Il denso lavoro di Andrea Tanturli, al di là dell’interesse specifico che non può non suscitare in quanti si occupino della storia della società italiana degli anni Settanta, è un lavoro destinato a stimolare quanti, per statuto professionale, le fonti archivistiche sono chiamati a reperire, selezionare, conservare e comunicare, fornendo strumenti di comprensione dei loro vuoti, spesso più apparenti che reali, o fornendo strumenti di addomesticamento della loro debordante abbondanza.

 La ricerca ha fatto ricorso ad un amplissimo spettro di fonti archivistiche novecentesche, quasi un’atlante delle tipologie documentarie nelle quali è possibile imbattersi, mai utilizzate però «per civetteria della bella ma non indispensabile citazione archivistica», per riprendere le parole di un illustre archivista e storico contemporaneista, Claudio Pavone. L’assunto da cui parte Tanturli è la contestazione del mito, ormai forse in decadenza, dell’assenza o della scarsa disponibilità delle fonti per lo studio di questo lembo di Novecento, appannaggio per lungo tempo di quella che l’autore chiama con efficacia la «dittatura delle testimonianze» (p. 255). «Attraverso il mio lavoro», scrive Tanturli nella sua introduzione, «penso di dimostrare che il problema delle fonti per lo studio della violenza politica non è certo una loro assenza, legata alla chiusura di alcuni archivi o alla normativa sulla consultabilità». I problemi vanno semmai cercati altrove: «pesa molto di più la frammentazione delle fonti in una miriade di soggetti conservatori, le dimensioni spesso abnormi del materiale, la carenza di risorse del settore archivistico, la decontestualizzazione delle risorse digitalizzate» (p. 18).

Alla frammentazione di un panorama archivistico ancora in fieri – quante fonti ad esempio devono ancora emergere dai depositi delle amministrazioni statali o dagli archivi di privati? –  Tanturli ha posto rimedio con l’unica alternativa possibile a quella di affidarsi al monologo di un’unica tipologia documentaria, ovvero quella di dar vita a un fitto e serrato dialogo tra fonti di natura e provenienza diversa. Tale dialogo ha assicurato profondità e prospettiva alla sua narrazione che si sviluppa in un impianto tendenzialmente cronologico ma ben lontano dall’indulgere a derive annalistiche, assai attento ai contesti e al complesso rapporto fra continuità e discontinuità.

L’appello delle fonti archivistiche chiamate in causa dall’autore non può dirsi senz’altro andato deserto, riferendoci ai soggetti conservatori, a quelli produttori di archivi e, infine, alle tipologie documentarie. Una rapida analisi dei luoghi conservativi visitati nel corso di questa ricerca fa pensare a un grand tour nel policentrismo archivistico del Novecento del nostro paese: una quindicina di centri di documentazione, in prevalenza privati, tre archivi di Stato, l’archivio di un tribunale, l’Archivio centrale dello Stato, l’archivio storico del Senato e le sue grandi raccolte di documentazione delle commissioni di inchiesta; un tour in almeno cinque regioni a conferma della necessità avvertita dall’autore di considerare i molteplici ambiti territoriali in cui operò Prima linea non delle mute scenografie di contorno ma un fattore decisivo nell’alimentarla e plasmarla con le proprie specificità.

In generale, non è una fonte a monopolizzare la narrazione di Tanturli ma un proficuo e costante intreccio di fonti di natura e provenienza diversa, che consente, al tacere di una, di rispondere col controcanto delle altre (come nel caso del sostanziale silenzio degli atti giudiziari sulle vicende di Prima linea nel decisivo 1978, ritenute invece dalla magistratura l’interludio fra le fasi più penalmente rilevanti, quella genetica che si conclude nel 1977 e quella più cruenta del 1979) o di valutarne i silenzi come tali, nel caso di uno dei grandi topoi dietrologici della storia dell’eversione italiana, quello dei condizionamenti internazionali subiti.

Lungo tutta la ricostruzione delle vicende di Prima linea Tanturli ricorre ai documenti prodotti dall’organizzazione, in forma di riviste, numeri unici e, all’uscita definitiva dall’alveo della legalità, in quella di documenti di analisi e rivendicazione: una mole ingente di materiale custodito in centri studi, fondazioni culturali e “archivi di movimento” oppure raccolto dagli organi di pubblica sicurezza e, con finalità potremmo dire non poi così distanti, da partiti politici e organizzazioni sindacali, materiale sovente sedimentato anche in quei veri e propri archivi costituiti da alcuni imponenti fascicoli processuali che ne consentono almeno la contestualizzazione spazio-temporale. Pur dichiarando di averne rinunciato alla raccolta sistematica, l’autore ricorre, in maniera parca ma efficace ai suoi fini, anche alle fonti orali (o forse sarebbe più corretto dire alle capacità esegetiche delle testimonianze di alcuni uomini-memoria), utilizzandole per conoscere i percorsi che legano tra loro alcune tappe fondamentali delle lotte, conoscibili attraverso i “documenti”, dei quali s’ignorerebbero altrimenti tanto la genesi, quanto il significato.

Il quadro ideologico e politico di Prima linea così delineato è integrato da quello evenemenziale, ricostruito grazie ad altri due cospicui nuclei di tipologie documentarie d’inquadramento cui Tanturli fa un largo uso, tipologie tradite e accessibili non soltanto attraverso gli ordinari canali di sedimentazione archivistica ma sempre più di sovente affogati nelle pieghe del contesto «sconfinato e farraginoso» (p. 347n) delle raccolte della commissione stragi o di quelle speciali che richiedono un supplemento di critica per garantirne la piena comprensione. Mi riferisco in primis alla documentazione di origine giudiziaria: sentenze-ordinanze di rinvio a giudizio dei giudici istruttori, requisitorie dei pubblici ministeri e sentenze delle corti d’assise. Ma anche documentazione svincolata da esplicite finalità giudiziarie, documentazione di più generale analisi del fenomeno eversivo condotta in presa diretta dagli organi centrali e periferici del Ministero dell’interno o da altri organi di sicurezza, che hanno lasciato un’ampia traccia di sé nelle serie del Gabinetto conservati in Archivio centrale dello Stato, insieme ad altre, assai più episodiche, negli archivi delle articolazioni periferiche del Viminale, non sempre disponibili presso gli archivi di Stato che costituiscono il presupposto delle serie conservate nell’Archivio Centrale dello Stato. Alla stesso ambito va ascritta la documentazione dall’archivio della Federazione torinese del Pci, analizzata in un’interessantissima porzione del lavoro di Tanturli (pp. 309-326). Potremmo infine definire il terzo grande blocco di fonti utilizzate da Tanturli quello dei punti di vista individuali: nella sua analisi l’autore non manca di far un largo uso di interrogatori dibattimentali, di interviste già raccolte così come della memorialistica di imputati, giudici e parti lese, nella piena consapevolezza di maneggiare fonti dal valore particolare nel quale entrano in gioco «intensi percorsi di rilettura delle proprie esperienze» (p. 19), verificate con cura da Tanturli attraverso il confronto incrociato con le altre evidenze documentarie da lui raccolte.

Alcuni apparati (ad esempio una succinta cronologia degli eventi, sintetici profili biografici dei principali personaggi che si succedono nella narrazione, un elenco degli istituti e delle fonti archivistiche consultate) a corredo di questo importante lavoro avrebbero forse aiutato il lettore a districarsi con più agio in una narrazione che comunque ha il grosso pregio di essere anche godibile.

Concludendo, il lavoro di Tanturli ci dice dunque molto, non soltanto della storia di Prima linea ma anche dell’evoluzione del panorama conservativo italiano e della difficoltà per gli archivi di Stato di esercitare, se non più ormai il monopolio, quantomeno un ruolo da attori protagonisti rispetto alla documentazione statale che dovrebbe assieparsi nei suoi depositi. La presenza di studiosi come Tanturli fra le fila degli archivisti di Stato costituisce però senz’altro un efficace rimedio per superare tali difficoltà.

 

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Andrea Tanturli, Prima linea. L’altra lotta armata (1974-1981), Roma, DeriveApprodi 2018

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