A quarant'anni dal sisma del 1976 in Friuli numerosi interventi hanno fatto sentire la voce degli archivi nell'ambito di diversi eventi – mostre e convegni – promossi da vari enti al fine di riflettere e far riflettere sulla ricostruzione delle memorie, sul passato guardando al futuro.
Il terremoto del 1976 ha contrassegnato per anni, in via prioritaria, l’azione di tutela sui beni di settore da parte della Soprintendenza archivistica del Friuli Venezia Giulia. L’Istituto, attivo da un decennio nella vigilanza sugli archivi sotto l’Amministrazione dell’Interno, era da poco più di un anno diventato organo del neo istituito Ministero dei beni culturali, con la competenza non solo di vigilanza, ma soprattutto di tutela, nell’ambito territoriale regionale, per il settore dei beni archivistici non statali. Un salto di mentalità e cultura – dalla vigilanza alla tutela – che, proprio con lo sconvolgimento del sisma, ha dato all’Amministrazione archivistica un forte input sul piano organizzativo, nell’impiego di risorse economiche notevoli, nella formazione di risorse umane, interne ed esterne, creando professionalità, relazioni sul territorio nell’opera di salvaguardia della memoria, memoria scritta, riflesso delle diverse e correlate identità di persone e luoghi.
Il Soprintendente archivistico di allora, Maria Laura Iona, pur non disponendo di personale tecnico, né di automezzi d’ufficio, si mosse tempestivamente, in coordinamento con le Forze armate e di Pubblica sicurezza, con i Vigili del fuoco, avvalendosi dell’aiuto, della competenza tecnica e del coraggio dei direttori e funzionari degli Archivi di Stato della regione, coordinando poi anche squadre di volontari opportunamente formati, per una prima ricognizione e salvaguardia, innanzi tutto degli archivi comunali rimasti sotto le macerie, e poi degli archivi ecclesiastici e privati che si trovavano in quei medesimi territori, anche – ma forse potrei dire soprattutto – sulla base delle informazioni che già erano presenti nei fascicoli della Soprintendenza, quale prodotto di una precedente attività ispettiva. Si sapeva cioè dove andare e cosa cercare. Ad un mese dalla prima scossa di maggio erano stati ispezionati tutti i comuni variamente danneggiati (centotrentasette) e dopo quella di settembre risultavano ricoverati presso gli Archivi di Stato in regione, una ventina di archivi (ed altri se ne aggiunsero successivamente). Gli archivi rimasti sui luoghi, dato che non sempre si riuscì, per le sensibilità locali, ai fini di più consona tutela, ad allontanarli, in via temporanea, dalle sedi originarie, si trovavano in situazioni spesso precarie; mentre gli archivi correnti seguivano per necessità di servizio gli uffici comunali nelle sedi provvisorie, spesso gli archivi storici rimanevano nei vecchi locali lesionati, nelle sedi puntellate, talvolta ammucchiati per terra o in spazi angusti, talvolta trasferiti in ricoveri di fortuna. Cioè ad alto rischio di degrado. Anche per gli archivi ricoverati comunque presso gli Archivi di Stato, dove giunsero spesso nei sacchi neri dell’immondizia, lo stato di conservazione era molto compromesso: confusi ammassi, talvolta solo spezzoni d’archivio, di carte disordinate, lacere, infangate, umide perché rimaste allo scoperto sotto le intemperie, in buona parte già coperte di muffe.
Fu necessario pianificare nel tempo i diversi interventi (finanziati con leggi speciali) di riordinamento, innanzitutto, e parallelamente di disinfezione e restauro, e furono fornite ai diversi enti (comunali, ecclesiastici, privati), già nei primi anni del post terremoto, anche le scaffalature idonee per la successiva ricollocazione ordinata degli archivi nei luoghi di provenienza; la gran confusione delle carte fuoriuscite dai cartolari era stata dovuta, infatti, anche all’abbattimento a terra di scaffali ed armadi obsoleti.
Nel primo decennio furono disinfettati e disinfestati, con fumigazioni di ossido di etilene, nell’autoclave di cui l’Ufficio centrale aveva dotato la Soprintendenza, interi archivi, mentre si poté dar corso, all’inizio, solo ai restauri dei pezzi più bisognosi e d’immediata evidenza, soprattutto di archivi privati ed ecclesiastici, poi da quanto emergeva dalla schedatura preliminare al riordinamento.
Dalla Scuola di archivistica, paleografia e diplomatica annessa all’Archivio di Stato di Trieste uscì in quegli anni, e in seguito anche dall’Università friulana, larga messe di collaboratori, che misero in pratica, tramite apposite convenzioni di prestazione d’opera con la Soprintendenza, le conoscenze apprese teoricamente, nel ripristino, nel riordinamento degli archivi terremotati. Un’intera generazione di archivisti si formò nell’esperienza e nello slancio del post terremoto. Molti riordinamenti d’archivio furono, nel tempo, iniziati e ripresi, con professionisti diversi, riaggiustando anche gli inventari per l’ulteriore documentazione emersa in seguito dai depositi o da altre sedi: una tela di Penelope, l’inventario, alla fine portata a conclusione, con la restituzione del bene archivio, riordinato e corredato dall’inventario, al suo produttore. Anche se l’esperienza di ordinaria vigilanza ha fatto rilevare in seguito, presso molti enti, una proliferazione ulteriore e disordinata degli archivi (inoltre in molte modernissime sedi ricostruite non si era tenuto conto della necessità di adeguati depositi), con traslochi e frammentazione da spostamento che vanificava in parte l’attività di riordino posta in essere. Però la traccia, lo specchio dell’archivio data dagli inventari restava comunque, ripresa nella banca dati dell’Anagrafe informatizzata degli archivi italiani e poi migrata ed aggiornata nei sistemi SIUSA e SAN. Ma anche questo fare, disfare e rifare aggiornando, è storia ordinaria per gli archivi.
Sono state riordinate soprattutto le sezioni storiche dei fondi documentari più antichi, conosciuti e conservati in regione. Tra i tanti archivi comunali su cui si è intervenuti, cito almeno, per la presenza di documentazione d’ancien régime, quelli di Udine, Pordenone, Buia, Cividale, Gemona, Sacile, San Daniele, San Vito al Tagliamento, Tolmezzo, Venzone. Ben più ricchi ed antichi gli archivi ecclesiastici sui quali si è intervenuti (più di centocinquanta) non solo con riordinamenti ma soprattutto con restauri: oltre a quelli capitolari (Udine, Cividale), ricordo quelli del Duomo di Gemona, di Pordenone, di Spilimbergo, di Venzone, e delle parrocchie di Fagagna, Maniago, Sacile, Tarcento, e dei tanti ricoverati nei poli diocesani di Udine e Pordenone, che si erano creati allora.
Sul fronte degli archivi privati devo preliminarmente ricordare i riordinamenti dell’archivio e collezione Perusini (poi ricoverato nell’Archivio di Stato di Udine), del Caiselli, del Favetti di Bosses, del Liruti (sempre lì poi confluiti), del de Concina di San Daniele, del Grattoni d’Arcano, del Deciani, di parte del di Prampero, del Florio (rimasti presso i proprietari), del de Brandis di proprietà del Comune di San Giovanni al Natisone, degli archivi Chiussi, Gortani, Pitt, Muner, Roja, Vidale, presso il Museo di Tolmezzo. Fu proprio con il terremoto che molte porte, prima chiuse anche per diffidenza, si aprirono, metaforicamente scardinate dal sisma, e cominciò, per la Soprintendenza archivistica, un’altra fondamentale attività istituzionale.
Si proseguì poi, anche con fondi ordinari, per tutte le tipologie d’archivio, su quanto emerso e non concluso in precedenza, sullo squarcio di conoscenza reso possibile dagli eventi, e l’azione poté ampliarsi su tutto il territorio regionale di competenza.
Nel Friuli disastrato l’attività di ripristino della memoria scritta ad opera della Soprintendenza archivistica fu una serie, notevole nel tempo, di interventi multiformi, complessi e correlati, che sul piano del restauro trovavano poi l’aspetto più appariscente dell’azione restitutiva.
Veramente ampia è stata la casistica affrontata nei numerosi restauri condotti a largo raggio geografico e tipologico del lungo post terremoto, con una notevole serie d’interventi. Ricorderò solo quelli sul patrimonio rilevantissimo conservato proprio a Gemona e Venzone, luoghi dell’epicentro e simboli della ricostruzione. Fondi diversi che tornano a parlare, a più voci, offrendo quadri eloquenti dei molteplici aspetti della vita di un territorio, non solo per studiosi e storici di professione, ma anche per le Comunità e le persone che vogliano riconoscervisi. Il lavoro di salvaguardia della memoria oggi continua, per l’impegno delle istituzioni diversamente preposte agli archivi (e con qualche illuminato intervento di privati). Ma le responsabilità, le azioni, sono diversificate ancorché correlate, e sul fronte archivistico non riguardano solo la documentazione ormai storica, ma anche quella che lo è in nuce, come si suole dire. È demandata da tempo ai soggetti produttori – in primis agli amministratori locali – la gestione corretta, la cura continua del proprio archivio, cartaceo, misto o informatico che sia, attraverso le buone pratiche, attraverso l’applicazione delle linee programmatiche di prevenzione, elaborate e recentemente diffuse dall’Amministrazione archivistica, proprio per far fronte consapevolmente alle emergenze, come può essere anche un terremoto. L’esperienza del passato, se riconosciuta, insegna. Oltre all’esperienza però ci sono ormai metodologie definite, linee procedurali da seguire e sicuramente da poter sviluppare, nel comune obiettivo della civile salvaguardia dei beni culturali.
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Il testo riprende con poche modifiche quello pubblicato in Ricostruire la memoria. Il patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia a quarant’anni dal terremoto, atti del convegno a cura di C. AZZOLLINI – E G. CARBONARA, Forum Editrice, Udine, 2016.