Quando i libri diventano documenti. Intendiamoci, i libri sono sempre documenti nel senso che documentano la conoscenza e la creatività, sono frutto del lavoro di un autore, il prodotto di un’attività e in quanto tali documenti. Ma un libro è documento anche da un altro punto di vista...
Quando i libri diventano documenti. Intendiamoci, i libri sono sempre documenti nel senso che documentano la conoscenza e la creatività, sono frutto del lavoro di un autore, il prodotto di un’attività e in quanto tali documenti. Ma un libro è documento anche da un altro punto di vista: quando si guarda alla singola copia, e alle informazioni puntuali che ad essa vengono aggiunte come il nome di un possessore, il prezzo, la data di vendita o un timbro che testimonia l’ingresso in una biblioteca istituzionale. Ma nei libri si possono trovare anche notizie secondarie, non necessariamente legate al testo, quando il volume è utilizzato come supporto per note di altra natura, ricordi personali o brevi frammenti di cronache.
Può così capitare che su una copia di una edizione in ebraico di Avicenna si trovino notizie di un terremoto, ricette di cucina persiana, il ricordo della nascita di un figlio, insieme alla nota di possesso del libro, l’elenco delle famiglie che lo hanno custodito, il valore con cui è stato scambiato ad ogni passaggio di mano, i commenti marginali. Si tratta evidentemente di un insieme di informazioni di vario tipo, che si offrono all’occhio dello storico come indizi utili a ricostruire narrazioni complesse, quali i flussi di trasmissione della conoscenza, gli stili di vita, le transazioni economiche sul breve e sul lungo periodo.
Di questo si è occupato il progetto di ricerca ERC 15cBOOKTRADE, che giunto al quinto e ultimo anno dei lavori, ne ha presentato i risultati con due iniziative, entrambe ospitate a Venezia, una di taglio scientifico e l’altra di taglio divulgativo, accomunate dal titolo generale “The Printing R-evolution. I cinquant’anni che hanno cambiato l’Europa 1450-1500”, di cui un video in rete offre un assaggio.
Di quella prima stagione della stampa, che convenzionalmente si chiude con l’anno 1500, restano oggi testimoniate ca. 30.000 edizioni in 450.000 copie conservate in biblioteche istituzionali. Sul censimento generale delle edizioni incunabole (= in culla, come furono chiamati i primi libri a stampa) realizzato negli anni Ottanta del Novecento presso la British Library con l’allestimento della banca dati ISTC (Incunabula Short Title Catalogue, oggi ospitata nella piattaforma del CERL– Consortium of European Research Libraries), è stata innestata la più moderna base dati MEI (Material Evidence in Incunabula). La base dati è pensata per descrivere in dettaglio esemplari di edizioni incunabole. Un legame diretto con ISTC fornisce i dati bibliografici, mentre ogni nuovo record fornisce informazioni sui singoli esemplari: a una prima pagina in cui si trovano i dati generali (attuale collocazione, stato generale e particolarità della copia, eventuale condizionamento all’interno di una miscellanea) fanno seguito i “blocchi di provenienza”, descrizioni strutturate di tutti quegli elementi che testimoniano di un uso del libro, del suo passaggio in un luogo, nelle mani di qualcuno, da un lettore anonimo a una istituzione nota, da un rubricatore professionista a un legatore, a un libraio antiquario a un collezionista. Tutte le tracce di uso (con uso intendendosi qualunque intervento) sono interpretate, datate, ricondotte a qualcuno o a qualche istituzione, e quindi registrate, in ordine cronologico. Il record completo racconta la storia di quel volume, riconducendola alla storia di tutti quanti (noti o anonimi) l’hanno avuto per le mani.
Ideata da Cristina Dondi (Università di Oxford) nel 2009 e sviluppata, per Cerl, da Alex Jahnke (Università di Goettingen), MEI è stata potenziata e arricchita come parte delle attività del 15cBOOKTRADE Project, che ne ha lanciato la nuova release (2015), ne ha promosso la diffusione, formando decine di editors e coinvolgendo un numero sempre più ampio di biblioteche (con workshop e summer school dedicate), tra cui anche alcune collezioni private, che si sono aggiunte alle biblioteche sulle cui collezioni il progetto è stato avviato: la Bodleian Library di Oxford, la British Library di Londra e la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia. Il risultato è che oggi in MEI si trovano registrati circa 45.000 esemplari, il 10% di quelli noti, e con essi la loro storia, i luoghi dove sono stati, i primi lettori, e poi quelli successivi, le biblioteche in cui sono stati conservati, eventuali vendite, requisizioni, e poi collezionisti e gli antiquari, fino ad arrivare ai nostri giorni.
Così i libri diventano documenti, recano le tracce dei tanti che li hanno avuti nelle mani, dai legatori, ai miniatori, che li hanno lavorati come oggetti, ai possessori che li hanno letti. Diventano documenti di storia economica e sociale, oltreché ovviamente di storia culturale e di storia delle idee, per le tante tracce che recano e che consentono di studiare quali testi furono letti quando furono stampati per la prima volta, e da chi e come furono recepiti.
Insieme e accanto allo studio dei singoli esemplari, c’è quello della documentazione parallela: inventari e cataloghi storici, atti di vendita, carteggi. L’attenzione per la storia economica e sociale passa anche attraverso lo studio di documenti come questi: inventari e cataloghi che consentono la registrazione di “copie storiche” (esemplari che si sa essere stati in un dato luogo in un certo periodo di tempo) così come di esemplari che si trovano sul mercato antiquario. Un documento sopra tutti è privilegiato dal progetto: il giornale di vendita del libraio veneziano Francesco De Madiis, che testimonia quattro anni di vendite (1484-88), migliaia di copie registrate con il loro prezzo. Il “giornale”, analizzato per la prima volta nella sua interezza, consente di capire se e quanto il libro stampato costasse meno di quello manoscritto e dunque come e quanto l’invenzione della stampa abbia rivoluzionato il mercato del libro, e che agente di alfabetizzazione fu. Il progetto si è anche occupato di fornire dati generali sulla produzione dell’epoca, quali ambiti della conoscenza furono maggiormente toccati dalla stampa, che genere di testi furono stampati nel corso dei primi decenni.
Com’è noto quella nuova tecnologia fece la sua comparsa in Germania, a Magonza, ma ebbe presto diffusione in Italia, in modo massiccio, attratta dai tanti centri in cui già fioriva una cultura delle arti e delle lettere. Fu a Venezia che trovò il terreno adatto a svilupparsi in modo straordinario, grazie a un tessuto economico e sociale capace di accogliere la nuova tecnologia e svilupparvi attorno un sistema produttivo e distributivo di dimensioni inedite. Venezia divenne in pochi anni la capitale dell’industria culturale del tempo, grazie anche alla capacità di tenere insieme maestranze di ogni nazionalità. Decine di officine tipografiche si diffusero presto in città, stampatori provenienti da tutta Europa si distribuirono fra i diversi sestieri, si inserirono nel tessuto cittadino iscrivendosi nella Scuole.
Gli elenchi dei nomi degli stampatori collocati sulla mappa storica di Venezia, la splendida xilografia di Jacopo de’ Barbari, è una delle tante installazioni offerte al visitatore della mostra Printing Revolution, ospitata al Museo Correr fino almeno al 7 gennaio 2019. Una serie di installazioni e video accompagnano il visitatore nella lettura di cosa fu l’introduzione della stampa, di tutti gli aspetti che abbiamo raccontato qui e degli altri che non abbiamo modo di dire meglio in dettaglio.
Alcuni dati tuttavia non si devono dimenticare: Printing R-Evolution, con il trattino per spiegare che la stampa fece presa in una società che già si avvaleva di ingenti quantità di testo (naturalmente scritto a mano). La tecnologia ebbe successo perché la società dell’epoca aveva bisogno di libri in quantità. In mostra ci sono le informazioni, i dati, alcuni dei quali nuovissimi (come le statistiche circa i settori disciplinari: quali libri si stamparono di più), o anche l’uso distorto della stampa, con una prima comparsa delle fake news (l’accusa a mezzo stampa della comunità ebraica di Trento per l’uccisione di Simonino), la stampa dei moduli precompilati per le indulgenze (qui presentato come prima forma di fund raising), la grande distribuzione dei testi di prima alfabetizzazione (le grammatiche) che consentono al visitatore di apprezzare con altri occhi anche i libri veri, collocati nelle splendide vetrine del Correr, una scelta di esemplari tanto belli quanto significativi. Uno dei pregi della mostra è anche quello di inserire la diffusione dei testi all’interno del contesto economico quotidiano del tempo, rapportando i prezzi dei libri con oggetti e beni d’uso comune (si scopre, ad esempio, che nel 1486 con 4 soldi si poteva comprare un testo economico come uno Psalteriolo da puti, una grammatica per bambini, oppure un pollo o “un’anguilla eccellente”).
L’esposizione si sviluppa lungo cinque stanze del Museo e si chiude con una grande mappa in plexiglas che riporta l’attuale dislocazione delle collezioni di incunaboli. Qui, tra le altre cose, si può apprezzare, da un lato, la distribuzione su tre continenti di quanto resta di quella prima stagione della stampa: 450.000 esemplari, il 90% dei quali aspetta di essere fatto oggetto di future indagini. L’altro dato che si può apprezzare è, ancora una volta, la straordinaria ricchezza italiana che alle collezioni grandissime, come quelle di Monaco, Londra, Parigi o della Biblioteca Vaticana, oppone la straordinaria diffusione su tutto il territorio di raccolte più o meno grandi, ma che sono in sé stesse documento di una eccezionale stagione culturale.
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