Se è vero che la storia è maestra di vita, lo è non di meno la constatazione che oggigiorno il monito a imparare dal passato per non ripetere gli stessi errori già commessi è per lo più un esercizio di retorica. Ma a volte questo esercizio è, per fortuna, impossibile.
Ed è questo certamente il caso di due mostre in corso presso l’Archivio di Stato di Torino, dove un piano di scale o qualche secondo di ascensore bastano per mettere a confronto, anzi sovrapporre due dimensioni temporali, creando nel visitatore un’autentica vertigine culturale e soprattutto emotiva.
Orna Ben Ami è un’artista israeliana che lavora da molti anni accostando due materiali molto diversi fra loro: la fotografia, ma soprattutto i ricordi che la fotografia trattiene. E un metallo “duro” come il ferro. Entire Life in a Package. Storie di migrazioni (a cura di Ermanno Tedeschi, presso l’Archivio di Stato di Torino, sino al 14 ottobre) racconta tanti viaggi a senso unico, e lo fa attraverso immagini – molte dell’Agenzia Reuters – ed elementi di metallo. La forza di queste opere sta proprio nel contrasto fra una dimensione e l’altra, nella forza della scena immortalata, e magari già sbiadita dal tempo, insieme a quella del particolare che l’artista ha deciso di fermare con il ferro. E tutte le opere esposte dicono in fondo una cosa soltanto, terribilmente vera: nessuno lascia la propria casa, a meno che non sia costretto a farlo.
Gran parte di queste scene è, ovviamente, di stretta attualità e ha per tacito protagonista, oltre all’umanità migrante, il Mar Mediterraneo. C’è un’immagine del 2016 che racconta il contatto fra un canotto di salvataggio e una massa di volti e corpi stretta a bordo di un vecchio scafo: Orna Ben Ami ha coperto questa umanità con i suoi colpi di ferro scuro. Non per confonderli, anzi. Per dar loro la forza del metallo che “spacca” la scena. E poi ci sono fagotti, valigie tenute sopra la testa, miseri giocattoli in viaggio con i loro bambini. Sono tutte scene di un’intensità davvero difficile da descrivere con le parole
Terminato il percorso al piano terra, salire alla seconda mostra in corso significa inevitabilmente avviare un percorso che è prima di tutto di introspezione in cerca delle emozioni destate dalle opere appena viste, per fissarsele nella memoria, ma che diventa una vera e propria “retrospettiva” storica nelle bacheche dei Saloni Juvarriani, fra i documenti di Sentieri di carta per migranti nelle strade del mondo. Qui Maria Gattullo, Luisa Gentile e Anna Maria Lucania hanno raccolto e spiegato una serie di documenti estratti dall’Archivio, che in un percorso tematico raccontano “l’abolizione della schiavitù”, le “Minoranze pericolose per l’ordine costituito”, gli “esuli ed emigranti fra noi”, “Noi stranieri nel mondo” e ‘”l’affermazione dei diritti civili e politici”. Dalla ratifica da parte del Regno di Sardegna delle due Convenzioni fra Regno Unito e Francia per l’abolizione del traffico degli schiavi, tra il 1831 e il 1834, alle preoccupazioni espresse dalla Compagnia di San Paolo di Torino per l’arrivo nella metropoli di “moltissime famiglie di religionarii” venuti da Ginevra e non solo, nel settembre del 1694; dal fascicolo personale di una famiglia di rimpatriati dalla Tunisia nel 1961 e reintegrati in Italia come profughi nel 1970, al rapporto del console del Regno di Sardegna a Malta, dove alcuni emigrati espulsi dai Regi Stati erano stati inviati e rifiutati dal governo inglese “perché poveri” (maggio del 1853). Questi e altri documenti pongono il visitatore di fronte a storie che hanno tutte delle straordinarie, e inquietanti, affinità con quelle di oggi.
Perché da che mondo è mondo l’umanità è sempre stata in movimento, e lo è stata soprattutto quando si è trovata costretta ad abbandonare la propria casa, cioè il luogo cui apparteneva. Come scrive anche Yuval Harari nel suo ultimo, illuminante libro Ventuno lezioni per il XXI secolo (pubblicato in italiano da Bompiani), le migrazioni sono una costante d’ogni tempo. Rendersi conto che in questo presente non ci troviamo di fronte a nulla di nuovo e inaudito, sarebbe già un prezioso presupposto per una più lucida analisi delle cause e degli effetti.
E queste due mostre insieme aiutano a capire, a sentire tutto questo. Creano fra il passato e il presente una armonia concettuale e morale di cui chiunque, in primo luogo i soggetti politici, dovrebbe armarsi.