Un “fenomeno di lunga durata” dal quale non si riesce (per fortuna) a vedere la fine in quanto trattasi di “fenomeno virtuoso” è l’argomento dell’incontro tenutosi in data 13 novembre intitolato: Archivi di fattoria: le ragioni di una tutela in occasione di questa giornata di apertura straordinaria dei luoghi della cultura.
Animato da tre generazioni di archivisti: Renato Delfiol, Elda Fontana, Silvia Bianchi accomunati, pur nei differenti ruoli (Delfiol come archivista di Stato, la dott.ssa Bianchi quale libera professionista, Elda Fontana anche come soggetto conservatore) dall’impegno nell’ordinamento e nello studio (anche dall’affetto) nei confronti di questa tipologia documentaria ove, si deve avere ben presente, si rispecchia “in carta” il celebrato paesaggio della campagna toscana.
1990: Renato Delfiol, in fase di programmazione di interventi di vigilanza si imbatté nella relazione di una visita datata 1956 dedicata ad una grande azienda agricola posta in provincia di Grosseto. Era stato, certo, un primo intervento pionieristico, rimasto senza seguito, che ebbe però la funzione di stimolare una nuova “ricerca”, il censimento degli archivi di fattoria ancora conservati sul territorio, in situ, pur entro un panorama dell’economia toscana assai mutato. Per dirla alla fiorentina, la Soprintendenza provvide a destinare “tempo e quattrini” ad una indagine finalizzata a censire quei giacimenti documentali sì ben noti ma esclusivamente, se si prescinde dalla visita sopra ricordata, come sezioni entro il corpus degli archivi di famiglia dell’aristocrazia toscana ove, tra l’altro, erano sempre ricordati solo sommariamente, all’interno delle relazioni successive alla visita. Era necessario, pertanto, andare “oltre il noto” consapevoli che, nel corso del sec. XIX, si erano formate aziende agricole anche grazie all’emergere di famiglie borghesi decise ad acquisire aziende poste in vendita da “nobili signori” o a crearne di proprie. Il programma operativo partì da sud, dalla provincia di Grosseto, area agricola “giovane”, sviluppata a seguito della conclusione delle bonifiche degli anni Trenta, e da lì risalì verso Siena, Arezzo, Firenze, con periodi di interruzioni e con riprese dovute a “ritrovamenti” grazie a conoscenze casuali e segnalazioni.
Da qui, dalle segnalazioni, trova ragione la presenza delle altre due componenti dell’incontro: la moderatrice, Silvia Bianchi, nel periodo in cui ha collaborato con la Soprintendenza, ha conosciuto Elda Fontana, direttrice della Biblioteca Pannilunghi-Fontana di Pieve Santo Stefano, prima come bibliofila e poi come “archiviofila”. Era giunta, appunto, segnalazione dell’esistenza di una biblioteca privata assai corposa, dedicata alla storia della Valtiberina aretina e questa biblioteca, nel corso della visita ispettiva effettuata nella scorsa primavera, ha svelato un lato inatteso, ossia una sezione occupata da documenti relativi alle fattorie di quel territorio. Ne è stato redatto l’elenco e ne è in corso il procedimento di dichiarazione. Ecco che quando si è scelto il tema “archivi di fattoria” come argomento per la giornata di apertura straordinaria si è pensato di invitare Elda Fontana quale esempio virtuoso di incontro “pubblico-privato”: un caso di “conservazione disinteressata” a beneficio del proprio territorio.
Anche se nel corso della chiacchierata ci si è lasciati trascinare dalla descrizione degli archivi posseduti dalla dott.ssa Fontana e dalla “nostra storia”, approfitto dell’occasione di questa breve cronaca per dare una spiegazione della scelta del titolo. In questo ultimo decennio la Soprintendenza si è trovata a conoscere altri soggetti come la dott.ssa Fontana, che in varie aree si sono dedicati, lodevolmente, alla raccolta e alla conservazione di questa tipologia di archivi in autonomia, a volte anche investendo per il loro ordinamento come il Comune di Bagno a Ripoli (FI) o il Centro di documentazione della Val di Bisenzio (PO) o acquisendoli all’atto della cessazione dell’attività come la associazione Casa d’Erci a Luco di Mugello (FI) e il Museo della mezzadria senese di Buonconvento (SI). Pertanto, ha inteso intervenire a seconda dei casi sia per programmare interventi di tutela specifici (la dichiarazione di interesse storico) sia per stabilire linee operative capaci di rendere più sicura la loro conservazione e delineare anche interventi capaci di far conoscere la loro esistenza. Da una tutela singulariter dicata, si dovrebbe iniziare a ragionare e trovare una ragione di tutela comune per soggetti conservatori (istituzionali e privati, singoli e associazioni), e aziendali (agriturismo e produttivi) ai fini di “fare rete” per interventi ordinamentali e studio di operazioni di effettiva valorizzazione. Accenno solo a una questione: come far “parlare” uno scrittoio cioè il luogo in cui si teneva da parte del fattore e sottofattore la contabilità aziendale, la “officina” dell’archivio cioè da dove usciva il prodotto finito ossia il registro dei conti stima e correnti, del magazzino, dei sughi, dei bestiami , tanto per citare alcuni nomi. Come renderlo leggibile e “sfruttabile” per avvicinarsi a quel mondo “finito” e finito da non molto…. ma mutato e non tolto: ancora oggi la Toscana vive di aziende agricole, non più fattorie mezzadrili ma terreni dedicati a colture di eccellenza che non fanno “staccare” dalla terra tanta parte dell’eccellenza del “made in Tuscany”.
Voglio concludere con un ricordo personale: nel 2005 presi servizio presso la Soprintendenza archivistica e bibliografica della Toscana e nell’autunno di quell’anno Renato Delfiol mi chiese di accompagnarlo a San Quirico d’Orcia per completare l’elenco di consistenza di un archivio di fattoria, quella denominata del “Malintoppo”; era freddo, si lavorava in un sottetto senza vetri e si preparò il trasferimento presso la nuova sede, un primo piano in un edificio “dentro le mura” del paese. Si dispose l’archivio sugli scaffali e si completò la descrizione nel torno di un anno. Nel ripensare a quel primo anno di vigilanza, mentre rivedo queste note, in un giorno in cui ho visitato un altro archivio di fattoria posto nella Val di Sieve, sono convinto che questi, per me, restino “i più toscani” tra i nostri archivi vigilati.
L’incontro è stato organizzato nell’ultimo mese di servizio della dott.ssa Sabina Magrini, soprintendente archivistico e bibliografico ad interim, e si è svolto dopo l’insediamento del nuovo soprintendente titolare Michele Di Sivo: a entrambi esprimo il ringraziamento per il sostegno ottenuto.
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