Nei romanzi di Harry Potter la biblioteca è il luogo d’elezione per le ricerche. “E meno male!” verrebbe da pensare incontrando, nel 24° capitolo del sesto volume della saga Harry Potter e il Principe Mezzosangue, un archivio conservato e ordinato in maniera non proprio ottimale.

L’archivio entra in scena, come nei peggiori cliché dei film polizieschi, in occasione di una punizione che il professor Piton, il temuto insegnante di pozioni, infligge ad Harry Potter.
La punizione di Harry consiste in quello che gli archivisti chiamerebbero una migrazione di dati su nuovo supporto, e leggendo le due pagine dedicate viene da pensare che, forse, sarebbe stato opportuno valutare anche un riordinamento. Ma veniamo al racconto

I “vecchi archivi” (old files nel testo originale) sono composti da “registri”, che poco dopo vengono definiti “schede” (termini che traducono la parola records nel testo inglese) generando nel lettore un po’ di confusione, che descrivono le malefatte compiute dagli studenti della scuola e le relative punizioni, il tutto conservato in “scatole coperte di ragnatele”. Alla loro vista, Harry capisce subito che lo aspetta un lavoro “lungo, duro e inutile”: con l’ultimo aggettivo si chiude il cerchio di una tipica rappresentazione dell’archivio come luogo ideale di punizione o, più in generale, di declassamento nelle mansioni. Se è vero che il lavoro d’archivio è sempre lungo e spesso duro, non è mai inutile, come peraltro lo stesso professor Piton ricorda a Harry «Dev’essere di grande conforto sapere che anche se [James Potter e Sirius Black] sono morti resta una testimonianza delle loro grandi imprese…». Certo, l’intento della frase è quello di sbeffeggiare la memoria di due persone verso le quali il professore prova un profondo disprezzo, ma l’importanza degli archivi sta proprio qui: nella conservazione della memoria.

Conservazione che nel caso dei fascicoli in questione appare molto a rischio. Harry infatti deve ricopiare i documenti laddove l’inchiostro è sbiadito o i topi hanno danneggiato il supporto, e rimettere quindi le nuove schede al loro posto, seguendo l’ordine alfabetico. Naturalmente – e altrimenti dove sarebbe la punizione? – l’intero lavoro deve essere svolto senza usare la magia.

Al lettore-archivista, leggendo di inchiostri sbiaditi e danni da parassiti, sorge immediatamente una domanda: perché nessuno ha pensato di usare la magia per tenere lontano topi e ragni dai locali dell’archivio? È possibile che non esista un incantesimo che impedisca all’inchiostro di sbiadire?

Ma, proseguendo con la lettura, è il metodo di ordinamento che lascia ancora più perplessi. Le schede, come ha detto Piton, sono inserite nelle scatole in ordine alfabetico e le scatole dal numero 1012 al numero 1056 conservano quelle intestate a Potter, James. Però, come chi conosce l’universo potteriano sa bene, spesso James infrangeva le regole della scuola in coppia con Black, Sirius e altre volte ancora alla coppia si univano Lupin, Remus e Minus, Peter. Al che, sarà deformazione professionale, sorge spontaneo chiedersi: ordine alfabetico rispetto a quale cognome? Se si tratta del cognome Potter, sono previste schede di richiamo inserite alle lettere B, L, M? Se non esistono schede di richiamo, come è possibile risalire, ad esempio, a tutte le malefatte compiute da Black, Sirius? Certo, i maghi dispongono del comodissimo incantesimo di appello, una magia capace di richiamare in un baleno l’oggetto cercato direttamente fra le mani del mago che la lancia, anche se per un archivista sarebbe davvero poco dignitoso agitare la bacchetta e ordinare “Accio tutte le schede dove compare il nome di Sirius Black”!

Ancora sul metodo di ordinamento, viene da chiedersi se, parallelamente a quello alfabetico, è previsto un ordine cronologico.
Le domande sono tante e purtroppo rimangono senza risposta. L’autrice chiude la parentesi archivistica facendo inserire a Harry una scheda “a caso” dentro la scatola per segnare il punto in cui era arrivato, facendo sobbalzare due generazioni di archivisti, e dei fascicoli delle punizioni nessuno ne saprà mai più nulla.

Ma il lettore-archivista non abbandona del tutto il sotterraneo del professor Piton e le scatole ricoperte di ragnatele. Il lettore-archivista elabora nella propria mente un adeguato ordinamento per i fascicoli. Calcola quanti metri lineari potrebbe ricavare se avesse a disposizione un incantesimo per preservare da umidità e parassiti i locali di deposito. Sogna di poter evadere tutte le richieste di consultazione a tempi record – ammesso di avere le corrette chiavi di ricerca, ché da quelle non si prescinde.

Noi “babbani” non abbiamo la magia e possiamo solo fantasticare su come la useremmo se fosse a nostra disposizione. Ma noi archivisti sappiamo che un buon titolario di classificazione e una corretta gestione dei flussi documentali – che di magico non hanno proprio nulla – sanno fare miracoli quasi quanto (e forse più di) un incantesimo di appello.

 

 

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