L’imminente concorso indetto dal Mibact per 500 funzionari monopolizza il dibattito nel mondo dei beni culturali. D’altronde, al di là di qualunque perplessità, questa spasmodica attenzione denuncia un’anomalia politica e sociale, ancor prima che culturale, di portata pluridecennale.
È naturale, quindi, accogliere positivamente lo sforzo dello stesso Ministero, ma altrettanto ovvio sostenere, come molti fanno, l’insufficienza di 500 funzionari per sanare un ritardo divenuto strutturale.
Se si constata (come faceva la Bianchi Bandinelli in un documento del giugno 2013) che oggi “la complessità del sistema di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale pubblico in Italia si regge prevalentemente sul lavoro esternalizzato: a singoli, a cooperative, ad agenzie di servizi private che operano per il Patrimonio” non ci si può non interrogare sulle origini e le implicazioni di questa situazione. Ci si accorge allora che lo squilibrio rilevato, amplificato di certo negli ultimi anni dal mancato investimento nel ricambio generazionale del pubblico impiego, rappresenta per le istituzioni che curano la tutela e la valorizzazione dei beni culturali non certo una novità, ma una costante di lungo periodo.
Già venti anni fa Emilio Cabasino in un articolo dal titolo I collaboratori “esterni”delle Soprintendenze sul “Notiziario dei Beni Culturali” notava che “il fenomeno del ricorso a professionisti esterni per attività di supporto ed integrazione di quelle espletate dei funzionari tecnici dell’Amministrazione dei beni culturali e ambientali è realtà presente dalla costituzione dello stesso Ministero” la cui struttura, proseguiva l’autore, “progettata a suo tempo come eminentemente tecnica, si è trovata nei fatti con un carico di gestione burocratica-amministrativa, con una cronica scarsità di risorse umane (specialmente dei profili tecnici) e finanziarie, da rendere praticamente non facile la realizzazione dei suoi fini istituzionali”.
Se da un lato la libera professione appare come elemento ineliminabile a supporto dell’attività delle Istituzioni dall’altro occorre sottolineare come nel corso del tempo la sua consistenza abbia assunto solidità e maturità, senza che ad essa sia stato garantito l’adeguato sostegno e la necessaria tutela. Lo hanno ad esempio segnalato i dati emersi dalla “Rilevazione sullo stato della professione” che l’Anai (Associazione nazionale archivistica Italiana) ha condotto nel 2014. Fra i molti aspetti emersi da quella indagine è significativo soffermarsi su due: la percentuale di liberi professionisti registrata rispetto a quella degli archivisti “strutturati” (siano essi dipendenti pubblici o privati) e la retribuzione media dei primi. Su un campione di 1394 questionari, al sondaggio il 23% è rappresentato da liberi professionisti (con contratti atipici di diversa natura) che denunciano una retribuzione media annua lorda inferiore ai 5.000 euro nel 34% dei casi, inferiore ai 10.000 euro nel 26%. Seppur relativi e parziali, i dati delineano uno scenario avvilente. Il numero di liberi professionisti (per lo più assai qualificati) continua a crescere a fronte di una retribuzione che è eufemistico definire misera e di un mercato del lavoro che invece di consolidarsi si sgretola.
In definitiva, se l’auspicata permeabilità fra pubblico e privato e le nuove formule di lavoro flessibile, delineano un modello che punta al superamento della distinzione tra lavoratori autonomi e dipendenti nella prassi, si rileva fra i due, una formale e rigida differenza ed una distanza difficilmente colmabile, che potrebbe riassumersi nella formula tutelati/non tutelati.
È pur vero che l’attenzione ai professionisti dei beni culturali, si è fatta, negli ultimi tempi, più sensibile: le Norme UNI che regolano e definiscono i profili professionali; la legge 4/2013; l’impegno di associazioni come Colap, Acta e Coalizione27febbraio; gli elenchi ministeriali di professionisti accreditati e l’attuale e importantissimo dibattito sui lavori in corso per la definizione di uno statuto per il lavoro autonomo previsto dalla legge di stabilità 2016 incentivano la speranza che la fragilità della libera professione possa venire attenuata. Ma c’è ancora moltissimo da fare. La creazione di una solida e specifica architettura di sostegno e di protezione del lavoro autonomo è un’indispensabile esigenza non solamente per gli stessi lavoratori ma anche per le istituzioni culturali di cui supportano l’attività di tutela e valorizzazione.
* Il presente contributo sconta un debito di gratitudine verso la dottoressa Bruna La Sorda. Il cui intervento, I libero professionisti e l’amministrazione archivistica, al convegno ANAI “Professione Archivista”, tenutosi a Bari il 15 marzo 2016, fornisce origine e sostanza.