Il seminario si è svolto all'interno del Convegno nazionale "Ieri, oggi, domani. I gruppi femministi si raccontano e si interrogano", tenutosi a Ferrara, dal 23 al 25 marzo 2018, organizzato dal Centro Documentazione Donna e dalla Casa editrice Luciana Tufani.

L’incontro del 24 marzo 2018 è stato convocato per fare il punto sulla situazione degli archivi femministi da alcune donne che avevano lavorato sugli archivi nella Rete Lilith negli anni Novanta e ai primi del Duemila e che hanno invitato quei Centri allora erano associati alla Rete, e altri che sono nati in seguito.

Negli anni Ottanta il femminismo italiano, diffuso in tutte le regioni e con intense relazioni internazionali, presentava un panorama politico molto variegato. All’interno di diversi gruppi – da Milano a Firenze a Cagliari… – nasceva in quegli anni un forte interesse per il recupero e la fruizione del grande patrimonio politico, filosofico, storico e letterario del movimento. Le protagoniste di questo impegno, che si è concretizzato nel 1986 in un primo incontro internazionale a Siena nel Convegno “Le donne al Centro”, sono state alcune di coloro che nei primi anni Settanta avevano dato vita al movimento (a differenza della situazione americana, illustrata nel libro di Kate Eichhorn, The archival turn in feminism: Outrage in Order, Temple University Press, 2013, in cui c’è un salto generazionale tra chi ha prodotto i documenti e chi poi li ha recuperati creando gli archivi femministi).

La Rete Lilith nasceva, prima ancora di internet, alla fine degli anni Ottanta, dalla volontà di condividere questo patrimonio di documenti molto vari – libri ma anche opuscoli, riviste,  manifesti, volantini, registrazioni di interviste e convegni – che non trovava posto nelle biblioteche e negli archivi istituzionali, pur essendo una fonte storica indispensabile per interpretare e tracciare le linee di trasformazione politica ed esistenziale di una generazione di donne (e di uomini), quella del ’68 e degli anni Settanta, su cui è ancora acceso il dibattito, a 50 anni di distanza.

La Rete voleva mettere in comune questo patrimonio, usando pionieristicamente i mezzi che la nascente infotelematica stava creando: scambio di record via posta, attraverso i floppy disk, prima della posta elettronica, una base di dati creata con un software libero dell’Unesco, CDS/Isis, che permetteva agli utenti di sviluppare in autonomia funzionalità aggiuntive utilizzando il linguaggio Pascal. Lilith è arrivata a cumulare 37mila record bibliografici, disponibili tuttora, gratuitamente, sul sito della Rete. Una base dati archivistica, Lilarca, è stata creata intorno al 1996, da un gruppo di lavoro della Rete, che ha pubblicato anche un primo sommario censimento di archivi e fondi di donne. È stata visibile e consultabile su web fino a circa il 2007, poi si è “rotta”, e ora è visibile solo su alcuni pc locali.

La Rete ha subìto negli anni una rarefazione di attività, ma recentemente un gruppo di persone che si erano tenute in contatto ha provato a riprendere alcune fila, diffondendo, nel mese precedente il seminario di Ferrara, un breve questionario per avere informazioni sintetiche sulla situazione e l’attività dei singoli archivi. Alcuni hanno risposto, ma non hanno potuto partecipare al seminario, per motivi diversi.  Altri purtroppo non sono stati raggiunti, per motivi che possiamo solo supporre: forse indirizzi cambiati o attività archivistica cessata. Preparando il seminario con le compagne dell’Associazione Archinaute di Genova, alcune del gruppo Lilith, abbiamo ipotizzato che molti Archivi femministi autonomi negli anni Novanta/primi 2000, a causa dell’interruzione, o del dirottamento dei già scarsi finanziamenti pubblici dall’attività culturale verso il “sociale”, come l’attività di contrasto alla violenza sulle donne, abbiano ceduto in toto o in parte i loro archivi a enti pubblici, biblioteche, università (e questa è l’ipotesi migliore, suffragata da alcuni casi specifici). Altri invece, come l’Archivio Zumaglino nella Casa delle Donne di Torino, hanno mantenuto entrambe le attività, affrontando non poche difficoltà. In sostanza, al seminario hanno partecipato “in presenza” 15 Archivi, circa 35-40 persone, di cui alcune “indipendenti” e hanno aderito ma non sono potuti intervenire la Fondazione Badaracco, il Centro documentazione e archivio di Modena e il Centro Mara Meoni di Siena.

Dopo un giro di presentazione del proprio archivio e della propria attività da parte delle presenti (tra le quali Luciana Percovich, che ha ripercorso la storia dell’Unione femminile di Milano e degli Archivi Riuniti, della Cooperativa Crinali e di altre associazioni di donne),  abbiamo ascoltato la relazione di Monica Di Barbora (animatrice del laboratorio di genere Maia presso l’ISEC di Sesto San Giovanni, Milano, e socia della SIS), che ha descritto lo stato, non proprio felice, degli archivi fotografici femministi, evidenziando la precarietà e la frammentazione della situazione, la non omogeneità delle descrizioni, la non semplice reperibilità. Dopo di lei chi scrive, come coordinatrice, ha avanzato alcune considerazioni critiche sullo “stato dell’arte” degli archivi femministi.

Dopo il tramonto del progetto del gruppo archivi della Rete, cioè la creazione e l’implementazione di Lilarca, non sembra che esistano oggi soddisfacenti sistemi autonomi di descrizione collettiva sul web degli archivi delle donne. Lilarca aveva molti difetti, ma altrettanti pregi, tra i quali l’anticipazione delle modalità di ricerca che gli utenti stavano inagurando sul web, puntata sempre più spesso al tema o contenuto, oltre che ai soggetti produttori. Quindi i documenti erano descritti in modo molto dettagliato, e forniti di descrittori (del Thesaurus Linguaggiodonna, primo thesaurus di genere femminile, il maggior lascito della rete Lilith), e di diversi tipi di indici. La compilazione dei record era lunga ma in compenso la ricerca era molto veloce ed efficace.

Oggi, anche le piattaforme informatiche su cui vengono caricati localmente i dati degli archivi sono diverse tra loro, legate di solito a istanze delle Regioni, e le descrizioni dei fondi molto spesso sono troppo sommarie per essere utili da una consultazione remota. Si è parlato di SIUSA, il Sistema informativo unificato delle Soprintendenze archivistiche, dove convergono le descrizioni degli archivi, in maggioranza privati, e che, in teoria, potrebbe essere il luogo dove fare almeno una prima ricerca trasversale e generale. In SIUSA confluiscono i dati raccolti grazie a due censimenti approfonditi su archivi di donne e anche carte di donne in archivi misti, condotti dalle Soprintendenze in Emilia-Romagna e nella Regione autonoma del Trentino Alto Adige. Ma nel resto d’Italia non è mai stato fatto niente di simile. Ci sono le schede inserite dalle singole Soprintendenze, ma non in modo sistematico come nel caso prima citato. Quindi, le fonti archivistiche sono in larghissima parte sommerse. Inoltre, chi scrive ha anche avanzato critiche al modo in cui, sul sito SIUSA nazionale, vengono restituite le informazioni esito di una ricerca: il termine femminismo nella “ricerca semplice” restituisce pochissimi record; il termine donne ne restituisce molti di più, ma in modo non specifico, in quanto il sistema effettua la ricerca del termine nei campi testuali delle schede inserite (descrizione a livello alto di soggetti produttori o conservatori o di fondi) e restituisce qualunque record in cui sia inserito il termine, anche nell’indirizzo dell’ente o della persona. Per trovare le “donne”, singole persone produttrici di un fondo documentario, bisogna andare su “ricerca avanzata”, poi “soggetti produttori persone” e quindi è possibile scegliere il sesso e individuare i fondi prodotti da donne: attualmente sono 428 in totale, mentre i “soggetti produttori persone” schedati come “maschili” sono 3123… solo il 730% in più…

Ma questi dati riguardano singoli mentre il problema che mi interessa è l’Archivio come sistema, come cercherò di dire tra poco.
Sempre in Siusa, nel “percorso tematico” “Gli archivi al femminile”, la ricerca con il termine donne restituisce effettivamente le schede non solo delle singole persone, ma anche dei soggetti collettivi, o enti e degli archivi o fondi che conservino materiali riguardanti le donne (in data 17 aprile 2018 si sono rilevati 104 complessi archivistici, 145 soggetti produttori, 23 soggetti conservatori), ma subisce i limiti di cui si scriveva prima: poche le aree del territorio italiano censite, pochi gli archivi e i fondi delle donne rilevati. E, soprattutto, gli archivi delle donne sono inseriti in un “percorso tematico”, alla pari degli archivi degli architetti, della musica, della psicologia, della fotografia…

Le donne come una “specificità”, insomma, nei confronti di un sistema archivistico che ancora oggi si autoproclama come un sistema neutro-universale, disconoscendo la sua matrice strettamente collegata con il sistema del potere politico, amministrativo, giuridico, ideologico, che è stato prodotto dalle classi dominanti e specificamente dal genere maschile al potere, da sempre, fino ad oggi. Il genere maschile, che non riconosce la sua storicità, ma la confonde con “l’ordine naturale delle cose”, come i “bianchi” non sanno di essere anche loro “coloured”: sono colorati solo “gli altri”. Non c’è una facile soluzione al problema, perché è un dato di fondo della nostra cultura, che si riflette quindi su ogni sua istituzione e manifestazione. È ovvio che il sistema-archivi, così come è arrivato fino a noi, è prodotto da questa vicenda storica. Non propongo di buttare tutto per aria, ma c’è il bisogno di trasmettere la consapevolezza storica di come e chi lo ha così costituito e con che vantaggio, chi i soggetti e chi gli oggetti, chi le escluse, gli esclusi. E perché.

La non-trasparenza dei sistemi di descrizione, dei database, in generale il rapporto odierno con le tecnologie, non fa che aggiungere difficoltà. Alcuni interventi nel seminario hanno sottolineato questa criticità, ricordando quanto è stato elaborato dalla critica femminista e il grande sforzo messo in campo da tecnologhe attiviste ed esperte negli anni della Rete Lilith. Oggi quelle esperienze pionieristiche non sono più proponibili, ma è invece attuale un “presidio” e una sollecitazione critica dei sistemi pubblici, affinché vengano ripresi ed estesi i censimenti di archivi femminili e femministi anche nelle altre regioni, organizzando strumenti di ricerca più raffinati, e con restituzione più puntuale dei risultati. Abbiamo la consapevolezza che la presenza femminile e la cultura femminista nel sistema pubblico, ma anche privato, degli archivi è imprescindibile, e deve essere riconosciuta, se si vuole che le fonti restituiscano alla storia un panorama reale di quello che di più innovativo si è realizzato nei decenni trascorsi, nella realtà sociale e nelle trasformazioni collettive e individuali delle soggettività.

Per saperne di più

Siti web degli Archivi femministi partecipanti al seminario di Ferrara

•    Torino
Laàdan, che associa:
Archivio donne in Piemonte (ArdP)
Centro documentazione pensiero femminile
Associazione Zumaglino Casa delle donne

•    Palermo
Archivia Donne in relazione (articolo su «Paese delle donne»)

•    Verona
Centro di documentazione Archivia, Gruppo memoria – Circolo della Rosa

•    Bologna
Associazione Orlando; ass.orlando@women.it
Biblioteca di storia delle donne

•    Fiuggi (FR)
Fondazione Adkins Chiti Donne in musica

•    Genova
Associazione Archinaute; archinaute@libero.it Associazione per un Archivio dei movimenti (Archimovi); archiviomovimenti@archiviomovimenti.org

•    Roma
Archivia-Casa internazionale delle donne

•    Sesto San Giovanni (MI)
Laboratorio Maia – ISEC

•    Ferrara
Centro documentazione donna

•    Cagliari
Centro di documentazione e studi delle donne
Circola nel cinema “Alice Guy”

•    Trieste
Centro documentazione Elca Ruzzier della Casa internazionale delle donne

•    Firenze
Rete Lilith

Archivi non presenti al seminario per impegni precedenti, che hanno risposto al questionario inviato:
Centro di documentazione donne Modena; info@cddonna.it
Fondazione Elvira Badaracco Milano; ofondbadaracco@mclink.it
Archivio Mara Meoni Siena

Segnaliamo inoltre:
Frauenzentrum di Bolzano, con cui sono stati ripresi i contatti dopo il seminario
«Effe», storica rivista femminista, di cui si sta studiando una adeguata collocazione; Daniela Colombo, intervenuta al convegno, ha parlato dell’archivio.

Per una storia più dettagliata delle vicende di Lilith vedi Simonetta De Fazi, La rete Lilith: una storia, in “DWF” 2/3 del 2007.

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