In piena pandemia da Covid-19, il Consiglio di Stato si è riunito in Adunanza Plenaria per esaminare una controversia in materia di accesso agli atti della Pubblica amministrazione ed ha emesso una sentenza (2 aprile 2020, n. 10) finalizzata a dirimere diversi dubbi interpretativi relativi all'accesso generalizzato (o “accesso civico generalizzato”, che dir si voglia).
Ne ha dato prontamente notizia, fra gli altri, Mario Savino (ordinario di diritto amministrativo all’Università della Tuscia), in un utile webinar liberamente accessibile sul sito del Centro nazionale di competenza FOIA, istituito presso il Dipartimento della funzione pubblica (https://www.foia.gov.it/).
Noto giornalisticamente come il “FOIA italiano” (da Freedom of Information Act, il nome della legge statunitense sull’accesso, del 1966, modello per leggi analoghe di molti altri paesi), l’accesso generalizzato (cioè l’istituto che permette l’accesso ai documenti della PA anche a chi non ha un interesse giuridicamente qualificato) è stato introdotto nel nostro ordinamento dal d. lgs 97/2016, nella forma di un lungo emendamento al d. lgs. 33/2013 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni).
Nei quattro anni che ci separano dalla sua introduzione, l’accesso generalizzato ha ricevuto in Italia una applicazione molto più contenuta di quanto alcuni si auguravano e altri paventavano: ad esempio, i ministeri nel complesso hanno ricevuto 1.146 istanze di accesso generalizzato nel 2017 e 1.818 l’anno successivo, con una media, nel 2018, di 11 richieste al mese per ministero, per la maggior parte accolte (M. Savino, Il FOIA italiano e i suoi critici: per un dibattito scientifico meno platonico, “Diritto amministrativo”, XXVII (2019), 3: pp. 453-94). Non certo un onere tale da paralizzare l’attività amministrativa, come i critici della norma preconizzavano.
Naturalmente, le richieste di accesso si sono indirizzate non solo verso i ministeri, ma anche verso le altre pubbliche amministrazioni, comprese le Asl, come nel caso esaminato dal Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, relativo alla richiesta di accesso presentata da una ditta esclusa da una gara d’appalto.
La principale controversia interpretativa che l’Adunanza Plenaria è stata chiamata a dirimere riguardava il seguente interrogativo: è possibile accedere agli atti di una procedura di affidamento dei contratti pubblici, ai sensi del d. lgs. 33/2013? No, avevano affermato – in riferimento a precedenti casi – alcuni TAR, nonché la V Sezione del Consiglio di Stato (sentenze 5502-5503/2019), perché il Codice dei contratti pubblici (d. lgs. 50/2016, art. 53, c. 1) dispone che “Il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici” è disciplinato dalla l. 241/1990. Quindi può accedere ai documenti di una gara d’appalto solo chi ha un interesse giuridicamente tutelato, come previsto dalla l. 241/1990. Sì, avevano invece affermato altri TAR, nonché la III Sezione del Consiglio di Stato (sentenza 3780/2019), notando, fra le altre cose, che il Codice dei contratti pubblici è anteriore alla norma che ha introdotto l’accesso generalizzato (per maggiori dettagli su questi precedenti giurisprudenziali e sulla connessa controversia giuridica si rinvia al webinar di Savino sopra citato).
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha respinto la tesi della V Sezione ed ha affermato che “la disciplina dell’accesso civico generalizzato (…) è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici” (38.c). Gli argomenti portati a sostegno di questa decisione sono molteplici e in questa sede se ne può ricordare solo uno: “La natura fondamentale del diritto di accesso civico generalizzato” implica che la introduzione di eccezioni al suo esercizio è coperta da riserva di legge (non può derivare da una interpretazione estensiva di altre norme). Spiega la sentenza:
36.1. Se il nostro ordinamento ha ormai accolto il c.d. modello FOIA non è l’accesso pubblico generalizzato degli atti a dover essere, ogni volta, ammesso dalla legge, ma sono semmai le sue eccezioni a dovere rinvenire un preciso, tassativo, fondamento nella legge.
Nella stessa sentenza, sono stati sciolti altri due dubbi interpretativi, che avevano dato luogo a sentenze in contrasto l’una con l’altra. Se una istanza di accesso ai documenti fa riferimento solo alla l. 241/1990 e su questa base non può essere accolta, una P.A. è “comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato”? Sulla questione, l’Adunanza Plenaria ha enunciato il seguente principio di diritto:
a) la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990 (…).
Quindi, in linea di massima, anche se l’istanza non fa riferimento al d.lgs. 33/2013, se sulla base di questa norma può essere soddisfatta, la PA è tenuta farlo.
Nell’argomentare le sue decisioni, l’Adunanza Plenaria ha sciolto anche un altro dubbio interpretativo: secondo la V Sezione del Consiglio di Stato, le istanze di accesso generalizzato potevano essere accolte solo se finalizzate alla tutela di un interesse generale, e non nel caso di interessi riferibili a singoli individui. A fondamento di questa tesi, il fatto che l’accesso generalizzato è stato istituito “Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”, come spiega la legge stessa (d. lgs. 33/2013, art. 5, c. 2).
Questo tipo di lettura della norma è stato rigettato dall’Adunanza Plenaria, che ha osservato:
37.2. Non si deve confondere da questo punto di vista la ratio dell’istituto con l’interesse del richiedente, che non necessariamente deve essere altruistico o sociale né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza (…).
Le motivazioni dell’interessato sono dunque irrilevanti e devono essere soddisfatte anche le istanze di accesso avanzate per motivi personali o mera curiosità, purché non abbiano caratteristiche “vessatorie o pretestuose”.
Il vertice della giustizia amministrativa ha dunque delineato una linea interpretativa tendente a favorire quanto possibile l’accesso, a meno che non sia necessario limitarne l’esercizio per la salvaguardia di altri interessi costituzionalmente tutelati, espressamente indicati dalla legge. Una simile linea emergeva anche dalle circolari applicative emanate dal Ministero della pubblica amministrazione (n. 2/2017 e n. 1/2019) e dalle Linee guida emanate dall’ANAC (delibera n. 1309/2016), ma aveva incontrato resistenze in talune pubbliche amministrazioni e presso alcuni organi della giustizia amministrativa.
Le argomentazioni su cui l’Adunanza plenaria ha fondato la sua decisione sono articolate e meritano una lettura integrale da parte degli archivisti che debbono gestire istanze d’accesso, per i quali può essere inoltre utile un visita al sito del Centro nazionale di competenza FOIA, che include sia materiale per principianti – come ad esempio brevi videolezioni introduttive (“FOIA in pillole”) – sia documentazione di interesse più specialistico, come una rassegna della giurisprudenza e dei pareri del Garante per la protezione dei dati personali in materia di accesso generalizzato.