Il dato storico dell’esistenza, nell’Italia fascista, di numerosi campi di concentramento per internati civili è stato per lungo tempo sostanzialmente estraneo alla memoria storica degli italiani, forse in virtù del vecchio e radicato stereotipo della bontà italiana. Nei fatti, dal giugno del 1940, l’internamento, di competenza del Ministero dell’interno fino all’8 settembre del 1943, divenne uno strumento persecutorio contro i cittadini tanto italiani quanto stranieri, considerati, a vario titolo, pericolosi per il regime e per la sicurezza nazionale del Regno.

Inoltre, l’annessione all’Italia di vasti  territori iugoslavi (Lubiana, Spalato, Cattaro) nel 1941, in aggiunta alle terre già italiane di Gorizia, Trieste, Fiume, Pola e Zara, concorse ad un vertiginoso aumento del numero di cittadini italiani internati per ragioni di pubblica sicurezza. I campi di concentramento italiani, pur non assomigliando ai Lager tedeschi, talora annoverarono un tasso di mortalità per fame e stenti addirittura maggiore di quello dei Lager nazisti non di sterminio, tra le migliaia e migliaia di cittadini del territorio corrispondente all’attuale ex Jugoslavia e dei cittadini italiani appartenenti alle minoranze slovena e croata della Venezia-Giulia. Quanto agli ebrei, va notato che le leggi razziali del 1938, e quelle che vennero varate in seguito, non recavano un diretto riferimento alla pratica di internamento degli ebrei italiani, internati soltanto se militanti nei partiti antifascisti o ritenuti pericolosi per ragioni socio-politiche. La situazione precipitò dal giugno del  1940, quando, con l’avvio dell’antisemitismo di Stato, si cominciò a considerare tutti gli ebrei come “ufficialmente pericolosi”  e la questione razziale degli ebrei italiani si sovrappose col problema dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale, fino a confondersi con esso. L’organizzazione dei campi era già stata definita da una nota del Ministero della guerra dell’8 maggio 1936, riguardante “i campi di concentramento per elementi pericolosi e sospetti sotto il punto di vista militare e politico”. Sulla base di tali direttive, le località da adibirsi ai campi per internare i politici già confinati, i politici da fermare e le spie accertate, dovevano essere situate preferibilmente nelle province di Perugia, Macerata, Ascoli Piceno, Aquila e Avellino; il numero di campi doveva essere limitato, almeno inizialmente, ad un massimo di tre per provincia; e gli internati per ciascun campo non dovevano superare la cifra complessiva di  1.000-1.500 unità.  I campi di concentramento italiani dovevano essere localizzati sulla terraferma o nelle piccole isole, già ex colonie di confino politico, come Lipari o Ponza, ed i luoghi di internamento, tanto i campi quanto i piccoli paesi, non potevano trovarsi in prossimità delle grandi città o delle zone di importanza militare. Conseguentemente, l’Italia settentrionale e le Isole maggiori restarono per lo più interdette ai campi istituiti nel 1940, la maggior parte dei quali andò a localizzarsi nelle regioni centro-meridionali.

Sono in pochi a sapere che dal 1940 al 1944 la terra d’Abruzzo, per via della sua favorevole posizione geografica, la sua struttura orografica, la sua bassa densità abitativa, è stata considerata un territorio eccezionalmente adatto alla concentrazione di masse di civili a cui erano applicate le norme legislative di guerra e di pubblica sicurezza. E ciò, pur essendo l’Abruzzo una periferia del regime, l’ha portato, seppure in misura minore rispetto ad altre località italiane tristemente note, come Fossoli o la risiera di San Sabba,  ad assumere un ruolo non del tutto secondario nell’ambito della Shoah, con i suoi 15 campi di concentramento e le ben 59 località d’internamento. In particolare, il territorio della provincia di Chieti ospitò sei campi di concentramento (Chieti, Casoli, Lama dei Peligni, Lanciano, Tollo e Vasto) e venti località di internamento di ebrei  italiani e stranieri, slavi, greci, oppositori politici. Per alcuni internati furono la “penultima tappa” verso i campi di sterminio dell’Europa orientale. Uno studio del fenomeno dell’internamento civile nell’Abruzzo fascista nel corso della guerra, condotto su scala locale da Giuseppe Lorentini, lettore d’italiano all’Università tedesca di Bielefeld, ha portato lo scorso 27 gennaio, in occasione della Giornata della memoria, alla nascita di un sito web che racchiude un archivio digitale dettagliato sui fascicoli personali degli internati del campo di concentramento di Casoli, comune montano di 5.000 anime affacciato sulla Val di Sangro-Aventino, ove furono internate dal fascismo in tutto 218 persone, 10 delle quali subirono la deportazione e la morte ad Auschwitz. Si prevede, inoltre, l’istituzione di un centro di documentazione presso lo stesso ex municipio di Casoli, sede n° 1 del campo.

Nel sito web predisposto da Giuseppe Lorentini, sono presentati i documenti dell’archivio comunale del paese, riguardanti i 108 ebrei stranieri, più numerosi antifascisti, sottratti alle proprie famiglie ed internati in parte nel vecchio municipio casolano ed in parte nella dependance di Palazzo Tilli. Almeno in fase iniziale, il Ministero evitò di fare ricorso all’istituzione ex novo dei campi, preferendo ricorrere a strutture preesistenti che potessero essere riconvertite in località di internamento. Per lo più si trattava di strutture isolate, quali conventi, monasteri, ville di campagna abbandonate, oppure edifici inseriti nel contesto cittadino, come abitazioni private, ex fabbriche, ospizi, alberghi.

Abbiamo intervistato Lorentini per il «Mondo degli archivi», facendoci illustrare il suo  progetto di documentazione on line sulla storia del campo di concentramento di Casoli (1940-1944).

Quali obiettivi si prefigge il tuo lavoro?
L’obiettivo del progetto è raccogliere documenti, testimonianze, fotografie e altro materiale in modo da offrire una documentazione il più completa possibile con lo scopo, da una parte, di studiare scientificamente il campo di concentramento di Casoli e, dall’altra parte, di mettere a disposizione il suddetto materiale sia agli studiosi che ai diretti discendenti degli internati. Al momento il lavoro è in continuo aggiornamento e per tale ragione i risultati pubblicati sono ancora del tutto parziali. Un ulteriore scopo della ricerca è quello di identificare le foto degli internati e ridare un nome ai loro volti, soprattutto agli ebrei stranieri internati in questo campo. Essi giunsero il 10 luglio 1940 dal carcere di Trieste e si dispone di una loro foto di gruppo scattata proprio a Casoli. Dopo l’8 settembre 1943, nove tra questi che inizialmente erano “passati” per il campo di Casoli furono arrestati e deportati nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Un altro internato, invece, venne assassinato nel campo di Risiera San Sabba, un altro ancora deportato nel campo di concentramento di Bergen-Belsen e sopravvisse alla liberazione avvenuta il 4 marzo 1945. La suddetta foto, probabilmente, rappresenta l’ultima immagine-testimonianza che possediamo.

In cosa pensi risieda l’importanza del patrimonio archivistico conservato nell’Archivio storico del Comune di Casoli?
Molte fonti archivistiche relative al fenomeno dell’internamento civile durante il fascismo sono andate disperse, distrutte, decentralizzate, oppure risultano inaccessibili. Per questa ragione, il patrimonio archivistico conservato nell’Archivio storico del Comune di Casoli rappresenta una fonte importante per poter ricostruire il modello di amministrazione di un campo di concentramento fascista per internati civili stranieri nel corso della Seconda guerra mondiale. Infatti, sono pochi i comuni italiani che durante il ventennio furono sede di campi di concentramento o di internamento civile ad aver conservato i fascicoli personali degli internati. Molti di questi sono andati distrutti o persi, come nel caso del campo di Campagna (Salerno); in altri casi, come quello relativo alla Questura di Chieti, responsabile per i fascicoli personali di oltre 20 località di internamento libero e 6 campi di concentramento, i fascicoli sono stati «mandati al macero per supero dei prescritti limiti di conservazione».

Quali modalità d’accesso consente il sito ad un ricercatore/utente?
Il fondo è stato organizzato attorno a una serie di aree tematiche e concettuali che permettono una consultazione del materiale in relazione a diversi piani della ricerca storica.  Campocasoli.org è un archivio digitale che consente l’accesso e la consultazione ai fini di ricerca di oltre 4.000 documenti contenuti nei 215 fascicoli personali di internati civili stranieri, ebrei ed “ex jugoslavi”. Nel sito i documenti sono riprodotti in foto facsimilare totale ad alta risoluzione e sono ordinati secondo la segnatura archivistica in modo da facilitare la loro citazione. La divisione tematica del materiale permette di toccare diversi ambiti di indagine storica, che vanno dalla storia sociale degli internati alle pratiche di funzionamento e gestione di un campo fascista per internati ebrei stranieri. Pertanto, il progetto consente di indagare l’istituzione e il funzionamento burocratico del campo – il modello di amministrazione di questo tipo di strutture – e al tempo stesso, attraverso le lettere e le testimonianze raccolte, si offre una visione interna, per certi versi anche intima, delle vicende umane degli internati. Inoltre, da pochissimo è disponibile un database, frutto dell’analisi di tutti i documenti, che consente di effettuare ricerche mirate sugli internati inserendone il nome o il cognome, o, in alternativa, cliccando sul tab “trova”, di accedere direttamente alla lista completa di tutti gli internati passati per il campo di concentramento di Casoli tra il 1940 ed il 1944, che furono in totale 218.

Potresti fornire qualche dato quantitativo sulla documentazione digitalizzata?
Al momento sul sito sono pubblicati 4.462 documenti contenuti in 4 buste e suddivisi in 215 fascicoli conservati presso l’Archivio storico del Comune di Casoli, CAT. XV “Sicurezza Pubblica e polizia amministrativa”, Classe VII, Buste 2-4, Fascicoli 24-227 e Busta 5, Fascicoli 228-233.

Quali sono, secondo te, i vantaggi della consultazione digitale?
L’approccio digitale consente di avere immediatamente un contatto visivo con i fascicoli personali degli internati anche in maniera simultanea. In questo modo si possono consultare i documenti e attivare sistemi di comparazione. Ciò è essenziale soprattutto per studiare il contenuto delle carte prodotte dalla direzione di un campo di concentramento fascista. Si tratta di documenti peculiari e di non facile reperibilità. Si prendano ad esempio le diverse tipologie di redazione dei fascicoli personali, oppure le schede di registrazione degli internati. Se si controllano i fascicoli di quattro differenti campi ubicati in Abruzzo, quello di Casoli, Lama Dei Peligni, Lanciano, sotto le dipendenze della Questura di Chieti, e quello di Corropoli dipendente dalla Questura di Teramo, ad una prima analisi, si possono trarre due considerazioni fondamentali:
1.    I fascicoli sono disomogenei; questo porta a supporre che non esisteva un criterio di uniformità nella produzione delle pratiche burocratiche dei campi, nonostante i campi dipendessero dalla questura. Alcune direzioni avevano il materiale già prestampato e fornito dal ministero, altre provvedevano autonomamente con i mezzi a loro disposizione, in molti casi di fortuna e di riutilizzo.
2.    La compilazione delle informazioni personali riguardanti gli internati non segue un protocollo preciso, anche se esisteva una prescrizione del Ministero dell’interno. Questa caratteristica si evince in modo particolare se si mettono a confronto le due categorie principali di internati, quella degli ebrei stranieri e quella dei “sudditi nemici”, internati politici “ex-jugoslavi”. Mentre per tutti gli internati ebrei le informazioni si limitano al nome, cognome, paternità e data di nascita sotto la dicitura “ebreo internato/germanico”, per i secondi si nota una maggiore accuratezza. Infatti vengono aggiunti dati riguardanti la razza, la professione, la religione, la residenza, la cittadinanza e i connotati fisici.

Sulla base della tua esperienza e di quanto ci siamo detti, riassumeresti in breve il valore e le potenzialità di campocasoli.org?
Il sito può funzionare come “medium” almeno in tre direzioni.  In primo luogo, esso è uno strumento di studio utile alla ricerca scientifica delle fonti e al dibattito storiografico sull’internamento civile durante il fascismo; in secondo luogo, la divulgazione delle informazioni in esso contenute e condivise attraverso i social network, per un uso pubblico dello strumento, contribuisce a diffondere una storia ancora poco nota intorno alla realtà dei campi fascisti. Infine, riproduce un “museo” telematico per la conservazione, la promozione e l’interazione della cultura della memoria.

Per saperne di più

Sito di documentazione sul campo di concentramento di Casoli (1940-1944)

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