A Budapest, da vent'anni, è in funzione l'Open Society Archives (OSA), uno dei più grandi archivi del mondo dedicato alla documentazione della Guerra fredda, prodotta dai Paesi dell'ex blocco sovietico.
A detta del suo massimo esponente, il direttore István Rév, il Vera & Donald Blinken Open Society Archives (OSA) costituisce «probabilmente uno dei più grandi archivi del mondo sulla Guerra fredda». Tale affermazione viene sorretta dalla presenza di circa 9.000 metri lineari di documentazione fisica, 11.000 ore di materiale audiovisivo e 12 terabytes di dati digitali custoditi all’interno dei relativi depositi, fisici e digitali, che costituiscono il patrimonio archivistico culturale dell’OSA, sito nel maestoso palazzo Goldeberger in Budapest. L’OSA, fondato nel 1995, è stato inaugurato l’anno successivo. La maggior parte dei contenuti dell’archivio – in séguito a una serie di passaggi succedutisi dopo il crollo dei regimi dell’Est Europa – è di proprietà del Congresso statunitense. Il compito di sostenere finanziariamente e professionalmente l’attività di conservazione dei documenti e di renderli pubblici e consultabili da parte degli studiosi e di chiunque vi sia interessato è stato demandato prima all’OMRI – Open Media Research Institute, con sede a Praga; poi all’OMRI insieme con l’OSA, fondato successivamente a Budapest; infine al solo OSA. L’OSA, come già l’OMRI, è un istituto appartenente al network delle fondazioni erette da George Soros.
Lo sfondo che sta dietro all’imponente mole documentale è la contrapposizione tra i blocchi politico-ideologici di qua e di là dalla cortina di ferro; i fondi dell’OSA – un ricco insieme quasi unico nel suo genere – danno piena testimonianza di quella temperie storica. Pertanto, il ricercatore che si appresta a condurre le proprie ricerche potrà consultare una molteplicità di fonti accessibili, provenienti da entrambe le sfere geopolitiche, occidentale e sovietica. Vi sono fondi intestati a personalità e organizzazioni che, dagli inizi degli anni ’50 alla metà degli anni ’90 del Novecento, hanno partecipato alla vita politica e culturale nei Paesi dell’area sovietica. Particolarmente interessante è tutto il materiale relativo al fenomeno Samizdat, cioè la letteratura clandestina russa autopubblicata e circolante sotto forma di copie dattiloscritte entro il blocco sovietico, e Tamizdat, vale a dire l’insieme delle opere clandestine esportate di contrabbando per essere pubblicate all’estero, ai tempi della censura stalinista. E notevoli sono le collezioni legate ai moti rivoluzionari in Ungheria del 1956, alle pratiche di spionaggio interno da parte delle agenzie di sicurezza del Ministero degli Interni, ai sondaggi di pubblica opinione durante l’era Kádár, alla documentazione digitalizzata dell’Internazionale Comunista, fino ad arrivare al cospicuo e rilevante fondo di Radio Free Europe/Radio Liberty.
Uno sguardo particolare va dedicato al fondo audiovisivo della Black Box Foundation. Sul finire degli anni ’80 del Novecento, anche in risposta al diffondersi dell’uso delle telecamere e fotocamere private come strumento di controllo mediatico da parte dell’apparato dirigente, monopolizzatore delle reti televisive e delle telecomunicazioni, nacque la Black Box Foundation, da molti considerata una delle prime emittenti indipendenti in Ungheria e insignita del Premio Pulitzer Memorial nel 1993. Il nome fu scelto da un gruppo di attivisti freelance: István Jávor (fotografo con propria fotocamera), Márta Elbert (produttrice in film studio), Judit Ember e András Lányi (direttori) e Gabor Vagi (sociologo).
La Black Box si prefiggeva di documentare gli eventi che segnarono la lotta per le libertà democratiche calpestate dalla dittatura, in particolar modo dando voce ai protagonisti impegnati nel periodo antecedente il 1989 e nella successiva fase di transizione. I temi delle interviste, girate agli angoli delle strade, in appartamenti privati, bar, cinema e teatri, andavano dalle opere pubblicate attraverso il canale Samizdat, alle commemorazione della Rivoluzione del 1956, agli scandali politici come il cosiddetto Danube (o Duna)-Gate (emerso nel 1990), alle diffuse situazioni di indigenza, fino alle dimostrazioni che segnarono il cambio di regime. Il valore di questa collezione è accresciuto dal fatto che la Black Box è stata una delle rari emittenti private (se non l’unica) a lavorare al di fuori del circuito ufficiale, fornendo una diversa analisi ricostruttiva degli eventi che hanno segnato la dissoluzione del regime socialista e la nascita di un nuovo assetto politico-istituzionale.
La collezione video (1988-2006) fu prodotta originariamente su cassette VHS e S-VHS; in seguito seguì un processo di digitalizzazione in formato DVD. La collezione dei documentari consta di 80 item, circa 0,80 metri lineari, e più di un migliaio di ore di visualizzazione. Il lavoro di valorizzazione di tale fondo inedito, a cui ho avuto la possibilità di partecipare come Audio Visual Archivist, ha visto in un primo momento la conversione e successiva migrazione dei dati dai supporti analogici ai server OSA grazie all’utilizzo del software iSkysoft iMedia Converter Deluxe, mentre la fase finale, in corso d’opera, vedrà la condivisione dei video con conseguente gestione dei metadati sul canale OSA YouTube.
Per saperne di più
Il sito dell’Open Society Archives