L’ex convento di San Rocco, sede dell’Archivio all’epoca della Seconda guerra mondiale, fu pesantemente colpito durante uno dei più gravi bombardamenti avvenuti in città, quello del 6 aprile 1943, che portò la devastazione nel centro storico e la morte di tantissime persone. Le vicende di guerra determinarono danni irreversibili e provocarono la distruzione di una parte consistente del patrimonio documentario e della memoria storica dell’intero territorio.

Un primo resoconto dei danni subìti dagli archivi provinciali in Sicilia, pubblicato nei primi mesi del 1944 dal Soprintendente archivistico, Egildo Gentile, riportò la notizia di diversi bombardamenti all’edificio e di “danni molto gravi” alle scritture dell’Archivio di Trapani. Il rapporto del 1946 sullo stato degli archivi italiani, redatto dalla Commissione alleata, Sottocommissione per i monumenti, belle arti e archivi, esaminando la situazione delle sezioni di archivi di stato, riferì che, nell’ambito di questa categoria, “Trapani se la passò peggio di tutti”. Un successivo bilancio delle perdite, edito nel 1950 a cura del Ministero dell’Interno, comunicava, infine, che la sede di Trapani “andò quasi totalmente distrutta in seguito a bombardamenti” e che l’accertamento dei danni al materiale documentario superstite era ancora in corso.

Gli interventi di recupero e concentrazione del patrimonio archivistico furono lunghi e complessi a causa di diversi fattori, in primis della difficoltà di reperimento di un locale provvisorio, atto ad ospitare l’ufficio e le sue carte, in attesa della ricostruzione del vecchio fabbricato. La nuova sede venne individuata al primo piano del palazzo Riccio di San Gioacchino, in via S. Rocco (a circa 400 metri dal sito del vecchio convento), che fu messo a disposizione dall’Amministrazione provinciale solo nel 1946, una volta conclusi i lavori necessari al suo adeguamento. Come era avvenuto per diversi archivi di stato ubicati in centri considerati strategici per la presenza di obiettivi militari, anche a Trapani, a partire dal 1940, il “materiale più pregevole” era stato preventivamente trasportato in una zona ritenuta sicura e depositato in locali requisiti nel Comune di Paceco, dove rimase fino al 9 ottobre del 1946, quando venne trasferito nella sede provvisoria di via San Rocco. Il trasporto riguardò circa 13 tonnellate di carte, nelle quali l’allora direttore, Carmelo Trasselli, riconosceva “in quantità ancora indeterminata i fondi: Beni ecclesiastici, Asse ecclesiastico, Secrezia e Prosecrezia, Ospedali, Senato di Trapani, Opere pie”, oltre a un “coacervo di carte dell’Intendenza e della Prefettura relative alle Opere Pie”. Quali fossero stati i criteri seguiti nell’evacuazione delle serie non risultava comprensibile al Trasselli che, nell’ottobre del 1946, così scriveva: “Non si riesce, con la migliore volontà, a comprendere il criterio archivistico, storico o amministrativo che ha consigliato di mettere al sicuro queste carte, mentre si son lasciati distruggere gli archivi storicamente importantissimi della Gran Corte Criminale o quelli amministrativamente preziosi della Corte d’Assise o del Tribunale di Trapani”.

Rispetto ai pochi complessi documentari preventivamente messi in salvo, la maggior parte era rimasta, infatti, nell’ex convento di San Rocco, dove si stimava che circa un quarto fosse andata perduta durante i bombardamenti, mentre quella rimanente si trovava “in parte minima al suo posto, in massima parte accatastata nelle scale, nei corridoi e nei locali meno fatiscenti e meno scoperti del resto dell’edificio che è ancora in piedi”. In tale situazione, anche le operazioni più urgenti e necessarie di recupero e smistamento risultarono estremamente difficoltose, a causa dell’inaccessibilità di alcune serie e della mancanza di luce nel fabbricato, le cui finestre erano state murate per impedire furti (IMMAG. 1). Il destino delle carte del San Rocco rimase sospeso per alcuni mesi, condizionato dall’incertezza sulle sorti dell’ex convento e sui tempi della sua ricostruzione. Si decise, infine, di trasportare nel palazzo Riccio di San Gioacchino i fondi “in un certo ordine e immediatamente utilizzabili e il collocamento provvisorio degli altri fondi da sgombrare, al posto dei primi nella vecchia sede” e, qualora ambedue i locali non fossero stati sufficienti, il trasferimento delle carte più deteriorate e dei fondi più disordinati in un magazzino, per sottoporli a un’attenta cernita. Data la difficoltà di reperire i mezzi e le condizioni precarie dei documenti, l’organizzazione del trasloco preoccupava non poco il direttore che, il 16 maggio 1946, così scriveva: “… Non si può nemmeno parlare di un appalto a una ditta di trasporti, che farebbe intervenire un elemento nuovo, la fretta, dannoso per la nostra situazione.Lo scrivente ebbe già a far esperienza di ciò con il trasporto dell’Archivio di Stato di Roma dalla sede del Gesù alla Sapienza, dove fu possibile lavorare a tempo di record trattandosi di volumi ben rilegati, ordinati, numerati e con numeroso personale di sorveglianza. Qui si avrebbero a disposizione solo un usciere e un impiegato e si devono trasportare fasci di carte, registri delle più varie dimensioni, senza evidenti indicazioni dorsali, senza quasi ordine preesistente poiché, duole dirlo, questo Archivio non ha mai ricevuto le cure di un archivista appassionato”. Nell’ottobre del 1946 la nuova sede, dotata delle scaffalature necessarie, accolse una parte del materiale proveniente dal San Rocco. Il trasporto fu un’operazione lunga e faticosa e vi parteciparono i dipendenti dell’archivio, per i quali il direttore propose una somma a titolo di speciale gratifica “per il lavoro svolto in ambienti pieni di polvere, sudiciume e calcinacci… per le fatiche non lievi e il deterioramento degli abiti”.

Il resto della documentazione rimase, invece, nel vecchio fabbricato, dove fu esposta a sempre maggiori pericoli di dispersioni e danneggiamenti.  Il 19 dicembre 1946, infatti, iniziarono i lavori di demolizione dei locali danneggiati, ad eccezione della porzione ancora piena di atti, che si trovò sempre più facilmente accessibile ai ladri e soggetta alle intemperie, con la sola protezione della ronda notturna della Questura; successivamente, in attesa che il Genio Civile iniziasse la ricostruzione, venne spostata, in parte, in un padiglione dell’Ospedale psichiatrico di Trapani, dove rimase incustodita fino al 1961, anno in cui, conclusi i lavori, si portò a termine la concentrazione dei documenti nell’ex convento ristrutturato.

Gli sforzi messi in campo negli anni immediatamente successivi alla guerra furono rivolti non solo al recupero del materiale documentario superstite, ma anche alla riattivazione della funzionalità dell’ufficio e alla riapertura al pubblico della sala di studio, considerate essenziali da Trasselli, al fine di “aggiungere un secondo Istituto di alta cultura in questa città che disponeva solo della Biblioteca Fardelliana e permettere ai numerosi studenti universitari trapanesi di eseguire le ricerche per le tesi di laurea in storia senza essere costretti a risiedere a Palermo”. Gli eventi bellici determinarono, insieme alla devastazione di molti fondi archivistici, anche la distruzione della pregevole biblioteca, andata totalmente perduta. Tra le carte di corrispondenza dell’epoca, si rinvengono le minute del direttore, impegnato nella difficile opera di ricostituzione di parte delle collezioni, recanti richieste di donazioni di materiale librario a diverse istituzioni della provincia. Inviti furono rivolti alla Deputazione per la Biblioteca Fardelliana (IMMAG. 2) e alla Camera di Commercio di Trapani, perché fornisse un “apporto prezioso con il dono di ogni pubblicazione arretrata e l’invio di nuove relazioni annuali, bollettini… e altri materiali utili a svolgere indagini storico-economiche”.
Il conto dei danni provocati dalla guerra, infine, riguardò, anche i beni mobili dell’ufficio, che furono in parte demoliti dai bombardamenti e in parte trafugati dopo lo sventramento dell’edificio, il cui ammontare non fu quantificabile a causa dell’assenza dei libri contabili. (IMMAG. 3).

La situazione attuale del patrimonio documentario dell’Archivio di Stato di Trapani non è imputabile soltanto alla distruzione dei fondi già presenti nell’istituto all’epoca della guerra. Le carenze sono dovute anche alle perdite subìte, per gli eventi bellici, dagli archivi degli enti comunali, notarili, giudiziari, finanziari, che sarebbero dovuti confluire nell’Archivio di Stato, ma non furono mai consegnati, perché dispersi o distrutti o vennero versati in serie parziali e lacunose. Le incursioni aeree, d’altra parte, non costituirono l’unica causa della perdita di una parte considerevole di documentazione storica nella provincia. La disperazione e la povertà causate dalla guerra sfociarono spesso in sommosse contro le principali istituzioni politiche e amministrative del territorio, devastandone gli uffici. È il caso, per citare un esempio, degli atti di Stato civile del Comune di Alcamo, danneggiati, per buona parte, durante i moti popolari scoppiati il 18 dicembre del 1944.

Ancora oggi, l’Archivio di Stato di Trapani risente dei danni provocati dalla guerra, dei vari spostamenti di sede che ne seguirono, dell’affrettato piano di riordinamento successivo. Se, negli anni, una parte della documentazione archivistica è stata oggetto di revisione e descrizione, dall’altra si constata l’esistenza di un consistente complesso di unità non identificate e di interi fondi da riordinare, come quelli giudiziari, tirati fuori dalle macerie del San Rocco, che recano i segni materiali della devastazione nel disordine delle carte e nei frammenti di calcinacci che, a distanza di decenni, si ritrovano ancora incastrati tra i fascicoli.

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