivi e Public History. Così come la presenza è aumentate anche nella Seconda Conferenza “METTI LA STORIA AL LAVORO”, svoltasi a Pisa dall’11 al 15 giugno 2018.

La Public History si nutre di archivi. Le tre conferenze fino ad oggi organizzate dall’Associazione italiana di Public history (Ravenna, Pisa e Caserta) hanno messo bene in evidenza il ruolo strategico e centrale dell’archivio, anche e soprattutto digitale, per poter “fare” Public History. Non solo. La possibilità di rendere gli archivi stessi “partecipati” e “partecipativi”, ha dimostrato che la Public History è uno strumento e una metodologia importante anche per la conoscenza e valorizzazione del nostro patrimonio documentario. Utile e importante anche per gli archivisti, figure centrali nei progetti di Public History (necessariamente pensati in modo interdisciplinare), anche perché nei fatti è stata praticata dagli stessi archivisti ancor prima del suo successo e diffusione nel nostro Paese. Progetti che creano anche interessanti opportunità di confronto tra le diverse professionalità che lavorano con la Storia e non solo, a partire proprio da un rinnovato (e forse finalmente proficuo) incontro tra archivisti e storici. Opportunità che favorisco una maggiore consapevolezza anche nei confronti della tutela e la salvaguardia del panorama archivistico nazionale, in particolare per gli archivi del Novecento, rivestendo così un’importanza strategica che va al di là della dimensione culturale ma che investe la salvaguardia delle fonti, le nuove politiche di conservazione, gestione e valorizzazione dei beni culturali e una riflessione sulla funzione (didattica, civica e politica) che tali fonti svolgono e svolgeranno nel prossimo futuro.

Queste istanze sono state affrontate anche nella Terza Conferenza Nazionale di Public History, “INVITO ALLA STORIA” appena conclusa a Santa Maria Capua Vetere e Caserta (24-28 giugno 2019). Scorrendo il ricco programma sono presenti numerosi momenti di riflessione, presentazione e dibattito riguardate gli archivi e la Public History. Segnale di una crescita ulteriore di interesse e partecipazione. Sono stati quindi presentati interessanti panel dedicati a specifici progetti di valorizzazione del patrimonio documentario attraverso la Public History. Un Panel dedicato alla “storia on line” e quindi agli “archivi on line”; un panel dedicato agli “archivi italiani: un immenso patrimonio collettivo e quattro modi per valorizzarlo oggi”; un panel dedicato ai progetti di comunicazione e narrazione degli archivi “Miniere di carta. Gli archivi dalla ricostruzione della storia alla tessitura delle storie”. In fine uno spazio dedicato agli archivi fotografici “Fotografia e progetto nella public history: esperienze, pratiche e percorsi espositivi tra istituzioni e scena urbana”. E solo per fare qualche esempio.

Per concludere, la Public History, alla luce di questo primo bilancio e confronto con gli archivi e gli archivisti, rappresenta certamente una occasione da continuare a seguire e coltivare in futuro.

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