Il portale Intellettuali in fuga dall’Italia fascista: migranti, esuli e rifugiati per motivi politici e razziali raccoglie gli esiti di un progetto di ricerca sull’emigrazione intellettuale durante il Ventennio, ideato e condotto da Patrizia Guarnieri, docente di Storia contemporanea all’Università di Firenze. La studiosa, che da tempo si occupa di mobilità scientifica, ricostruisce le vicende e i percorsi di centinaia di intellettuali, in gran parte ebrei, costretti ad espatriare per motivi politici e razziali.

Erano accademici, scienziati, studiosi, professionisti, ma anche giovani laureati e studenti. Allontanati dai luoghi di lavoro e di studio, privati di ogni diritto in forza di una legge dello Stato (le cosiddette leggi razziali, emanate da Mussolini nel 1938), cercarono libertà e lavoro all’estero. Soli o con le loro famiglie, emigrarono in Inghilterra, nelle Americhe, in Palestina, passando spesso anche attraverso altri paesi, come la Svizzera e il Belgio. Con l’emigrazione il nostro paese perse risorse intellettuali di prim’ordine subendone un danno gravissimo non solo culturale, ma anche sociale ed economico, soprattutto se considerato in prospettiva.

La documentazione, disponibile on line, riguarda gli intellettuali italiani e stranieri esuli e rifugiati che, per nascita, residenza, o formazione, ebbero legami con la Toscana. La Regione e l’Università di Firenze sono stati, infatti, i promotori del progetto, avviato in occasione dell’ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali. Il database comprende oggi circa 400 nomi (inizialmente erano 250), ma l’elenco potrebbe allungarsi ancora e rendere necessari successivi inserimenti e modifiche. Vi compaiono nomi famosi, i premi Nobel Enrico Fermi e Rita Levi Montalcini, accademici illustri come Gaetano Salvemini e Giuseppe Levi, maestro della Montalcini, ma anche studiosi meno noti o sconosciuti di cui non è stato facile ricostruire la storia, tanto più che le università italiane hanno spesso cancellato i dati per minimizzare le perdite. Fondamentali per la ricostruzione delle biografie – come ha spiegato la professoressa Guarnieri – sono stati gli archivi delle università dei paesi di accoglienza e quelli delle organizzazioni internazionali di soccorso per “displaced scholars” (accademici e studiosi) in fuga dal nazismo e dal fascismo. Una lunga lista di archivi pubblici e privati italiani consultati compare sul portale, insieme ai ringraziamenti, a testimonianza del lavoro di ricerca svolto per ricostruire come ordinarie carriere si interrompano improvvisamente (a causa della sospensione dal servizio, la radiazione dall’albo professionale o semplicemente il silenzio) e riprendano altrove, in paesi lontani, tra mille difficoltà, sforzi e una elevata dose di tenacia. Proprio grazie alla documentazione di due importanti enti di soccorso, conservata a Londra e a New York, è stato possibile rintracciare nomi e soprattutto, conoscere le procedure e i meccanismi di accoglienza: le richieste di aiuto, rivolte all’ente, venivano vagliate ma difficilmente chi non possedeva un solido curriculum internazionale trovava una sistemazione stabile. Importanti per trovare lavoro furono soprattutto le reti familiari, le amicizie e le relazioni professionali (evidenziate a margine di ogni scheda).

Le schede biografiche ricostruiscono le storie dei migranti (a volte vere e proprie odissee) grazie a testimonianze e ad un’imponente documentazione (lettere, certificati, verbali, fotografie) in gran parte proveniente da archivi privati. Ogni scheda include riferimenti precisi ai percorsi, evidenziati anche a parte con mappe ed itinerari. Sono “vite in movimento” alla ricerca di un’occupazione che possa migliorare la loro esistenza e renderla più sicura. Di fatto la precarietà caratterizza i percorsi della maggior parte dei migranti, soprattutto nei primi anni dopo l’arrivo nella nuova destinazione: lavori temporanei, spesso mal retribuiti o non adeguati alla qualifica e spostamenti frequenti verso altri luoghi di lavoro. Trovare un’occupazione era ancor più difficile per le donne, spesso impegnate nella gestione familiare e quindi meno autonome. Se erano sole e in possesso di qualifica, riuscivano ad occuparsi, ma per stabilizzarsi impiegavano sempre un numero di anni maggiore. Solo le più determinate arrivarono a perfezionarsi, molte dovettero ripiegare su lavori poco e per nulla attinenti al loro campo di studi e ciò significò per alcune la rinuncia alle attività di ricerca avviate con successo prima dell’espatrio.

Nessuno ebbe vita facile ma non tutti, a guerra finita, vollero e poterono ritornare. Anche gli accademici ai quali lo Stato italiano aveva riconosciuto il diritto al reintegro ebbero difficoltà a tornare nelle sedi da cui erano stati allontanati durante il fascismo. Significativi i casi di alcuni illustri scienziati: Enzo Bonaventura, che era stato tra i fondatori della psicologia sperimentale, rinunciò e ritornò all’Università di Gerusalemme, dove si era rifugiato, Giuseppe Levi fu reintegrato a Firenze e solo in un secondo tempo poté rientrare a Torino; il fisico Bruno Benedetto Rossi, assunto al MIT di Boston, ebbe la cattedra in Italia solo nel 1974. Più difficile fu la scelta se ritornare o rimanere per coloro che, espatriati agli inizi della carriera universitaria, si erano perfezionati e stabilizzati all’estero: sarebbero stati riammessi, ma senza alcuna garanzia sulle modalità. Un rientro rischioso soprattutto per chi era emigrato con la famiglia ad esempio Massimo Calabresi, cardiologo e la sorella Renata, psicologa clinica, avrebbero desiderato ritornare ma alla fine rimasero negli Stati Uniti. Massimo divenne professore a Yale; Renata, ricercatrice presso una struttura ospedaliera, si dedicò poi alla libera professione. Ogni singola storia va a comporre il quadro di un fenomeno migratorio molto più consistente di quanto finora accertato, sia numericamente che nella qualità.

La “fuga di cervelli”, causata dalle leggi razziali, provocò danni irreparabili non solo al mondo accademico e scientifico italiano, che fu privato del contributo di scienziati di fama mondiale, ma all’intera società, a cui venne a mancare l’apporto prezioso di intellettuali e professionisti, accolti con successo in altri paesi.

Per saperne di più
Portale Intellettuali in fuga dall’Italia fascista
P. Guarnieri, L’emigrazione intellettuale dall’Italia fascista, Firenze, Firenze University Press, 2019

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