Nel 1962, in un articolo dal titolo Augmenting Human Intellect. A Conceptual Framework Douglas C. Engelbart definì per la prima volta il concetto di intelligenza collettiva, poi ripreso, approfondito e strutturato nel 1994 da Pierre Levì nel saggio L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio.

The Haunted Lane, Library of Congress Prints and Photographs Division Washington, D.C. 20540 USA

Nel 1962, in un articolo dal titolo Augmenting Human Intellect. A Conceptual Framework Douglas C. Engelbart definì per la prima volta il concetto di intelligenza collettiva, poi ripreso, approfondito e strutturato nel 1994 da Pierre Levì nel saggio L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio.

Sia il primo che il secondo, teorizzarono la funzione culturale e sociale della comunicazione come momento di condivisione di conoscenza e informazioni partendo da 2 assiomi:
“nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa”
“la totalità del sapere risiede nell’umanità”.

Quello che non ebbero modo di prevedere (non era possibile per degli ottimisti) fu l’evoluzione (o l’involuzione dipende dai punti di vista) che i concetti stessi di comunicazione, informazione, memoria avrebbero avuto.

L’idea era semplice: il sapere di ognuno si somma al sapere dell’altro e rimane a disposizione di tutti in uno spazio libero, condiviso, accessibile. Sebbene il web fu immaginato e progettato come un archivio (un contenitore attraverso il quale conservare oltre che condividere) la sua ossessione per la ‘ricorrenza’, la ‘celebrazione’, gli ‘anniversari’ ha finito per trasformarlo in qualcosa di molto più simile ad un almanacco.

Oggi ad esempio, ogni 23 ottobre si pubblicano e condividono articoli ed opinioni sulle cose accadute in questo giorno nella storia. Il 23 ottobre è il giorno in cui: nel 1863 Quintino Sella fonda il Club Alpino Italiano; quello in cui nel 1520 Carlo V viene incoronato imperatore nella cattedrale di Aquisgrana; e anche quello in cui nel 2001 Apple lancia la prima versione dell’iPod.

Una gamma, pressoché infinita, di eventi, documenti, fotografie, immagini, è a disposizione di tutti per lanciare un messaggio, sostenere un’idea, fornire uno spunto. L’informazione e i documenti smettono di essere testimonianza e diventano pretesto e veicolo per esprimere opinioni o perseguire scopi.

Le immagini che usiamo, i documenti che produciamo, gli eventi che ricordiamo, le citazioni e i riferimenti che condividiamo, tutto diviene strumento. Ci preoccupiamo che ogni cosa utilizzata restituisca una buona e corretta immagine di noi, delle nostre posizioni, delle nostre interpretazioni.

Nella migliore delle ipotesi smettiamo di essere responsabili e diveniamo pigri limitandoci a sottoscrivere o trascurare. Nella peggiore esprimiamo punti di vista revisionando a nostro piacimento la storia. Ci limitiamo a ricordare, perché oggi il ricordo è considerato sufficiente. È sufficiente sapere che il 23 ottobre del 1863 Quintino Sella fondò il Club Alpino Italiano. A chi interessa altro oltre questo? A chi interessa tutto il resto?

Si compete in simpatia e stupore, la principale fra le prerogative del comunicatore moderno è la leggerezza, non certo il rigore. Chi prova ad essere imparziale e magari puntualizza fornendo contesti e precisazioni non sta al gioco e infastidisce. L’approfondimento non è richiesto né gradito.

La disponibilità di informazione sul web (di una sola parte delle informazioni) diviene nell’uso utile all’ostentazione non certo alla diffusione immaginata da Levì. Come se la storia, i documenti, le fonti fossero punti di vista e non la STORIA. Elementi da cui trarre una morale e non conoscenza. Dati privi di contesto che producono reazioni.

Dovremmo ribadire, soprattutto da archivisti, che questo uso personale della memoria che oggi viene promosso e accettato è l’esatto contrario di quello che definiamo Archivio.

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