Il 12 luglio 2018 il Department of Justice degli USA ha riaperto le indagini sul caso Emmett Till, un quattordicenne afroamericano torturato e brutalmente ucciso nel 1955, rimasto senza giustizia. In questo come in molti altri casi la documentazione archivistica ha svolto un ruolo cruciale nella prospettiva della restorative justice.
La tragica storia di Emmett Till si svolse nel sud degli Stati Uniti nel contesto delle violenze a sfondo razziale contro i cittadini afroamericani degli anni Cinquanta, nello Stato del Mississippi, a desert state, sweltering with the heat of injustice and oppression, dirà Martin Luther King qualche anno più tardi davanti al Lincoln Memorial a Washington.
Il 24 agosto 1955 Emmett Till entrò nel negozio di Carolyn Donham a Money e uscì poco dopo avendo acquistato delle caramelle. Non è chiaro cosa successe in quei pochi minuti e nel corso del processo successivo la versione degli assassini cambiò molte volte, probabilmente Emmett Till disse solo alla Donham “Bye baby”, sfidato dai suoi amici a rivolgere la parola ad una donna bianca più grande di loro. Carolyn Donham, al ritorno del marito, Roy Bryant, gli disse che un ragazzo nero l’aveva infastidita.
In tutta risposta Roy Bryant e il fratellastro John Milam, andarono, la notte del 27 agosto, nella casa dei Till e rapirono Emmett. Dopo averlo portato in un fienile lo torturarono per ore e lo uccisero con un colpo di pistola alla testa, poi legarono il suo corpo ad un peso con del filo spinato e lo gettarono nel fiume Tallahatchie.
Dopo il ritrovamento del corpo di Emmett venne celebrato un rapido processo che portò all’assoluzione di Bryant e Milam da parte di una giuria composta solo da uomini bianchi. L’anno successivo in un’intervista alla rivista «Look» i due confessarono l’omicidio, sostenendo di non aver fatto nulla di male, ma nonostante questa dichiarazione il processo non venne riaperto.
A seguito dello sdegno per questa vicenda e alle continue violazioni della Costituzione a causa della palese parzialità del sistema giudiziario degli Stati del sud degli Stati Uniti, molti cittadini afroamericani entrarono nel movimento per i diritti civili, iniziando così la grande mobilitazione che si sarebbe sviluppata durante gli anni Sessanta.
Il caso di Emmett Till venne riaperto nel 2004, portando anche all’esumazione del corpo, ma nel frattempo sia Roy Bryant che John Milam erano morti e nessun tribunale accettò di incriminare Carolyn Donham di omicidio colposo.
Nell’aprile del 2018 il caso è stato riaperto ufficialmente e lo scorso 12 luglio la notizia è diventata di dominio pubblico. Sebbene non sia ancora noto lo stato delle indagini ciò che è certo è che entro un anno i risultati delle nuove ricerca dovranno essere portati davanti al Congresso degli Stati Uniti.
Per dare una risposta a casi come quello di Emmett Till nel 2007 è stata approvata una legge federale, che non a caso porta il suo nome, l’Emmett Till Unsolved Civil Rights Crime Act, che impegna ogni anno il Department of Justice, l’FBI e le istituzioni di ricerca e formazione superiori a riaprire i casi irrisolti riguardanti le violenze a sfondo razziale compiute prima del 31 dicembre del 1969 e di riferire i risultati al Congresso.
Negli ultimi dieci anni la legge ha permesso di riaprire moltissimi casi rimasti irrisolti e di iniziare nuove indagini su centinaia di segnalazioni che in passato non sfociarono in ricerche ufficiali da parte del governo statunitense.
Uno degli aspetti più importanti della legge Emmett Till Unsolved Civil Rights Crime Act consiste nell’obbligo alla pubblicazione degli atti e della documentazione prodotta nelle nuove indagini e la loro conservazione negli archivi pubblici o in quelli delle università.
In questo senso una delle esperienze di maggior importanza è quella del Civil Rights and Restorative Justice Project (CRRJ), un gruppo di ricerca della facoltà di legge dell’Università Northeastern di Boston che ha saputo coniugare la ricerca di giustizia con la ricerca archivistica, la ricostruzione giudiziaria con il senso di comunità da riparare tipico della restorative justice (giustizia riparativa in Italiano). In questa prospettiva la ricerca giudiziaria pone l’accento non tanto nell’attribuzione della responsabilità e nell’infliggere la pena quanto, soprattutto, sul tentativo di ricostruire il senso di comunità delle realtà colpite dalla violenza superando una visione punitivo-vendicativa della giustizia penale in direzione della riabilitazione.
Il CRRJ è nato immediatamente dopo l’approvazione della legge Emmett Till come applicazione pratica della restorative justice e della ricerca per risanare le ferite collettive prodotte dai crimini violenti a sfondo razziale. Il gruppo di ricerca dal 2010 ha indirizzato una buona parte delle proprie energie nell’archiviazione e nella messa a disposizione dei materiali ritrovati e prodotti nel corso delle ricerche, consultabili nella sala studio virtuale del sito del progetto.
La direttrice della sezione archivistica del CRRJ, Rhonda Jones, ha scritto al riguardo:
The work is motivated by an urgency to learn the truth and thereby honor the dead in the face of the imperatives of time and the dwindling number of descendants and witnesses whose narratives go unrecorded due to age, declining health, and other reasons.
More important, records have been destroyed by court housefires, are placed at deteriorated risk due to age or improper storage, or rendered inaccessible due to poor filing systems.
Most important, evidence has been overtly and covertly limited in local public offices due to mismanaged record-keeping practices, manipulation, loss, or destruction of documents.
To date, CRRJ’s preliminary academic and journalistic investigations into over 400 cases of racial homicides has generated over 20,000 items, to wit, documentary records captured from the pages of legal documents, political pamphlets, personal letters, photographs, scrapbooks, audio/video interviews, genealogical information, census records, maps, newspapers, vital statistics, and records from the National Association for the Advancement of Colored People, the Federal Bureau of Investigation, the Department of Justice, and state and local governmental agencies.
(vai all’intervista completa Civil Rights and Restorative Justice Project Archive)
Nel corso di 10 anni di attività il CRRJ, oltre ad aver permesso di riaprire centinaia di casi irrisolti, ha conseguito importanti risultati: soluzioni di casi rimasti senza colpevoli, riabilitazioni pubbliche, scuse ufficiali da parte di istituzioni e agenzie ree di insabbiamenti o violenze, la collaborazione da parte delle famiglie sia delle vittime che dei colpevoli nella ricostruzione della memoria collettiva, attività di formazione nelle scuole e molto altro.
Una delle attività più interessanti da un punto di vista archivistico è quella della ricerca, segnalazione e “correzione” di atti pubblici conservati negli archivi giudiziari e delle contee statunitensi, che a causa del pregiudizio razziale hanno avallato depistaggi e occultamenti. Il caso più famoso di un episodio del genere è quello di John Earl Reese, un sedicenne afroamericano assassinato in Texas nel corso di un raid contro gli “uppity blacks”, mentre era in un bar con la sorella e il cugino di 13 e 15 anni nell’estate del 1955. La relazione ufficiale dell’autopsia del 1955 riportava come accidentali le cause della morte di Reese e i colpevoli, Joe Simpson e Perry Dean Ross, di 21 e 22 anni, non furono mai arrestati nonostante durante il processo la loro responsabilità fosse palese. Grazie alla legge Emmett Till e all’intervento del CRRJ nel 2010 lo Stato del Texas ha riaperto il caso e emesso un emendement al certificato del medico legale del 1955 e nell’archivio della contea oggi è allegato il documento che attesta, invece, l’omicidio.