Nota sul convegno internazionale Archivi sul confine. Cessioni territoriali e trasferimenti documentari a 70 anni dal trattato di Parigi. Torino, Archivio di Stato, 6 – 7 dicembre 2017.
Archivisti piemontesi, savoiardi e nizzardi si sono incontrati con l’obiettivo specifico di riflettere amichevolmente sulle traumatiche conseguenze archivistiche del trattato di pace tra Italia e Francia del 1947 e sui modi per porre un rimedio, almeno virtuale, alla frammentazione ormai irreversibile di importanti serie degli archivi centrali dello Stato sabaudo.
La direttrice dell’Archivio di Stato di Torino, Monica Grossi, ha voluto inquadrare il problema in una ampia prospettiva scientifica. Un gruppo di studiosi accademici ha dunque delineato la cornice storica del problema della sorte degli archivi a seguito di cessioni territoriali.Oggi si dispone della convenzione ONU firmata a Vienna nel 1983, ma nei secoli passati molte sono state le oscillazioni tra diritto e prassi, tra territorialità e provenienza come criteri per la ripartizione dei documenti tra Stato cedente e subentrante. Per il solo Stato sabaudo, il tema è stato affrontato dai trattati di Lione del 1601, di Westfalia del 1648, di Utrecht del 1713, per non parlare delle cessioni ottocentesche, comprese quelle di Nizza e Savoia alla Francia del 1860 e del Veneto al Regno d’Italia nel 1866. Il diritto e la dottrina internazionale hanno faticato e tuttora faticano a riconoscere la distinzione tra documenti prodotti e ricevuti dalle amministrazioni locali (che dovrebbero rimanere nei territori dove queste hanno operato, indipendentemente dai mutamenti di sovranità) e documenti prodotti e ricevuti dalle amministrazioni centrali (che andrebbero riconosciuti di competenza degli archivi governativi, anche se si riferiscono a territori perduti). In mancanza di una dottrina e di una prassi internazionale uniformi, rimangono in campo a lungo i soli accordi pattizi che dipendono dai rapporti di forza nel momento della stipulazione (Elisa Mongiano, Università di Torino).
Gli esiti archivistici della Grande Guerra vedono un forte contrasto tra Vittani e Casanova e una iniziale caccia italiana negli istituti austriaci per l’acquisizione di compensazioni belliche in opere d’arte e cimeli storici (come il processo a Cesare Battisti) di interesse per lo Stato vincitore. Tuttavia per quanto riguarda gli archivi prevale infine il rispetto del principio di “provenienza” e quindi della integrità delle grandi serie delle amministrazioni centrali dell’impero asburgico, che rimangono dunque a Vienna anche se riguardano il Lombardo-Veneto e la Venezia Giulia (Raffaele Pittella, Archivio di Stato di Roma).
Gli archivi dell’Africa Orientale italiana e quelli della Tripolitania e Cirenaica, che avrebbero dovuto costituire gli archivi nazionali della Libia, e i corrispettivi documenti dei ministeri italiani delle colonie, degli affari esteri e di altri dicasteri, risultano avere subito sorti diverse. Si va dalle distruzioni avvenute in Somalia per mano italiana prima dell’arrivo delle truppe inglesi, al trasferimento in Italia dei documenti del Governatorato dell’Eritrea (che sarebbero da restituire), alla situazione confusa degli archivi rimasti in Libia, oggetto di una prima fase di riordinamento con l’aiuto di archivisti italiani, purtroppo interrotta nel 2011 (Valeria Deplano, Università di Cagliari).
Le circostanze internazionali vedono l’Italia nel 1946 – 1947 in posizione di debolezza nelle negoziazioni del trattato di pace, perché la Resistenza nel Nord e la cobelligeranza con gli Alleati del governo del Sud non sono tenute in conto dalle potenze vincitrici della seconda Guerra mondiale. De Gasperi tenta dignitosamente di difendere il ruolo della nuova Italia democratica e repubblicana, ma al tavolo delle trattative non basta la sola simpatia degli Stati Uniti a garantire un trattamento favorevole, ed anche gli archivi torinesi sono coinvolti nelle cessioni che occorre subire (Alfredo Canavero, Università di Milano).
Le trattative di pace culminate nel 1947 hanno come tela di fondo anche le nascenti prospettive di unificazione europea, cui personaggi come Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Luigi Einaudi danno un contributo importante ben prima della caduta del fascismo. Poiché la lotta per la pace fondata su libertà e giustizia non è solo oggetto di politiche governative, ma anche frutto dell’impegno di movimenti dal basso e di singole personalità lungimiranti, risulta necessario il censimento, la salvaguardia e la valorizzazione degli archivi privati che potrebbero illuminare di luce nuova le vicende entro le quali si colloca anche il trattato del 1947 (Daniela Preda, Università di Genova).
L’impegno congiunto degli archivisti che oggi lavorano sui due versanti delle Alpi, interessati a fare onestamente chiarezza sulle vicende dello smembramento degli archivi torinesi ed a recuperare almeno virtualmente l’unità perduta, è documentato nelle due pubblicazioni rispettivamente dedicate a questi temi dall’Archivio dipartimentale dell’Alta Savoia (De part et d’autre des Alpes, le périple des archives savoyardes. 70e anniversaire du traité de Paris 1947 – 2017, Annecy, Archives départementales de la Haute Savoie 2017) e dall’Archivio di Stato di Torino (Davide Bobba, I fondi dell’Archivio di Stato di Torino ceduti alla Francia. Il trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, Torino, Hapax editore 2017). Il volume pubblicato ad Annecy contiene, insieme a testi di Julien Coppier, Jean Luquet, Hélène Maurin, un intervento degli archivisti torinesi Davide Bobba e Luisa Gentile; quello pubblicato a Torino rende disponibile una approfondita ricerca di Davide Bobba, basata su archivi torinesi e romani. Alla radice della rigidità mirante a imporre la cessione degli archivi mostrata a quel tempo da parte francese, soprattutto per insistenza degli studiosi savoiardi, sembra intravedersi anche un problema di difficoltà di auto-identificazione di regioni divenute francesi da meno di cent’anni. Certo ormai le riproduzioni digitali consentono di realizzare in modo efficace quelle ricomposizioni virtuali già tentate negli anni Cinquanta con scarso successo mediante microfilm di affrettata realizzazione e di difficile consultazione (Stefano Vitali, Istituto centrale per gli Archivi).
La presentazione al convegno della ricostruzione analitica del contenzioso che si sviluppa con maggiore o minore intensità dal 1860 fino al 1951 (anno della consegna dei documenti) tra Francia e Italia a proposito degli archivi riguardanti Nizza e Savoia conservati a Torino, è frutto dell’esame dettagliato della documentazione italiana degli archivi del Ministero degli esteri, della Direzione generale degli Archivi, dell’Archivio centrale dello Stato, dell’Archivio di Stato di Torino, della Deputazione subalpina di storia patria e dell’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea. Ai fini della riduzione del danno della estrapolazione dei documenti, rivestono un certo peso sia la presenza nella delegazione italiana di illustri storici accanto agli archivisti, sia l’intesa infine raggiunta di uno scambio con documenti di interesse italiano conservati in Francia (Davide Bobba, studioso e archivista libero professionista).
La natura di organo centrale dello Stato risulta riconoscibile nella Camera dei conti, suprema corte di controllo contabile e giustizia fiscale, anche quando funziona articolata nelle due sedi di Chambéry e Torino, per poi essere concentrata a Torino dopo il 1720. Pertanto appare inappropriata la cessione dei rendiconti delle Castellanie della Savoia, redatti in sede giudiziaria a seguito della presentazione dei documenti giustificativi da parte dei gestori di pubblico denaro. Inascoltata rimane la proposta di istituire a Torino un archivio franco-italiano per la conservazione condivisa dei documenti rivendicati da entrambe le parti (Luisa Gentile e Maria Paola Niccoli, Archivio di Stato di Torino).
Nelle discussioni sui criteri applicativi del trattato, l’originaria tesi italiana del rispetto dell’integrità dei fondi viene abbandonata per evitare cessioni ancora più vaste (serie intere riguardanti in parte anche il Piemonte) di quelle conseguenti alla pur discutibile suddivisione tra documenti di carattere locale e quelli di carattere generale. Relativamente alle parti cedute di serie relative ad affari ecclesiastici ed economici talora rimangono a Torino copie d’epoca (Danela Cereia, Università della Savoia).
Mentre non vi sono dubbi sulla lesione al principio del rispetto dei fondi a proposito di quelli creati dall’amministrazione di uno Stato centralizzato come quello sabaudo, l’insistenza della Francia per la consegna dei fondi ecclesiastici si spiega anche con le grandi lacune archivistiche dovute alle distruzioni di analoga documentazione avvenute nella Savoia in età rivoluzionaria. I colleghi francesi riconoscono che malgrado le cessioni del 1947 – 1951 è stato poi importante il ruolo giocato dall’Archivio di Stato di Torino nel valorizzare le fonti della storia di uno Stato transalpino così peculiare. Molto rimane da fare in una ottica diversa da quella nazionalista di un tempo e le possibili ricomposizioni virtuali dei fondi mediante il digitale si prestano a rinsaldare legami di fraternità professionale al servizio di una ricerca senza frontiere (Jean Luquet, Servizio Archivi, Patrimonio e Musei del Dipartimento della Savoia). Anche dal coté nizzardo, dove i precedenti storici sono ancor più complessi che per la Savoia, più che il nazionalismo è l’interesse per la storia regionale che spinge le società locali a chiedere dopo la guerra ampie acquisizioni di documenti torinesi. Ma il pellegrinaggio a Torino per meglio comprendere i documenti acquisiti contestualizzandoli nel più vasto quadro sabaudo rimane una esigenza della migliore storiografia. Ne è la riprova una recente bella guida agli archivi torinesi per la storia della contea di Nizza, opera dell’archivista nizzardo Alain Bottaro (Yves Kinossian, Archivi dipartimentali delle Alpi Marittime). Nell’amarezza degli archivisti torinesi (presso il cui istituto si riuniva clandestinamente il Comitato di liberazione nazionale del Piemonte), impegnati lealmente nella obbligata spartizione dei documenti, giocava la consapevolezza di aver contribuito a salvare dai bombardamenti anglo-francesi degli anni Quaranta anche quelle fonti per la storia di Nizza e Savoia che avrebbero potuto andare in fumo se non fossero state da loro trasferite faticosamente in luoghi sicuri (Leonardo Mineo, Archivio di Stato di Torino).
Superare le contrapposizioni ideologiche e le controversie professionali sembra possibile secondo i principi esposti dalla Table Ronde del Consiglio internazionale degli Archivi tenutasi a Cagliari nel 1977, anche con riferimento critico al trattato del 1947. Grazie a strumenti tecnologici oggi molto superiori a quelli disponibili negli anni della cessione dei documenti, e grazie ad un clima di collaborazione amichevole al di là delle frontiere, risulta ora possibile trasformare una occasione che fu di contrasto in una opportunità di lavoro in comune per le necessarie ricomposizioni virtuali attorno al concetto di soggetto produttore (Monica Grossi, Archivio di Stato di Torino e Bruno Galland, Archivio dipartimentale del Rodano e della Metropoli di Lione).