Il 2018 appena concluso è stato l’occasione per affrontare una delle più tragiche pagine della nostra storia: ottant’anni sono passati dall’emanazione delle leggi razziali antiebraiche del 1938. Molte iniziative sono state organizzate in tutta Italia ma quattro mostre a Torino ci permettono di affrontare passato e presente di quella memoria con una particolare attenzione alla dimensione documentaria.

Università di Torino, Polo del 900, Archivio storico della Città di Torino, Fondazione 1563 hanno scelto la mostra come mezzo per gettare luce sulle leggi razziali, proponendo quattro percorsi differenti ma complementari per raccontare l’orrore e gli effetti di quella legislazione.

L’intero progetto è affidato al coordinamento del Museo diffuso della Resistenza e posto sotto il titolo 1938-2018 A 80 anni dalle leggi razziali.

La Scienza e la vergogna. L’Università di Torino e le leggi razziali (curata dai docenti Giacomo Giacobini, Silvano Montaldo e Enrico Pasini, in collaborazione con Paola Novaria, responsabile dell’Archivio storico dell’Università) ripercorre la storia dell’espulsione dei 58 tra docenti, assistenti e personale dell’Ateneo torinese eseguita in applicazione delle norme antiebraiche del 1938, intrecciando la vicenda con le storie dei singoli. La mostra ospitata nella sede del Rettorato (via Verdi 8) dapprima contestualizza per ognuno la situazione precedente il 1938, che vide la ricerca di una legittimazione scientifica alle politiche razziali in Italia e in Europa, per poi narrare le storie accademiche, attraverso i documenti e strumentazione scientifica dell’archivio dell’università, di chi venne espulso. Una sezione della mostra è dedicata allo zelo con cui l’Università effettuò la sostituzione del personale “di razza ebraica” e la dolorosa vicenda della propaganda razzista e della mobilitazione di studenti e docenti contro le vittime della discriminazione. Infine la mostra si chiude con un tributo a chi subì la violenza razzista, ripercorrendo gli studi e la storia di alcuni di loro dopo la fine dell’orrore della Seconda Guerra mondiale, come le grandi scoperte nel campo della neurobiologia Rita Levi Montalcini, e con la destituzione del concetto di razza di ogni validità scientifica.

Al Polo del ‘900, Che razza di storia, 1938-2018. A 80 anni dalle leggi razziali (curata da Barbara Berruti, Fabio Levi, Paola Boccalatte e Guido Vaglio) si caratterizza come un’immersione multimediale nel contesto storico che portò dalla promulgazione delle leggi razziali e all’orrore dei campi di sterminio fino alle alterne vicende della memoria di tale tragico periodo della nostra storia. Con un approccio più scenografico che analitico la mostra permette di confrontare documenti audiovisivi, testimonianze orali, giornali e fotografie che ripercorrono la costruzione della macchina propagandistica fascista contro gli ebrei e il fondamento razzista del regime. Il percorso si conclude con la scansione delle principali fasi della costruzione della memoria collettiva dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e di come questa memoria sia sempre fragile e debba confrontarsi con negazionismo e revisionismo.

L’Archivio Storico della Città di Torino, partecipa all’iniziativa con Torino sotto attacco. Dalle leggi razziali alla Liberazione. L’istituto archivistico del Comune di Torino ha realizzato un’esposizione con un percorso in cui 300 testimonianze tra documenti, fotografie, disegni, mappe e oggetti ripercorrono le tappe cruciali della storia della città tra il 1938 e la Liberazione: il processo di discriminazione e di espulsione degli ebrei dalla vita sociale, le persecuzioni, la guerra, i bombardamenti, le scene di vita quotidiana nella città colpita, la paura, la ricerca di normalità e infine la Liberazione e il lento ritorno alla vita in pace.

Le case e le cose – di cui abbiamo già parlato sul Mondo degli archivi – è ospitata dalla Fondazione 1563 ed è basata sulle carte del fondo EGELI (Ente Gestione e Liquidazione Immobiliare), a cui, pochi giorni dopo l’emanazione delle leggi razziali, fu affidato il compito di censire, catalogare, valutare, sequestrare e poi, dopo la fine della guerra, ri-assegnare i beni delle famiglie ebraiche. Il fondo fa parte dell’Archivio storico della Compagnia di San Paolo. Colpisce in queste carte la lucida freddezza, l’indifferenza, il distacco con cui i funzionari a cui venne affidato il compito di condurre le ispezioni, stendere le perizie, censire e descrivere i beni oggetto di sequestro condussero la loro opera. Si coglie in quelle aride relazioni, nella tignosa acribia con cui sono confezionate, la drammatica responsabilità di chi non si rende conto della atrocità che sta commettendo. Si avverte il compiersi di una rottura di legami che fino a poco prima erano intercorsi fra vicini di casa, colleghi d’ufficio, compagni di partito, bottegai e negozianti e loro clienti. Da un giorno all’altro persone con cui si erano intrattenute frequentazioni e rapporti normali, si erano condivisi pezzi di vita, diventano i nemici.

Le quattro mostre, ciascuna da un punto di vista “monografico”, da un lato consegnano ai visitatori una visione vasta e terribile di come differenti istituzioni del contesto torinese abbiano operato durante l’applicazione delle leggi razziali, gli orrori della guerra e dopo la Liberazione e dall’altro offrono la possibilità di riflettere e rielaborare tale passato in una modalità spesso poco attuata nel nostro paese. Forse solo una maggiore cooperazione tra i diversi organizzatori nel promuovere i quattro percorsi come una complessiva riflessione di una città attorno alla vicenda delle leggi razziali avrebbe reso ancor più evidente l’idea, che comunque si percepisce, di una comunità impegnata nella riflessione sul passato. Il documento conservato negli archivi per ottant’anni e oggi esposto, si mostra quindi in una natura duplice, sospeso in due dimensioni temporali: testimonianza fisica del passato e oggetto che l’istituzione stessa ci presenta per interrogarsi, e farci interrogare, sulla propria storia.

Nella retorica che, giustamente da un certo punto di vista, siamo portati ad adoperare in occasione del ricordo di eventi tragici del passato, in particolare come le leggi razziali, la Shoah e la Seconda Guerra Mondiale, si fa uso delle categorie della barbarie e della bestialità. Si riconduce il razzismo e l’intolleranza ad asimmetrie nella conoscenza, all’ignoranza. Siamo portati a definire con una semantica che allontana da noi l’orrore scatenato in quegli anni ormai lontani.
Il confronto con i documenti, con la loro banalità ci mostra invece come gli orrori del passato sono qualcosa della nostra storia, prodotti della nostra civiltà, di una sua distorsione e perversione forse, ma non qualcosa di alieno.

Da quest’ottica soprattutto a chi si occupa di archivi non sarà sfuggito un dettaglio: l’archivio è stato uno strumento indispensabile nella realizzazione del progetto di segregazione razziale e successivamente di sterminio. Registri, elenchi, informazioni ordinate, conservate e disponibili alla ricerca sono stati usati per colpire, schiacciare e annientare il diverso, l’indesiderabile e il nemico. L’amara constatazione a margine delle mostre è che l’organizzazione, l’efficienza amministrativa, la validazione scientifica proprie del civile stato europeo hanno portato la volontà di annientare e sopraffare a un livello di disumanità che ancora oggi sfugge alla nostra completa comprensione.

Per saperne di più

Museo diffuso della Resistenza Torino

Università di Torino, La Scienza e la vergogna. L’Università di Torino e le leggi razziali

Polo del ‘900, Che razza di storia, 1938-2018. A 80 anni dalle leggi razziali

Archivio Storico della Città di Torino, Torino sotto attacco. Dalle leggi razziali alla Liberazione

Fondazione 1563, Le case e le cose, Le leggi razziali del 1938 e la proprietà privata

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