Come se non bastassero le difficoltà applicative che il Regolamento UE 2016/679 sulla protezione dei dati personali pone a tutti gli archivisti europei, gli archivisti italiani dovranno affrontarne una supplementare: la traduzione in italiano pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea presenta, infatti, un errore marchiano proprio in una frase chiave per quanto riguarda gli archivi.

La questione è complessa e necessita di una premessa per essere compresa.

Nella vecchia normativa italiana sulla protezione dei dati personali,il legislatore aveva parlato di trattamenti di dati per “scopi storici”, tanto per indicare i trattamenti archivistici, quanto per riferirsi ai trattamenti necessari alla ricerca storica; il Regolamento europeo, invece, distingue tra i trattamenti a fini archivistici e quelli a fine di ricerca storica. Nello specifico, l’espressione che ci riguarda utilizzata dal Regolamento è “archiviazione nel pubblico interesse”.

Così, ad esempio, l’art. 5 recita:

1. I dati personali sono:

(…)

e) conservati in una forma che consenta l’identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati; i dati personali possono essere conservati per periodi più lunghi a condizione che siano trattati esclusivamente a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici (…).

Diventa quindi cruciale sapere cosa s’intenda esattamente per “archiviazione nel pubblico interesse”. Il Regolamento spiega il significato di questa espressione nel “considerando” n. 158, che non solo è piuttosto contorto, ma contiene anche un errore di traduzione: il termine inglese “records” (che vuol dire “documenti d’archivio”) è infatti stato tradotto in italiano con “registri”.

Il risultato è un testo che lascia sgomenti:

158) Qualora i dati personali siano trattati a fini di archiviazione, il presente regolamento dovrebbe applicarsi anche a tale tipo di trattamento, tenendo presente che non dovrebbe applicarsi ai dati delle persone decedute. Le autorità pubbliche o gli organismi pubblici o privati che tengono registri di interesse pubblico dovrebbero essere servizi che, in virtù del diritto dell’Unione o degli Stati membri, hanno l’obbligo legale di acquisire, conservare, valutare, organizzare, descrivere, comunicare, promuovere, diffondere e fornire accesso a registri con un valore a lungo termine per l’interesse pubblico generale. (…)

La lingua in cui è stato elaborato il testo del Regolamento approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio, è l’inglese. Nell’originale inglese, la frase contenente le parti evidenziate è la seguente:

Public authorities or public or private bodies that hold records of public interest should be services which, pursuant to Union or Member State law, have a legal obligation to acquire, preserve, appraise, arrange, describe, communicate, promote, disseminate and provide access to records of enduring value for general public interest.

In francese è stata tradotta in modo assai più appropriato che in italiano:

Les autorités publiques ou les organismes publics ou privés qui conservent des archives dans l’intérêt public devraient être des services qui, en vertu du droit de l’Union ou du droit d’un État membre, ont l’obligation légale de collecter, de conserver, d’évaluer, d’organiser, de décrire, de communiquer, de mettre en valeur, de diffuser des archives qui sont à conserver à titre définitif dans l’intérêt public général et d’y donner accès.

Potenzialmente, la erronea traduzione in italiano di “records” potrebbe creare seri problemi: come si è detto, la definizione di “archiviazione nel pubblico interesse” è una questione fondamentale per gli archivi, perché il Regolamento usa questa espressione ogni qualvolta vuole disciplinare le eccezioni a favore degli archivi, tanto è vero che “archiviazione nel pubblico interesse” ricorre ben nove volte nei “considerando” iniziali e sette volte negli articoli, oltre a comparire nel titolo dell’art. 89.

Se non si riuscirà ad ottenere una correzione della traduzione del “considerando” n. 158, c’è da sperare che – nel caso vi sia una controversia che finisce in tribunale – i giudici usino tutto il buon senso che invece è mancato al traduttore.

A complicare le cose, contribuisce il fatto che in italiano il Regolamento contiene una definizione del termine “archivio” dal contenuto singolare:

6) «archivio»: qualsiasi insieme strutturato di dati personali accessibili secondo criteri determinati, indipendentemente dal fatto che tale insieme sia centralizzato, decentralizzato o ripartito in modo funzionale o geografico;

Vien da chiedersi quale strampalato manuale di archivistica abbiano mai consultato i legislatori europei. In realtà, anche in questo caso si tratta di un problema di traduzione. Nel testo originale, infatti, la definizione è la seguente:

(6) “filing system” means any structured set of personal data which are accessible according to specific criteria, whether centralised, decentralised or dispersed on a functional or geographical basis;

così tradotta in francese:

6) «fichier», tout ensemble structuré de données à caractère personnel accessibles selon des critères déterminés, que cet ensemble soit centralisé, décentralisé ou réparti de manière fonctionnelle ou géographique;

Filing system” non ha un diretto corrispettivo in italiano; la traduzione più vicina è “sistema di archiviazione”. Bisogna dire che nel contesto delle specifiche frasi in cui compare, tradurre “filing system” con “archivio” invece che “sistema di archiviazione” è del tutto accettabile (oltre che nella definizione citata, l’espressione “filing system” è utilizzata solo quattro volte nel Regolamento: nell’art. 2 e nei “considerando” 15, 31, 67).

Però ingenera confusione il fatto che nel “considerando” 153, relativo alla necessità di deroghe finalizzate a garantire l’attività giornalistica, si utilizzi il termine “archivi”, questa volta per tradurre l’inglese “archives” (“news archives” che diventa “archivi stampa”) e con un’accezione del termine che non corrisponde alla definizione che compare nell’art. 4.

Nulla di drammatico, ma piccole imprecisioni che sarebbe stato meglio evitare.

L’importante sarà vigilare affinché, in eventuali nuove norme concernenti gli archivi, non venga ripresa la definizione italiana di “archivio” che compare nel Regolamento.

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