La tutela sugli archivi minerari ora custoditi ad Abbadia San Salvatore (ed in piccola parte presso altri comuni), iniziò nel 1965, quando il complesso fu dichiarato per la prima volta.
Il vincolo era limitato alle serie Acquisti dei diritti del sottosuolo (1882-1957) e Progetti e perizie (1882-1957). La visita ispettiva allora svolta aveva individuato altre due grandi serie, quella dei Registri per la contabilità e quella del Carteggio, ma solo le prime due erano state dichiarate. All’invito a redigere un inventario della documentazione vincolata e a trasmetterlo alla Soprintendenza, il direttore della Monte Amiata rispondeva «Sarà nostra cura adempiere a quanto disposto».
Era questa una delle quindici dichiarazioni emesse su archivi d’impresa prima del censimento, che partì solo nel 1979, quando la Soprintendenza archivistica ottenne tre nuovi funzionari e poté iniziare un lavoro sistematico, sostenuto dai consigli di Giorgio Mori, presidente della Commissione di storia dell’industria del CNR, con il quale la soprintendente di allora, Francesca Morandini, era in contatto.
Dopo tre anni, nel 1982, sarebbe uscito il volume con i risultati del censimento, nel quale era contenuta una scheda sugli archivi minerari del Monte Amiata, curata da Luigi Borgia. Nel 1979 era stato emesso un nuovo provvedimento di dichiarazione riguardante l’intero archivio, cui ne seguirono altri, via via che successive visite permettevano di censire nuovi complessi di documenti. Nel 1981, per esempio, fu visitato per la prima volta l’archivio della miniera del Siele. Infine, nel 1992 fu emessa la dichiarazione definitiva che qualifica il complesso come “Archivi minerari amiatini riuniti”.
Negli anni ’80 le miniere di mercurio venivano chiuse sia perché le lavorazioni del cinabro risultavano troppo tossiche per gli standard sanitari italiani, sia perché era crollato il fabbisogno di mercurio con l’introduzione nella tecnologia di altri materiali meno pericolosi e meno costosi. Su queste attività si apriva una vertenza di portata nazionale. La società Ammi, gravitante nell’orbita dell’Eni, veniva scissa in due società, la Indeni deputata alla ricollocazione del personale, e la Samim cui erano conferite le miniere per le operazioni di manutenzione e di chiusura. Entrambe le società si spartivano parti dell’archivio, nel senso che le carte rimanevano negli edifici dove si trovavano, attribuiti all’una o all’altra società, salvo qualche documento che poteva ancora servire nell’attività corrente e che veniva portato da una sede all’altra.
Gli archivi ci apparivano tutti di eccezionale importanza, sia per la funzione svolta nella produzione del mercurio, che aveva fatto di Abbadia uno dei maggiori centri a livello mondiale, sia per i significativi risvolti socioculturali: si può dire che gli interi paesi di Abbadia San Salvatore, Santa Fiora, Piancastagnaio, Castell’Azzara gravitavano attorno alle miniere; non c’era famiglia dove non vi fosse stato un minatore, un operaio dello stabilimento metallurgico, un tecnico, un ingegnere. Questi paesi avevano avuto, grazie alle miniere, uno standard economico superiore agli altri limitrofi. Abbadia, per esempio, se non avesse avuto la miniera, avrebbe certamente aspettato molto tempo prima di ottenere un ospedale (che nacque come infermeria) o l’illuminazione elettrica.
Noi definiamo questi archivi come “archivi d’impresa”, ma essi non sono solo archivi economici, non raccontano solo la storia di una certa azienda. Essi ci permettono di ricostruire la storia del territorio, attraverso documenti che riflettono l’andamento dell’occupazione o l’assetto urbanistico di una certa zona. Perché talune grandi aziende hanno costruito abitazioni, scuole e ospedali per le loro maestranze, proprio come ha fatto la Monte Amiata, che non è l’unico esempio in Toscana, basti pensare alla Montecatini o alla Solvay.
Con la crisi del mercurio e lo scioglimento della Ammi occorreva salvare questi archivi. Mi parve chiaro, dopo una visita nel gennaio 1981, che era necessario individuare un luogo dove avrebbero potuto essere conservati. Mi sembrava anche essenziale che l’archivio rimanesse dove era stato prodotto, sul territorio di cui era patrimonio e dove risiedevano le memorie che potevano interagire con esso e “farlo parlare”. In questo senso ci opponemmo ad un suggerimento della Direzione generale che proponeva di depositarlo all’Archivio di Stato di Siena, il quale, tra l’altro, non avrebbe avuto spazio sufficiente.
Ma in zona conoscevo una sola struttura cui rivolgermi, l’archivio comunale. E così andai dal sindaco, che era allora Giorgio Sbrilli. Io, giovane funzionario, entravo un poco intimorito nella sua stanza al primo piano e sottolineavo il valore che la memoria della miniera poteva rappresentare per gli abitanti. Egli condivise con entusiasmo. Lo ricorderò sempre, mi disse: «Che ne pensa, Dottore, potremmo metterlo qui?» L’ufficio del sindaco è una stanza piuttosto grande, con pareti alte. Naturalmente l’archivio non vi fu collocato, ma iniziò una fase di recupero, spesso tumultuosa, sui camion del Comune, durata anni, che ebbe più momenti, coinvolgendo non solo la struttura centrale di Abbadia ma anche le singole miniere una volta che erano state abbandonate, messe in sicurezza e chiuse. Si parlava, e il sindaco ne era l’interprete, di creare un Museo delle miniere, dove avrebbero potuto avere sede sia la documentazione che quegli strumenti dell’attività mineraria che potevano essere recuperati, assieme a manufatti esplicativi.
Fu dato anche l’avvio all’operazione di riordinamento del settore più cospicuo dell’archivio, rappresentato dai documenti della sede amministrativa e dello stabilimento di Abbadia e da quelli dello Stabilimento del Siele, già incorporato dalla stessa società. Io continuavo i sopralluoghi nella zona, individuavo i nuclei di documentazione e poi trasmettevo la notizia al Comune, che passava a ritirare i documenti. La sede fu inizialmente una scuola elementare vuota.
Nel 1984 viene nominato il comitato scientifico, che si riunirà dalla fine del 1985 fino al 1993 ed era composto, oltre che dal sindaco di Abbadia, da un funzionario dei beni ambientali, da due professori dell’Università di Siena e dalla Soprintendenza archivistica, che nominava me come rappresentante. In seguito ne sarebbero stati chiamati a farne parte Alberto Riparbelli, esperto di parchi minerari, e Giovanni Contini della Soprintendenza, che avrebbe organizzato il piano di interviste che ora sono online nell’Archivio Video di Storia orale.
Il primo lavoro di ordinamento, con finanziamenti comunali dopo il venir meno di un previsto intervento statale del Fondo investimenti occupazione, per il nucleo della sede amministrativa di Abbadia fu affidato a Luciano Segreto, e per il lavoro sull’archivio del Siele a Riparbelli che tuttavia, per intervenuti dissapori col Comune, non volle aggiornare la numerazione provvisoria, rendendo così inconsultabili le carte. Furono pubblicati così due inventari per i tipi di Franco Angeli.
In seguito, con il recupero del resto della documentazione, assai cospicua, proveniente dalle varie miniere, nonché dei disegni, fu varato nel 2001-2002 un altro programma di inventariazione, continuato poi dall’Unione dei Comuni Amiata Val d’Orcia. Il lavoro, protrattosi in varie fasi ad opera di Barbara Adamanti, cui in una prima fase fu associata Angela Quattrucci, è praticamente giunto al termine. Sembrerà un periodo troppo lungo, ma si tratta di oltre 400 metri lineari di documentazione su scaffali (una stima dà circa 18.000 unità, faldoni o registri) e molti armadi e cassettiere contenenti disegni. Al recupero dell’archivio si affiancò, dopo le prime fasi, la creazione dell’archivio orale.
Negli anni ’90 l’archivio viene definitivamente collocato nella palazzina detta Torre dell’Orologio, nel perimetro minerario, finemente restaurata anche con contributi pubblici, dove fu realizzato il Museo minerario.
La cosa principale che imparammo da questa esperienza, fu che gli enti locali potevano divenire soggetti nel recupero degli archivi del territorio, ben prima che il Codice dei beni culturali attribuisse loro queste prerogative. Venendo ai fatti più recenti degli archivi minerari amiatini, occorre ricordare il progetto di trasferimento fuori Abbadia dell’archivio minerario motivato da rilievi fatti dai Vigili del Fuoco sulla possibilità di mantenere la Torre dell’Orologio, un edificio del perimetro minerario, per il duplice uso di museo e di archivio. Inizialmente si era pensato ad un deposito fuori regione, dove non si poteva garantire la consultazione degli atti, in vista della ipotizzata predisposizione di un nuovo ambiente la cui realizzazione sarebbe slittata molto avanti nel tempo e che, infatti, non è stato ancora realizzato. La Soprintendenza, intervenendo, aveva imposto un luogo di conservazione dove la consultazione potesse essere assicurata, ma anche in questo caso si sarebbe trattato di un deposito esterno alla regione. Con nuovi sopralluoghi e contatti della Soprintendenza con i Vigili del Fuoco si è riusciti a reimpostare il problema ottenendo che l’archivio potesse rimanere ad Abbadia nei locali della Torre che erano stati originariamente predisposti a questo scopo, una volta effettuate modeste modifiche allo stato dei locali. Credo che sia stata una vittoria di tutti i soggetti più o meno coinvolti nella vicenda.
Per quanto riguarda la fase attuale, il lavoro di ordinamento è giunto ormai alle ultime battute. Rimane ancora da censire un modesto fondo, nel quale non sembra si trovino documenti importanti, mentre si sta operando per mettere online l’inventario.
Recentemente è stato intrapreso un intervento conservativo. Se generalmente lo stato dei documenti è buono, molti copialettere della corrispondenza, la cui serie è assai copiosa, hanno uno stato di conservazione precario, causato dell’essere stati conservati a lungo in ambiente umido, nonché dal tipo di carta, una velina leggera, dall’inchiostro, che tende a svanire e dalla frequente consultazione, che ha eroso il margine alto dei fogli. Alcune unità presentano addirittura frammentazione delle carte. Con il contributo del Ministero è stato effettuato il restauro di una unità e la digitalizzazione di molte altre. Continuare con la prima operazione è improponibile perché richiederebbe finanziamenti assai importanti, mentre la seconda mira a rendere consultabili le unità e ad assicurarne almeno la conservazione del contenuto nel corso del tempo.
Per saperne di più
L’Archivio Video di Storia orale. Poiché il sito richiede Adobe Flash Player, tra poco non più supportato, le interviste sono anche pubblicate su YouTube.
Il Parco Museo minerario Abbadia San Salvatore