In tutto il mondo ferve ormai da più di tre mesi il dibattito sul possibile ruolo che le applicazioni digitali di tracciamento possono avere nell’opera di generale contrasto all’epidemia planetaria di Covid-19.
Nella pressoché totalità dei casi le analisi condotte su questi progetti vertono sull’efficacia, sulla fattibilità tecnologica e sui rischi che simili software pongono per coloro che ne fanno uso, in termini sia di privacy dei soggetti titolari dei dati sia di conseguenze pratiche sulla propria vita; inoltre, quasi sempre queste iniziative cercano di sfruttare a proprio vantaggio l’ubiquitaria diffusione degli smartphone, visti come il dispositivo più adatto per l’implementazione, dato che si presuppone che la stragrande maggioranza della popolazione dei paesi più ricchi ne possieda almeno uno (tale assunto in realtà si è dimostrato meno scontato del previsto: nel Regno Unito alcuni esponenti di organizzazioni di volontariato hanno evidenziato come il 20 per cento della popolazione britannica non possieda alcun genere di smartphone).
In molti paesi del mondo i piani per le implementazioni di tali applicazioni sono stati promossi con notevole enfasi e con slogan entusiastici, cosa comprensibile vista la situazione sociale determinata dalla presenza del virus Sars-Cov-2.
Tuttavia non sono mancate molte voci che hanno fatto notare le numerose criticità che possono emergere all’atto pratico; l’elenco delle principali tipologie comprende:
- la reale capacità che questi programmi hanno di intercettare in tempo utile le infezioni;
- il numero di falsi positivi e falsi negativi (non infetti identificati come tali e viceversa);
- il livello di collaborazione della popolazione;
- la conformità alla normativa vigente;
- il rischio di utilizzo indebito di una smisurata mole di dati personali e sensibili;
- questioni relative alla sicurezza informatica degli smartphone;
- possibili malfunzionamenti e danneggiamenti degli smartphone;
- le conseguenze pratiche di queste applicazioni sulla vita degli utenti;
- l’integrazione di tali strumenti nel quadro delle azioni di contrasto al Covid-19.
Tra i problemi sopra elencati, quelli inerenti alla privacy riguardano senz’altro molto da vicino gli archivisti.
Tuttavia a mio avviso non sono stati esaminati sotto una prospettiva specificatamente archivistica gli aspetti legati in maniera più intrinseca alla creazione, gestione e conservazione dei dati e dei documenti.
Le applicazioni di tracciamento – qualsiasi sia l’approccio utilizzato – finiscono con il creare delle basi di dati che hanno un ciclo di vita, durante il quale esse devono possedere in ogni momento caratteristiche tali da garantirne l’autenticità, l’accuratezza e l’affidabilità; cosa necessaria per la loro usabilità e per assicurare la loro capacità di generare conoscenza.
In particolare, l’esperienza che gli archivisti hanno accumulato negli anni durante l’allestimento dei sistemi di gestione documentaria può risultare preziosa nel momento in cui si tende ad evidenziare il flusso di lavoro completamente automatizzato delle applicazioni di tracciamento e a vederne solo gli eventuali vantaggi: la costruzione di processi totalmente automatizzati per il trattamento delle informazioni e dei documenti è estremamente difficile e se ne sottovalutano costantemente i rischi e le complessità nascoste.
Il motivo principale sottostante ai tentativi di realizzare le applicazioni di tracciamento risiede nel fatto che è molto difficile ricorrere al tracciamento manuale di fronte ad un carico di lavoro sterminato allorquando intere popolazioni di decine o centinaia di milioni di persone possono essere vettori inconsapevoli di un virus e quindi in linea di principio suscettibili di controllo; ciò è comprensibile e molti archivisti riconosceranno un’analogia tra questa esigenza e quella di riuscire in qualche maniera a gestire l’enorme mole di oggetti informativi prodotti nell’ambiente di lavoro da ogni genere di piattaforma ed applicazione informatica.
Ma la via per soluzioni all’altezza passa attraverso alcune attività che debbono al momento ancora essere svolte dagli esseri umani:
- un’attenta pianificazione iniziale;
- una gestione flessibile per modificare singoli processi o anche l’intero progetto;
- l’introduzione di criteri per verificare la qualità dei risultati e rilevare errori;
- misure per porre rimedio ad eventuali errori.
La prima nazione che ha fatto ricorso ad applicazioni di tracciamento è stata la Repubblica Popolare Cinese, dove il contesto legislativo e il livello di sensibilità per la sfera della privacy è assai diverso da quello dei paesi dell’Unione Europea.
Le autorità locali di numerose città (più di 200) già a fine febbraio 2020 avevano ottenuto che i due principali fornitori di servizi telematici nazionali – Alibaba e Tencent – caricassero sulle loro applicazioni per la telefonia mobile un programma aggiuntivo per permettere agli utenti di compilare un questionario online (collegato all’identità reale dell’utente tramite carta di identità) e – dopo che le risposte date sono state sottoposte a verifica – ricevere un codice QR (un codice a barre bidimensionale) che mostrasse le condizioni di salute del possessore dello smartphone (esistono tre tipi di codice QR: verde, giallo e rosso).
Il possesso di tale codice QR è diventato prerequisito essenziale per poter svolgere vari tipi di attività ed accedere a numerosi servizi; inoltre, esso serve a tracciare gli spostamenti dei singoli utenti, tenuto conto che per salire sui mezzi di trasporto pubblici o accedere ad uffici e numerose altre aree è necessario esibire il codice. Non stupisce quindi che possedere il codice QR sul proprio telefono mobile sia diventato obbligatorio di fatto, anche se non di diritto, e che la percentuale di popolazione che ha installato il codice QR nelle zone dove questo viene utilizzato sia più del 90% (cfr. Dan Grover).
Malgrado un livello di diffusione probabilmente irraggiungibile da altre nazioni (tra le quali quelle dell’Unione Europea) ed una cornice normativa non particolarmente attenta alla privacy e alla trasparenza amministrativa, non sono mancati problemi di implementazione, quali, ad esempio:
- cambi subitanei del colore del codice QR sui telefoni, con situazioni anche imbarazzanti (persone chiuse all’improvviso fuori dal loro condominio e quindi da casa);
- fasce di popolazione che non possiedono alcun tipo di telefono mobile (anziani; bambini; turisti provenienti da un altro paese; disabili);
- occasionali malfunzionamenti, ad esempio mancato caricamento dei codici QR che ha condotto il 6 maggio 2020 alla temporanea paralisi della stazione di Hangzhou (cfr. Xinmei Shen);
- mancata interoperabilità tra le differenti implementazioni delle applicazioni sviluppate a livello locale dalle varie autorità.
Si è reso quindi necessario istituire un servizio di assistenza per la revisione dei codici a causa dei numerosi errori rilevati nell’assegnazione dei medesimi.
In contesti giuridico-amministrativi dove le persone hanno molti più strumenti per opporsi a decisioni delle autorità pubbliche e per ricorrere contro di esse, e dove il controllo esercitato dallo Stato è meno capillare che in Cina, le complessità non possono che aumentare. Il rischio principale, come evidenziato dall’Ada Lovelace Institute, è quello di un “tech-solutionism” in cui ci si illuda che la tecnologia detti essa medesima le regole per la gestione dei processi, una chimera che gli archivisti conoscono purtroppo fin troppo bene. Invece è necessaria, come in ogni progetto, una continua azione di analisi, monitoraggio e correzione, a partire, ovviamente, dagli scopi che si intendono raggiungere e tanto più se si prevede il ricorso a soluzioni tecniche mai o poco sperimentate in precedenza.
A questo proposito, è interessante vedere come l’osservazione dell’Ada Lovelace Institute possa secondo alcuni riguardare anche l’applicazione di tracciamento utilizzata in Italia – “Immuni” –, dato che è stata formulata la critica che non siano chiare né le conseguenze che derivino dalla disponibilità del dato di un contatto ravvicinato con una persona infetta, né più in generale il ruolo che “Immuni” dovrebbe avere nel quadro delle azioni di contenimento e soppressione del virus SarsCov2, e questo perfino nella prospettiva di uno studio di tipo puramente epidemiologico (cfr. R. Berti et alii). Non intendiamo qui discutere intorno all’adeguatezza o meno di “Immuni” o di esperienze simili nel mondo, ma è chiaro che nulla giova se non si hanno chiari gli obiettivi che si vogliono raggiungere e la strategia generale da seguire.
Al di là della chiarezza sugli scopi e sull’approccio generale, qualsiasi piano per la realizzazione di un’applicazione di tracciamento dovrebbe prevedere alcune componenti che hanno assolutamente bisogno anche di competenze archivistiche, a partire dal progetto e dalla realizzazione dei database delle rilevazioni. Ne hanno uno perfino le applicazioni con architettura più distribuita come “Immuni”, dove vengono immagazzinati alcuni tipi di dati (quello di “Immuni” – gestito da Sogei – contiene solo i dati epidemiologici e le chiavi anonime). Al riguardo, alcuni dei campi di possibile intervento degli archivisti, in Italia ed in altri paesi sono la produzione di metadati che documentino il ciclo di vita del database; la definizione di procedure per certificare la conservazione; l’esperienza nell’uso di alcuni standard il cui dominio applicativo comprende senz’altro anche i database, quali ad esempio:
– SIARD (Software Independent Archiving of Relational Databases), un formato aperto per i database – sviluppato inizialmente dall’Archivio Federale della Svizzera – volto alla normalizzazione dei contenuti indipendentemente dal motore di database utilizzato, allo scopo di garantire la conservazione a lungo termine;
– OAIS (Open Archive Information System) – pubblicato nel 2005 come standard ISO 14721 –, che definisce un modello concettuale di riferimento per gli archivi digitali, specificando il quadro generale dei processi di conservazione e le funzioni da sviluppare per attuarli;
– PREMIS (PREservation Metadata Implementation Strategies), uno standard per la definizione dei metadati che documentano i processi di conservazione.
Inoltre, la misurazione della qualità dei dati è sempre essenziale, qualunque cosa si voglia fare e qualsiasi scopo si persegua, in modo particolare quando si tratta di dati sanitari. Nel 2014 in Sierra Leone un insufficiente livello di qualità dei dati pregiudicò i tentativi di sfruttare le rilevazioni GPS delle torri cellulari per tentare di tracciare i movimenti delle persone affette da virus Ebola (cfr. Susan L. Erikson). Da sempre la qualità dell’informazione è al centro dell’attività professionale degli archivisti e quindi il contributo che la comunità archivista può fornire in questo campo – dalla scelta dei metadati alla definizione delle procedure – è senz’altro significativo.
Infine, è importantissimo assicurare la capacità del sistema di auto-documentare sé stesso e la sua evoluzione nel tempo, grazie alla presenza di documenti, processi e metadati che descrivano e spieghino il sistema stesso e la sua evoluzione, sia nel suo complesso che in ogni sua singola componente (non solo tecnica, ma anche contrattuale, operativa ed amministrativa), così da evitare in futuro il rischio di potersi trovare di fronte a piattaforme che nessuno è in grado di far funzionare, perché le conoscenze relative sono andate perdute, oppure a situazioni dove termini contrattuali o conflitti tra sfere di competenze impediscono di effettuare operazioni necessarie per garantire la continuità operativa.
L’importanza del contributo che può offrire deve incoraggiare la comunità archivistica a chiedere di essere coinvolta in un processo dove si gestiscono dati personali e sensibili e dove l’enorme pressione per produrre risultati può facilmente portare a sprechi di risorse e gravi errori che alla fine si tradurrebbero in fallimenti ed indebolirebbero ancora di più la fiducia nella capacità delle istituzioni di organizzare una risposta giusta ed efficiente contro la “peste del XXI secolo”.
Per saperne di più
Dan Grover, How Chinese Apps Handled Covid-19
Xinmei Shen, No health codes creates chaotic morning commute in Hangzhou
R. Berti, A. Longo e S.Zanetti, Immuni, cos’è e come funziona l’app italiana coronavirus, in «Agenda Digitale»
Susan L. Erikson, Cell Phones ≠ Self and Other Problems With Big Data Detection and Containment During Epidemics