Come si intrecciano fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo le mutate funzioni degli antichi palazzi e case nobiliari siti nei centri storici con la crescente domanda di abitazioni determinata dall’incremento demografico e con la necessità e la volontà dello Stato di preservare e tutelare i beni architettonici?

E quali tipi di problematiche da punto di vista sociale, sanitario, politico potevano porsi?
Il contributo di Michele Nani, ricercatore dell’Istituto di Studi sul Mediterraneo del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISMed-CNR), Inhabitants of heritage: the dwellers of an Italian Renaissance palace and their problematic evinction in Ferrara, 1900-1940, pubblicato su «Urban History» (https://bit.ly/3dWslSa), intende appunto proporre una analisi che metta in relazione la storia materiale di un edificio, la storia sociale dei suoi abitanti e l’evoluzione delle politiche culturali post unitarie.

Il saggio, che si inserisce nel genere storiografico delle “biografie di edifici”, declina tali tematiche nell’analisi specifica – ed esemplare – della storia del palazzo Costabili di Ferrara, costruito ai primi del XVI secolo. Ora sede del Museo Archeologico Nazionale, il magnifico edificio di Biagio Rossetti conobbe una progressiva ma inesorabile decadenza parallela al graduale ridimensionamento del ruolo sociale ed economico dell’aristocrazia nel corso dell’età moderna e contemporanea, e in particolare nel corso del XIX secolo, e alla crescita della popolazione che in un centro come Ferrara rendeva giocoforza necessario il massimo sfruttamento degli spazi inframurari. Suddiviso fra più proprietari alla ricerca di facili guadagni, all’interno del palazzo venne via via moltiplicandosi il numero di appartamenti destinati ad essere affittati ai ceti sociali sempre più umili che premevano dalle campagne alla città, fino ad arrivare ad ospitare più di 300 persone all’alba del XX secolo, quando ormai le istituzioni pubbliche vi avevano riconosciuto una situazione di criticità dal punto di vista sociale, sanitario, politico, e anche culturale, vedendo seriamente minacciata l’integrità del prezioso edificio e del suo apparato decorativo.

Dopo una incisiva ricostruzione delle vicende che interessarono il palazzo, dalle origini all’acquisto da parte dello Stato nel 1920, e focalizzata particolarmente sul moltiplicarsi delle unità abitative e sulla crescente preoccupazione destata dal degrado fisico e sociale del palazzo, l’autore si sofferma a tracciare l’origine degli affittuari e il loro veloce avvicendarsi: ne emerge un riflesso della mobilità provinciale e interprovinciale in cui la città, pur priva di massiccio sviluppo industriale – e forse proprio per questo non sviluppatasi in grandi periferie, ma rimasta raccolta all’interno delle mura –, rappresentava un punto di richiamo in cui l’elemento cruciale era rappresentato più dalla presenza di famigliari e amici cui appoggiarsi che dalle reali opportunità di lavoro. Segue la ricostruzione della decennale vicenda dello sfratto, nella critica contingenza del primo Dopoguerra e del suo delicatissimo contesto socio-politico, già compromesso dalle violente conflittualità che nello stesso Palazzo Costabili erano sfociate in episodi di sangue, per terminare poi con la riconversione a museo dell’edificio, culminata nell’inaugurazione del 20 ottobre 1935.

L’autore non solo propone una particolare tipologia di indagine in grado di mettere in relazione le modifiche del tessuto urbano e sociale con gli eventi della grande Storia e con il mutare degli Stati dall’Ancien Régime fino agli sconvolgimenti degli anni ‘20, ma lo fa utilizzando una pluralità di fonti, che accostate sono in grado dialogare e restituire le molteplici sfaccettature di una vicenda di estrema complessità: oltre alla ricca bibliografia, sono stati utilizzati articoli di una pluralità di testate giornalistiche, cartoline, incisioni… e soprattutto fonti documentarie. Dall’Archivio Centrale dello Stato (Consiglio di Stato, Ministero della Pubblica Istruzione e Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, Ministero dell’Interno) all’Archivio Storico Comunale di Ferrara, dall’Archivio di Stato di Ferrara (Prefettura – Gabinetto, Prefettura – Commissione governativa Antichità e Belle Arti, Camera di commercio) all’archivio della Soprintendenza Archeologica, Belle arti e Paesaggio di Ravenna.

La pluralità di fonti archivistiche si riconferma necessaria se non indispensabile per la ricerca di storia contemporanea che in un approccio innovativo consenta il superamento della parzialità dei punti di vista: la ricerca condotta attraverso una molteplicità di fondi permette di far emergere elementi nuovi dal quadro d’insieme e di evidenziare verso quali direzioni dovrebbero andare futuri approfondimenti – magari su tematiche che si credevano già esplorate ma che, attraverso il dialogo di documenti di diversa natura, possono rivelarsi parziali: è il ricorso alla pluralità delle fonti a permettere di restituire una ricostruzione “tridimensionale”, in cui emergono e si avviluppano equilibri e conflitti di interessi locali e ragion di Stato.

 

Michele Nani, Inhabitants of heritage: the dwellers of an Italian Renaissance palace and their problematic eviction in Ferrara, 1900-1940, «Urban history» (Maggio 2020), pp. 1-21

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